Marano, i cani di don Mimì e quel canto al cielo che sembrava un miracolo

A Marano, c’è una storia che ancora oggi commuove e fa venire i brividi. È la storia dei cani di don Mimì Galluccio, il parroco buono della chiesa di San Ludovico D’Angiò, morto il 16 giugno del 2003, a 67 anni. Chi l’ha conosciuto, lo ricorda con occhi lucidi e voce rotta dall’affetto. E chi ha visto quei cani, dopo la sua morte, non ha mai dimenticato.

Ogni giorno, a mezzogiorno e alle sei di sera, appena le campane iniziavano a suonare l’Ave di Lourdes, quei randagi sollevavano il muso verso il cielo e ululavano. Non prima, non dopo: solo durante l’inno. Poi, silenzio. Come se stessero pregando, come se sapessero. E si radunavano tutti insieme, sul sagrato, con una puntualità che sembrava impossibile. Una volta, uno di loro esitava. Ma il capobranco lo spinse con il muso, quasi a dirgli: “È ora. Vieni anche tu.”

In tanti, davanti a quella scena, hanno gridato al miracolo. Perché quelle campane le aveva desiderate proprio don Mimì, durante un pellegrinaggio a Lourdes. Ne era rimasto incantato, ma non aveva i soldi per comprarle. Fu don Ciro, il parroco che gli succedette, a realizzare quel sogno, con l’aiuto dei fedeli. E da allora, ogni rintocco sembrava portare con sé un pezzo della sua voce, del suo spirito.

Don Mimì aveva dato rifugio a quei cani quando nessuno li voleva. Li nutriva, li curava. Anche quando uno si ammalò gravemente, lo fece curare a proprie spese. E loro, forse per gratitudine o forse per amore, non lo hanno mai lasciato solo. Nemmeno dopo la sua morte.

Da anni quei cani non ci sono più. Ma la gente del posto non ha mai smesso di raccontare la loro storia. E ogni volta che le campane suonano l’Ave di Lourdes, c’è ancora chi guarda in alto, chi chiude gli occhi e sente qualcosa. Un legame. Un segno. Forse un miracolo. 

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