La morale de “Il mantello” di Dino Buzzati è intensa, profonda e struggente: la morte è inevitabile, ma può assumere un volto di compassione, di rispetto, perfino di tenerezza

 

Buzzati racconta il ritorno di un giovane soldato, Giovanni, alla casa natale, accolto con amore e commozione dalla madre e dai fratellini. Ma sin dalle prime righe, qualcosa non torna: Giovanni è silenzioso, stanco, evita lo sguardo della madre, non si toglie mai il mantello e fuori c’è un misterioso individuo che lo aspetta.

La madre spera in un futuro di gioia per lui: il matrimonio, la pace, la nuova vita. Ma quel futuro è solo un’illusione: Giovanni è già morto, anche se il racconto lo presenta in carne e ossa. Il mantello nasconde le ferite, il sangue. L’uomo che lo accompagna, silenzioso, rispettoso, è la Morte.

Le chiavi simboliche:

                   Il mantello: simboleggia la soglia tra la vita e la morte. Finché Giovanni lo tiene indosso, può ancora illudere la madre (e forse anche se stesso) di essere vivo.

                   Il misterioso compagno: è la Morte, ma rappresentata in modo non violento, anzi, paziente, umano, discreto. Aspetta che il ragazzo saluti la madre, rispetta il legame tra madre e figlio.

                   Il viaggio verso il nord: è il passaggio nell’aldilà, verso l’eternità. I cavalli che galoppano via sotto il cielo grigio lo portano via dal mondo dei vivi.

La morale (in sintesi):

Anche la morte più tragica può essere circondata da un ultimo gesto di amore e pietà. Buzzati ci mostra che la morte, pur crudele, può concedere un momento di commiato, di umanità. La storia ci invita a riflettere sulla fine della vita non solo come perdita, ma anche come mistero, come passaggio, come dignità.

È un racconto che consola e strazia allo stesso tempo.

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