A Calvizzano la “rivoluzione” non si può fare…

 

Leggendo la settimana scorsa l’articolo di Massimo Giannini sul periodico “il Venerdì di Repubblica”, mi è rimasto impresso l’incipit: “Avevano visto giusto, Longanesi e Flaiano, quando dicevano che in Italia la rivoluzione non si può fare perché ci conosciamo tutti. Siamo il Paese dell’amichettismo, praticato nella modica quantità dalla sinistra, elevato a sistema dalla destra”.

Mi è saltato subito alla mente Calvizzano, il paese nel quale vivo dal 1980 in maniera attiva (nel 1988 mi sono addirittura candidato a consigliere comunale nella lista dell’allora Democrazia Cristiana: dal 1990 lo descrivo da giornalista), dove questi concetti sono ancora più esasperati, poiché il territorio è piccolo: conta poco più di 12mila abitanti. A Calvizzano ci conosciamo davvero tutti. Se poi aggiungiamo nepotismi, clientele e favoritismi di ogni genere (ma l’andazzo è lo stesso un po’ ovunque) che continuano a farla da padroni e, ovviamente, a influenzare l’andamento del voto, poiché quello di opinione non esiste, non ci resta altro che sognare, sognare, sognare. Cosa?  Una “rivoluzione” culturale, concetti che ripetiamo come un mantra da anni. Bisogna lavorare per creare una nuova classe dirigenziale, partendo dai giovani, quelli veri, quelli che, anche la domenica e i giorni festivi, 365 giorni all’anno, e non solo nei periodi elettorali, fungono da sensori sparsi sul territorio, pronti a recepire le istanze dei cittadini, per sottoporle agli amministratori (quelli preparati e sensibili, disposti anche a rinunciare al ruolo di assessore e al consequenziale stipendio, qualora non dovessero essere “ascoltati”); quelli che mettono in campo idee e progetti, sperando che vengano accolti da chi è preposto a tradurli in azione amministrativa. Quelli che davvero sono intenzionati a costruire una Calvizzano migliore. 

Noi vecchi abbiamo tanto da dare

Oggi compio 71 anni: nonostante gli acciacchi della vecchiaia e i tanti problemi quotidiani da affrontare, le avversità e il clima ostile nei miei confronti di buona parte della classe politico-amministrativa, continuo a non abbattermi e a condurre battaglie di civiltà, fino a quando la salute me lo permette, sperando di fungere da esempio per chi crede ancora che una “Rivoluzione”, almeno quella culturale, sia possibile.

Mi.Ro.

 

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