“Diamo voce alle donne”: cerimonia di premiazione della terza edizione del concorso letterario dedicato quest’anno alla memoria di Giulia Tramontano e di suo figlio Thiago
Nella
mattinata di giovedì 30 maggio si è svolta, presso l’auditorium dell’IC “Romeo-Cammisa”
di Sant’Antimo, la cerimonia di premiazione della terza edizione del concorso
letterario “Diamo voce alle donne”, organizzato dal Liceo “Laura Bassi”, che ha
visto il coinvolgimento e la partecipazione di una decina di istituti
scolastici (scuole secondarie di primo e secondo grado d’istruzione) dell’Ambito
17.
Eloquente
e significativa la dedica alla memoria di Giulia Tramontano, la ventinovenne
brutalmente massacrata, con 37 coltellate, dall’ex compagno il 27 maggio 2023,
e di Thiago, il bambino che portava in grembo e che mai vide la luce del mondo.
La
manifestazione, il cui proposito, già embrionalmente e fin dagli esordi, prefigurava
la volontà di offrire agli alunni partecipanti, alle nuove generazioni la
possibilità di approcciarsi alla scrittura, di raccontare, di raccontarsi, di
indagare i sentieri meno battuti della propria interiorità, per dare libero
sfogo all’immaginazione, per dare forma e voce a ciò che si portano dentro,
riscoprendo così uno strumento di indagine socio-antropologica forse
accantonato negli ultimi decenni, si carica quest’anno di un senso più
profondo, di un’accezione più alta di vero impegno sociale, di lotta condivisa,
di quesito e insieme consapevole risposta alla tragica, perpetua e
consuetudinaria piaga della violenza, fisica, psicologica ed economica,
maschile sulle donne.
Punto
nodale di discussione durante l’evento la necessità, ad opera di scuole,
istituzioni, famiglie e reti associative sui territori, della prevenzione, della
rieducazione collettiva e della formazione delle nuove generazioni al rispetto,
alla parità di genere, per sovvertire una cultura patriarcale millenaria, matrice
primaria e primordiale della subalternità cui sono state, e in misura ridotta,
sono tuttora relegate le donne, vittime di vessazioni e violenze che
interessano ogni sfera del vivere quotidiano che, in escalation quasi quotidiane,
sfociano in maltrattamenti, abusi, stupri, femminicidi.
“Cresciamo tutti in una cultura in
cui i corpi delle donne vengono costantemente trasformati in cose, in oggetti.
[...] Ovviamente ciò influisce sull’autostima delle donne. Fa anche qualcosa di
ancora più insidioso. Crea un clima in cui è diffusa la violenza contro le
donne. [...] Trasformare un essere umano in un oggetto è il primo passo verso
una violenza giustificata contro quella persona”.
Se
è il femminicidio la più tragica rivelazione ed espressione della condizione di
oppressione di cui le donne sono vittime, esso non è che il punto culminante di
un sistema malato fin dalle sue radici.
La
violenza si rivela, in maniera sibillina e insidiosa, nelle parole quotidiane di
disprezzo; nel tentativo persistente di privare le donne della libertà di
autodeterminazione, del potere sui propri corpi; nella paura ancestrale di
trovarsi da sole per le strade quando cala l’oscurità; nel terrore di essere le
prossime vittime sacrificali della furia di uno sconosciuto, di un marito di un
fidanzato, di un padre, di un fratello; nell’angoscia e nella raccapricciante
constatazione che non sarà un “no” a salvarle, che una denuncia non assicurerà
alla giustizia i colpevoli, che una confessione non laverà l’onta delle colpe
che aleggiano sempre sui loro corpi.
Tornata a casa Sonia iniziò a
piangere. Credeva che la colpa fosse sua. Forse quella gonna era troppo corta,
quella maglia troppo attillata. Da quel giorno indossò solo pantaloni e maglie
larghe, e rabbrividiva all’idea di poter indossare di nuovo la gonna. La
situazione non mutò. I fischi e gli sguardi continuavano ad essere una
consuetudine. Forse doveva abituarsi, come le era stato suggerito dalla nonna.
O forse doveva essere addirittura lusingata da quei complimenti non richiesti,
aveva aggiunto la bisnonna. In questa storia si cela l’essenza più pura della
discriminazione e della violenza. Dare voce alle donne non vuol dire soltanto
raccontare di femminicidi o altri apici violenti. Ma vuol dire parlare anche di
storie come questa, di quotidianità e semplicità. A Sonia non è successo nulla
di straordinario, è viva ancora oggi, nessuno l’ha mai violentata fisicamente.
Ma questo non vuol dire che non abbia mai subito violenza, perché quest’ultima
si infiltra subdolamente nella nostra quotidianità, in ogni storia senza
ambientazione come questa, negli occhi dei bambini e nelle mansioni domestiche.
Anche Dino ha subito violenza, la violenza di veder Sonia star male. È dalle
piccole cose che si deve partire, perché questa non è la storia di Sonia (…) e
di Dino (…), ma è la storia di ogni persona, la storia di tutti noi, anagrammi
simbolici dei loro nomi e di una vita, che come spesso accade, era sotto i
nostri occhi fin da subito. Dalle prime righe di questa storia e per
distrazione, superficialità o indifferenza non ce ne siamo avveduti. Come
spesso non ci accorgiamo di chi è accanto a noi e sta invocando il nostro
aiuto. Gridiamo forte in una società sempre più sorda. (Da “Lui e Lei”, Stefano Barretta VD Liceo Cartesio,
vincitore Primo Premio classi quinte)
È dal rovesciamento dei malati giochi di potere nel rapporto uomo-donna che bisogna partire, dallo smantellamento degli stereotipi socio-culturali, del simulacro dell’uomo vigoroso, potente e naturalmente, “biologicamente” aggressivo, e della donna “angelo del focolare”, madre e moglie paziente, grata al marito in un atto di devozione logica e consequenziale, nella speranza ed opportunità di ridisegnarne la fisionomia in maniera egualitaria, paritetica, fluida, pur considerando la costitutiva diversità strutturale e fisiologica tra i generi. Può profilarsi, solo in questo modo, la reale possibilità di rintrecciare i fili del dialogo uomo-donna, liberandosi da secolari pregiudizi e categorizzazioni di genere, come ha evidenziato la professoressa Caterina Errichiello, dirigente del Liceo “Laura Bassi”.
E
nell’inversione di paradigma, l’esigenza di un’educazione sentimentale appare
più che mai pressante, come ha sottolineato Ilaria Perrelli, vicepresidente
della Consulta regionale Campania per la condizione della donna: “C’è bisogno di una nuova grammatica dei
sentimenti, e laboratori di scrittura come questo sono importanti perché
aiutano a riconoscere e a vivere le emozioni. Il ruolo della scuola è
fondamentale e quello delle parole lo è ancor di più, perché le parole sono
come immagini, definiscono i confini del mondo, esprimono chi siamo,
costruiscono recinti o al contrario ci aiutano ad immaginare un futuro diverso.
Le parole sono pietre- scriveva Carlo Levi- e in quanto pietre restano lì. Non ci stancheremo mai di chiedere che
progetti come questi diventino strutturali e che venga inserita, nelle scuole, la
materia curriculare dell’educazione ai sentimenti, in maniera sistematica e trasversale”.
Il
processo di istruzione, di formazione emotiva deve coinvolgere non solo le
bambine, le ragazze, le donne, ma anche, e forse soprattutto i bambini, i
ragazzi, gli uomini, come fautori, e al contempo vittime, originarie di una
mentalità maschilistica e fallocentrica, affinché scendano in campo, in prima
linea, baluardi e strenui difensori, nella battaglia per l’abolizione dei
privilegi del maschio, e per la liberazione delle donne.
In
che progresso si vuole sperare, credere, confidare senza l’emancipazione della
donna?
In
un’atmosfera di consapevole commozione, un abbraccio corale ha stretto la madre
di Giulia Tramontano, Loredana Femiano, fisica testimonianza del ricordo della
sua bambina, che ancora e sempre vive in lei, divenuta simbolo di una lotta
inarrestabile: “Sono morta dentro, ma
questi eventi mi danno ancora la sensazione di poter fare qualcosa nella mia
vita, di poter provare qualche sentimento buono, positivo. Mi chiedono anche:
‘Come fai a non odiarlo?’, e io ho sempre detto che in questi casi, in genere,
sono i genitori che insegnano ai figli. Ma in questa vicenda ricordo sempre le
parole di Giulia ‘No mamma, l’odio! Ma che sentimento sprecato che è l’odio. Tu
devi solo ignorarlo’”.
Ad
intervallare le premiazioni, le performance
del coro dell’IC “Romeo-Cammisa”, esibitisi sulle note del brano, tra gli
altri, “Combattente”, messaggio universale di resistenza e resilienza.
Dei
cinquantatré racconti in gara, la giuria, composta dal presidente Giuseppe
Maiello, dai docenti Massimiliano Maja, Nella Capasso, Michele Puca e da Antimo Mallardo, ha selezionato tre vincitori delle classi terze
della Secondaria di grado, ed altrettanti per le seconde e quinte classi della
secondaria di secondo grado.
Le
prime tre posizioni per la scuola secondaria di primo grado sono state occupate
da: Romano Miriam, aggiudicatasi il primo premio con il racconto “Mi chiamo
Alessia e ho 13 anni”, seguita da Sodano Melissa, con “Dentro e oltre” e Audino
Miriam con “Henry Jones Brown”.
I
vincitori delle classi seconde della secondaria di secondo grado: Celardo
Francesca, con “Federica, 21 anni”; De Rosa Anna Laura, con “La strada verso me
stessa”; Pellecchia Chiara, con “Un abbraccio, o due”.
Per
le classi quinte, il podio è spettato a: Barretta Stefano, con “Lui e Lei”; Del
Giudice Rossella, con “La gioia di vivere”; Marrone Alessandra Marialuisa, con
“Buio”.
Le
menzioni speciali sono state attribuite agli alunni, tutti e tre provenienti
dall’IC “Giacomo Leopardi” di Sant’Antimo, Abul Alifa, con “Dal sogno
all’impegno: La rivoluzione silenziosa di Clara”; Asseni Francesco, con “Si è
sempre fatto così”; Ducato Denise, con “La lotta di Aurora contro l’incubo
notturno”; e a D’Agostino Miriam, del Liceo Bassi, con “Marì”.
Alla manifestazione, organizzata con il
patrocinio morale della Regione Campania, e condotta dalla dirigente Caterina
Errichiello, hanno partecipato la dottoressa Gabriella D’Orso, viceprefetto del
Comune di Sant’Antimo; Luigi Mosca, vicecomandante della tenenza dei
Carabinieri di Sant’Antimo; Ilaria Perrelli, vicepresidente della Consulta
regionale Campania per la condizione della donna; Loredana Raia, vicepresidente
del Consiglio della Regione Campania; Teresa Del Prete, giornalista e
scrittrice, da anni impegnata nella sensibilizzazione e contrasto della
violenza di genere; l’avvocato Raffaele Romano, garante dei diritti dei
disabili del Comune di Sant’Antimo. Attesa anche la presenza di Lucia Fortini,
assessore alle politiche sociali e all’istruzione, assente a causa di impegni
istituzionali.
Per
tutte le sorelle, le madri, le figlie, a cui la bocca è stata serrata, la voce
rubata, la libertà soppressa, la vita distrutta, sottratta, in una mattinata è
riecheggiato, a Sant’Antimo, il grido corale, universale, umano del riscatto, è
stata restituita alle donne la loro voce.
Martina
Maja
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