Tra le figure più significative del panorama educativo e culturale della Calvizzano del secondo Novecento spicca il nome del Professore Albino Froldi, maestro d’altri tempi e narratore delle radici: il racconto dedicato a don Giacomo Di Maria

 

Prof. Froldi

Per l’ennesima volta ringraziamo il prof. Luigi Trinchillo, studente esemplare di Froldi,  che ci ha fatto conoscere questo spaccato di storia e di cultura locale che ignoravamo

Tra le figure più significative del panorama educativo e culturale della Calvizzano del secondo Novecento spicca il nome del Professore Albino Froldi (deceduto alcuni anni fa: aveva superato i 90 anni), uomo di scuola, appassionato dantista e fine osservatore della realtà sociale del suo tempo. Ma Froldi non fu solo un maestro d’altri tempi: fu anche scrittore, e con sensibilità e memoria storica seppe rendere omaggio, attraverso la parola scritta, a un’altra grande figura calvizzanese, don Giacomo Di Maria.

Don Giacomo Di Maria

Nel volume “I fiori di ogni stagione” (Edizioni Balmar, Venezia, 1996), Froldi dedica un racconto, riprodotto integralmente alle pagine 151–156, proprio a don Giacomino Di Maria: prete, archeologo per passione, storico rigoroso e instancabile promotore delle radici culturali del territorio. Un tributo sentito e profondo, nato dall’amicizia e dalla stima reciproca, ma anche dall’esigenza di lasciare traccia scritta di un’epoca e di un uomo che tanto aveva dato alla comunità.

Froldi conobbe don Giacomino negli anni ’50, quando insegnava presso la Scuola Elementare “Armando Diaz”. Il suo ruolo di educatore andava ben oltre la lezione frontale: basti pensare all’abitudine che aveva, ogni primo marzo (giorno del suo onomastico) di far trovare ad ogni alunno una piccola sorpresa sul banco, biscotti e caramelle acquistati con cura nel locale Biscottificio Gagliardi. Un gesto semplice ma denso di significato, che ancora oggi, a distanza di decenni, è ricordato con affetto dai suoi ex alunni, come un piccolo rito che profumava di civiltà contadina e di autentica attenzione educativa.

Con la stessa cura e passione con cui insegnava, Froldi si dedicava allo studio della Divina Commedia, tanto da continuare il suo impegno anche in pensione, organizzando incontri, conferenze e concorsi scolastici in collaborazione con la Società Dantesca Napoletana. Fu proprio in questa veste che il Prof. Luigi Trinchillo, autore della nota commemorativa, ebbe modo di ritrovare il suo antico maestro, in occasione di un evento culturale in cui un suo alunno vinse un concorso con la lettura del Canto XXVI dell’Inferno, dedicato a Ulisse.

L’opera narrativa di Froldi, il racconto dedicato a don Giacomo Di Maria, non è solo un omaggio personale, ma un documento prezioso che contribuisce a custodire la memoria storica e spirituale di una comunità. In quelle pagine c’è lo sguardo profondo di un uomo che sapeva ascoltare, osservare e restituire valore alla vita quotidiana, alla cultura locale, alle persone.

Nel pensiero pedagogico di Froldi emergeva una visione moderna e inclusiva della scuola: interpretava l’articolo 34 della Costituzione come un invito a garantire otto anni effettivi di formazione, senza esclusioni o penalizzazioni. Una scuola democratica, fatta per non lasciare indietro nessuno. Una visione che risuona ancora oggi, come un insegnamento vivo e urgente.

Albino Froldi è stato tutto questo: maestro, scrittore, educatore civile. E quel racconto dedicato a don Giacomino Di Maria è forse il simbolo più alto del suo modo di coniugare memoria, cultura e responsabilità. Un piccolo grande esempio di come la scrittura e l’insegnamento possano, insieme, costruire comunità.

Nota commemorativa

Il racconto che vi presentiamo, riprodotto integralmente, è tratto dal volume del professore Albino Froldi dal titolo “I fiori di ogni stagione”, Edizioni Balmar, Venezia, 1996. È alle pagine 151 – 156. Il professore Froldi dedica a don Giacomo Di Maria, figura di spicco del Novecento calvizzanese. Prete, storico, archeologo per passione e rigore, fu un uomo che ha dedicato la vita allo studio e alla promozione delle radici culturali della sua terra. Froldi conobbe Don Giacomino Di Maria negli anni in cui insegnava alla Scuola Elementare Statale “Armando Diaz”, qui a Calvizzano, a partire dalla metà degli anni ’50 del Novecento. Il Professore, fornito della Laurea in Materie letterarie, transitò, dopo il periodo di insegnamento alla “Diaz”, alle Scuole Secondarie e cominciò a coltivare la sua antica passione per lo studio di Dante Alighieri e della Divina Commedia, al punto da “reinventarsi” un impegno didattico perfino negli anni della pensione, quando cominciò ad organizzare incontri ed attività per far conoscere il Poeta Fiorentino e il suo Poema, unitamente alla “Società Dantesca Napoletana”, con convegni e concorsi fra gli alunni delle Scuole Secondarie di Secondo Grado. Fu proprio in questa veste che l’autore di questa breve nota, il prof. Luigi Trinchillo, poté rivedere e riapprezzare il suo antico Maestro, negli anni appena dopo il 2000. In particolare, un alunno frequentante la Classe Quinta da lui guidata, si classificò al primo posto in un concorso per il lettore ideale di Dante, presentando il Canto XXVI dell’Inferno, il celebre episodio di Ulisse, che fu oggetto preliminare anche di una conferenza con il Prof. Albino Froldi, relatore in un’affollatissima Aula Magna, seguito da una manifestazione pubblica, svoltasi in un Istituto di Scampia. Tutti gli ex alunni conservano memoria del Professore Albino Froldi con stima, simpatia ed affetto. Un episodio, di certo minore, legato al rapporto fra il “Maestro” Froldi e la sua scolaresca, negli anni immediatamente precedenti il 1960, può servire a contestualizzare un’epoca ed un momento di civiltà. Ricordo che il Prof. Froldi, il primo marzo di ogni anno, giorno del suo onomastico, faceva trovare sul banco di ciascuno di noi, al momento dell’ingresso nell’aula, qualche caramella e qualche biscotto, rigorosamente comprato nel locale negozio del Biscottificio Gagliardi, come garanzia di freschezza e di sicurezza alimentare, per farci festeggiare con lui un’occasione di gioia. Ed era anche una giornata di lavoro scolastico ridotto per noi ragazzi. È, senza dubbio, solo un frammento di vita, ma indicativo di un momento storico: sebbene nessuno degli alunni “morisse di fame”, economicamente parlando, quel piccolo pensiero annuale ci riempiva di gioia e di piacere, quasi profumo di cose d’altri tempi, come le “madeleines” per Marcel Proust… A rifletterci bene, oggi sarebbe impensabile e forse un po’ complicato ripetere identicamente quell’esperienza, con gli Insegnanti preoccupati di “sfidare” le norme burocratiche, di incorrere in qualche errore per alunni portatori di intolleranze alimentari, allergici al lattosio, celiaci o costretti a seguire diete rigide e prive di carboidrati e zuccheri. Eppure, a noi alunni che consumavamo tutto e in fretta quel giorno stesso, il cortese dono del nostro “Maestro”, anzi, “Professore” Froldi, nulla mai accadde di negativo o di spiacevole, ed anche quest’abitudine, protratta negli anni, ci rendeva fieri di essere nella sua classe, al punto che guardavamo alla classe maschile parallela, guidata dal maestro Parente, con una certa aria di superiorità, nel confronto fra i due Insegnanti. “Quisquilie” direbbe il grande Totò, ma dolci nella memoria  per chi ha avuto la buona sorte di partecipare a quel semplice rito da civiltà contadina postbellica, di “appena” settant’anni fa…! Una quindicina di anni dopo la frequenza delle scuole elementari (era il 1976), la televisione italiana in bianco e nero trasmise uno sceneggiato (allora si chiamava così quel tipo di spettacolo), il “Diario di un Maestro” ovvero “Un anno a Pietralata”, con l’indimenticato Bruno Cirino, che faceva, con i suoi alunni di un quartiere romano periferico, il Tiburtino III, all’incirca, ciò che il Prof. Froldi aveva sempre fatto con i propri qui a Calvizzano, senza la necessità di grandi riforme didattiche né di riconoscimenti ufficiali, ma soltanto seguendo il proprio intuito di vero Educatore, sostenuto dall’amore per il proprio lavoro e per i ragazzi, tutti, affidatigli, così da non perderne nessuno lungo il percorso. Ricordo, a questo proposito, un’opinione del Professore Froldi, che affermava che, se la Costituzione prescriveva otto anni di frequenza scolastica obbligatoria e gratuita, i Padri Costituenti intendevano parlare di anni progressivi e non di ripetizioni e di ripetenze: questo il senso interpretativo dell’articolo 34 della Legge fondamentale della Repubblica Italiana, per assicurare democrazia, libertà e pari diritti a tutti i cittadini del nostro Paese. Quella Costituzione Italiana che molti definiscono “la più bella” del Mondo, ma poi ciascuno pretenderebbe di interpretare e coartare a proprio modo e secondo la propria convenienza. Intuizione di un Maestro, vero Educatore d’altri tempi!

Prof. Luigi Trinchillo

 Il racconto dedicato a don Giacomo Di Maria

Questi parea a me maestro e donno”…

…“ma per seguir virtute e canoscenza”.

(Dante, Inferno XXXIII, 28

e Inferno XXVI, 120)  [1]

 

 

“Don Giacomino”

[Estratto da un libro del professore Albino Froldi

dal titolo “I fiori di ogni stagione”, del 1996]

 

Quando, ad un certo lavoro non corrisponde un conveniente risultato, abitualmente si usa dire “I conti non tornano”. “Ad ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria”, recita anche una legge fisica!

In Paradiso, anche in Paradiso, i conti non tornavano!

Di tanto in tanto (e non solo di tanto in tanto) qualche anima residente in Purgatorio si presentava monda e serena all’ultima soglia del Cielo, nonostante che sulla terra si facesse tanto in suo favore.

Una – o giù di lì – anima al giorno (e non tutti i giorni) lasciava il monte della Purificazione per volare dritta al Cielo, ove da tempo l’aspettavano.

“I conti non tornano, benché sulla terra migliaia e migliaia di ‘addetti ai lavori’ si diano da fare per far giungere al più presto le anime in Paradiso”.

Questo si chiedevano gli abitanti del Celeste Regno vedendo il raro movimento fra Purgatorio e Paradiso.

Cosa succedeva mai laggiù?

Il padrone di tutta l’Architettura Celeste volle vederci chiaro.

Un Messo, il più veloce ed il più bello di tutta la schiera celeste, fu incaricato di scendere su quell’infinitesimale granello di sabbia che si perdeva nella folla di miliardi di stelle e pianeti della Galassia Ypsilon e accertarsi come si amministrava quella operazione di salvataggio che non dava consistenti frutti.

E fu così che Michele (così si chiamava e si chiama tuttora il bel Messaggero) lasciò il suo scranno velocemente, e si mise ad ispezionare sulla Terra tutti i luoghi addetti a quell’operazione ed ai suoi luoghi ufficiali.

Visitò per primo il Massimo Centro Religionis e vide all’opera centinaia di “parati rosseggianti” intenti a rivolgere al Cielo ruminanti giaculatorie.

Si stupì il Messo! Tutte quelle invocazioni e così modesto il risultato?

Passò poi alle cattedrali dove, fra incensi e luci, altre migliaia di addetti, con le braccia rivolte al cielo imploravano mercè e misericordia per i loro parenti, amici, estranei, fra il tripudio di organi e di canti.

E si stupì ancora, il Messo del Cielo! Tutte quelle invocazioni e sempre così scarso il risultato?

Svolazzò poi, il Bel Michele, nelle migliaia e migliaia di grandi, piccoli, modesti luoghi, dove ancora migliaia e migliaia di preti, frati, nei loro smaglianti colori, con liturgie bizantine, inviavano al Cielo messaggi di pietà e suppliche con mercenarie preghiere.

Michele, il Messo, non sapeva raccapezzarsi.

Tanto incenso, tanta musica e canti, sfarzose messe in scena, osanna a tutto spiano, e nessun risultato?

Terminata la sua ispezione di quel granellino di sabbia, sperduto fra i centomila miliardi di granellini di sabbia, Michele spiccò il volo verso la sua Sede quando…

… quando urtò contro il manto di nubi che occupa il cielo della Terra, ad una certa altezza, forse due-tremila metri.

O voi che mi leggete, avete ancora osservato quel “pavimento“ di nubi che si vede, dall’oblò di un aereo in volo, ad una certa altezza dal suolo? Un “pavimento” di nubi che sembra voglia separare le due parti del pianeta, quasi un confine invalicabile fra cielo e terra?

Ebbene, quello spesso manto di nubi, a due-tremila metri dalla terra, è l’ostacolo a tutte quelle invocazioni, preghiere, inni, canti, osanna, incensi, che non siano stati purificati dalla Fede, dalla Umiltà e dalla Carità degli Officianti e dei fedeli.

Solo le preghiere rese limpide dal fervore e dall’amore di coloro che le recitano, riescono a superare quella barriera resistente che separa la Terra dal Cielo.

Le altre, quelle preghiere, osanna, invocazioni, recitate in distratte ripetizioni, consunte dalla monotonia pedante di giaculatorie infinite, restano lì ferme alla barriera perché non hanno la forza di superare l’ostacolo tenue, impalpabile, vaporoso ma impenetrabile.

Il Messo Celeste capì allora perché così pochi erano quelli che nel Purgatorio potevano ricevere ed usufruire delle preghiere e delle suppliche inviate dalla Terra e perché così pochi, ancora, erano quelli che raggiungevano il Paradiso.

Ma… che succede?

Un filo di fumo stava ora bucando la spessa coltre bianca e si spandeva nell’azzurro cielo al di là di essa, verso il cielo.

Cos’era? Di chi era quella preghiera che ora riusciva a superare l’ostacolo ed a correre verso il destinatario per liberarlo dalle sue attese e fargli raggiungere il meritato spazio del Cielo?

Michele si fermò stupito. Si volse verso la Terra e vide che il profumo proveniva da una casetta di un piccolo centro di campagna.

In punta di piedi (si può dire così di un Angelo?) si accostò alla casetta e vide un vecchio sacerdote, carico di acciacchi, che, sostenuto da qualcuno, officiava su un tavolino messogli a disposizione.

Un Prete, ammantato da uno sdrucito paramento, e con una mano protetta da un guanto per un’infezione alla pelle, seduto ad una sedia (perché non era in grado di sostenersi da solo!) pronunciava le solenni Sacre Parole del Sacrificio celebrato in ricordo ed in suffragio di un’anima da tempo partita per i lidi ultramondani.

Don Giacomino (questo era il nome del sacerdote) per speciale consenso delle sue Autorità, a causa delle sue precarie condizioni di salute, era stato autorizzato a celebrare, nella sua modesta casetta, nel suo studiolo, su un tavolino decentemente predisposto, la santa Messa.

Un drappo bianco, il calice, la patena con le particole, due bottigline per il vino e per l’acqua e due lumini: ecco l’altare del povero sacerdote orante.

Il prete celebrava, ed una sua parente, altrettanto malandata ed anziana quanto lui, preparava intanto, di là, nella stanza accanto, il pranzo, per il vicino mezzodì.

E fu così che Michele, il Messo Celeste, sentì salire al Cielo e superare lo spesso strato di nubi un lieve profumo di incenso misto ad un acuto profumo di ragù.       

 

Froldi fu insignito del diploma di benemerenza

Con decreto del Presidente della Repubblica (Francesco Cossiga) del 2 Giugno 1988 sulla proposta del Ministro della Pubblica Istruzione dell’epoca (Giovanni Galloni), al prof. Albino Froldi venne conferito il diploma di benemerenza di seconda classe (medaglia d’argento).

Diploma di benemerenza

Il diploma di benemerenza di seconda classe è un riconoscimento onorifico che viene assegnato a persone o enti che si sono distinti per meriti particolari in determinati ambiti, come la scuola, la cultura, o altri settori di rilevanza socialeQuesto diploma, spesso accompagnato da una medaglia d'argento, attesta il valore dei servizi resi o delle opere compiute e contribuisce a elevare l'immagine di chi lo riceve. 

 



[1] “Costui mi sembrava essere il capo e la guida” … (Dante, Divina Commedia, Inferno XXXIII, 28)  e … “ma per conseguire virtù e conoscenza” (Dante, Divina Commedia, Inferno XXVI, 120). 

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