Esclusiva calvizzanoweb, “perché la Chiesa-madre di Calvizzano è intitolata a Santa Maria delle Grazie”: un’altra chicca culturale inviataci dal prof. Luigi Trinchillo, degno erede degli scrittori che hanno raccontato la storia del nostro paese

 


“La Grazia che mi dà ch’io mi confessi”

(Dante, Paradiso XXIV, 58)

 Abbiamo deciso di pubblicarlo alla fine del mese Mariano per rendere omaggio alla Madonna

Credo che tutti sappiano che la magnifica Chiesa Parrocchiale di Calvizzano è dedicata a Santa Maria delle Grazie e  tutti i cittadini locali, fedeli e non, cattolici praticanti oppure solo per tradizione, apprendono dal Catechismo o semplicemente “per contagio”, che la Madonna è abitualmente rappresentata in atteggiamento materno, molto spesso con il Figlio fra le braccia.

Forse meno noto è, tuttavia, un passaggio teologico-affettivo-culturale, che sottintende questo speciale titolo conferito alla Vergine Maria.

Infatti, Maria è stata dichiarata Madre di Dio fin dal Concilio di Efeso (del 431 d.C.) e tutta la venerazione che La riguarda ruota sulla circostanza che Ella è la ‘vera’ Madre di Gesù, la Parola Incarnata del Padre, come risulta dalla dichiarazione/annuncio dell’Arcangelo Gabriele, ricorrenza che i Cattolici festeggiano solennemente il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione del Signore.[1]

Viene affermato solennemente nel “Credo”, la preghiera identitaria che tutti i partecipanti alla Santa Messa domenicale e dei giorni di festa proclamano come atto di “professione di fede”, che Gesù Cristo “Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est”, vale a dire che [Gesù Cristo per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo] “e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. Ecco anche l’originale testo greco e latino del Canone, per un ulteriore conforto:

Primo Concilio di Nicea (325)
Simbolo niceno

Primo Concilio di Costantinopoli (381)
Simbolo niceno-costantinopolitano

Testo latino
del Simbolo niceno-costantinopolitano

Traduzione italiana
del Simbolo niceno-costantinopolitano

Tὸν δι' ἡμᾶς τοὺς ἀνθρώπους
καὶ διὰ τὴν ἡμετέραν σωτηρίαν
κατελθόντα
καὶ σαρκωθέντα,
ἐνανθρωπήσαντα,

Τὸν δι' ἡμᾶς τοὺς ἀνθρώπους
καὶ διὰ τὴν ἡμετέραν σωτηρίαν
κατελθόντα ἐκ τῶν οὐρανῶν
καὶ σαρκωθέντα ἐκ Πνεύματος Ἁγίου
καὶ Μαρίας τῆς Παρθένου
καὶ ἐνανθρωπήσαντα.

Qui propter nos homines
et propter nostram salutem
descendit de caelis.
Et incarnatus est de Spiritu Sancto
ex Maria Virgine,
et homo factus est.

Per noi uomini
e per la nostra salvezza
discese dal cielo
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.

 

Maria, dunque, è la vera Madre del Signore Nostro Gesù Cristo, perché Questi si incarnò in Lei per azione dello Spirito Santo e nacque “da” Lei: Maria non rappresentò un semplice “contenitore” del Figlio, ma diede al Figlio le Sue caratteristiche, il suo sangue, il suo DNA (diremmo oggi) e, in quanto tale, è Madre della Seconda Persona della Santissima Trinità, la “Grazia” per definizione, e a tutti gli effetti. Questo titolo antico, a Lei pertinentemente attribuito, fu, fin dalla Chiesa dei primi secoli, sempre esaltato e proclamato.[2]

La Vergine Maria è, pertanto, la prima mediatrice ed intermediaria, per ottenere da Dio quelle Grazie di cui i Cristiani e l’Umanità tutta necessitano.

Nacque così la tradizione di operare quasi un sillogismo linguistico di Maria, Madre della Grazia e quindi delle Grazie che, attraverso la Sua intercessione, il Padre concede a chi invoca l’aiuto e l’intervento divino.

I nostri fratelli nel Battesimo, ma di Confessione Evangelica differente, quelli che noi definiamo sinteticamente come “Protestanti” (Luterani, Anglicani, Calvinisti, ecc.), concordano nell’attribuire a Maria un ruolo speciale nella Storia della Salvezza, ma contestano il concetto (peraltro mai espresso con questo termine) di Maria “Corredentrice”[3] e spesso confondono le preghiere che vengono indirizzate alla Vergine, ritenendo quasi che esse Le vengano rivolte come ad una ‘dea’ o ad una ‘divinità’ ulteriore e separata rispetto alla Trinità, non mettendo bene ‘a fuoco’ il tipo di culto che Le viene attribuito, che è quello di venerazione, laddove solo a Dio è riservato dai Cattolici il culto privilegiato di adorazione, che è ben altra cosa, dal punto di vista linguistico, ancor prima che teologico. È un equivoco che poi si è trasmesso anche a ideologie ‘new age’ e a gruppi dissidenti della Religione Rivelata.

Che la questione non sia solo di carattere formale ce lo rivela la circostanza che il Concilio di Trento (1545-1563) la prese in esame  con puntuali osservazioni e sistemò la dottrina mariana allora acquisita dogmaticamente, per evitare equivoci ed interpretazioni fuorvianti. I Padri Conciliari Tridentini, in ogni caso, suggerirono che gli artisti, in tutte le loro forme espressive, specialmente mediante la pittura e la scultura e perfino attraverso l’architettura, trasmettessero un preciso messaggio: la Vergine Maria è il personaggio-chiave del processo della Redenzione, ma solo in quanto “Madre” di Gesù Cristo.

Ecco, allora, nascere le tante rappresentazioni plastiche di tipo pittorico e scultoreo, in cui Maria appare come “Odigitria”, vale a dire che indica con una mano (o con almeno un dito) sempre il Figlio, per ribadire che è “Lui” il protagonista dell’opera rappresentata ed è Gesù che deve essere adorato e pregato, mentre Ella ne è ‘solo’ la Madre, pronta a suggerirgli di operare “segni”, come avvenne a Cana di Galilea, dove Gesù compì il Suo primo evento prodigioso: non a caso, ce lo ricorda l’evangelista Giovanni, la cui narrazione è la più “teologica” e dottrinale fra le quattro stesure della Buona Novella[4]. Maria notò, in quella occasione, che il vino stava per finire, rischiando di far fallire la gioia degli sposi, ma non fece certo Lei stessa la trasformazione della comune acqua delle sei anfore di pietra, in vino, durante le nozze alle quali erano stati invitati sia Lei che Gesù, a Cana. La Vergine è dunque la Donna attenta e provvidente, ma il “miracolo” di trasformare della semplice acqua nel migliore vino bevuto dagli ospiti quel giorno, lo operò Gesù, sollecitato e spinto affettuosamente da Sua Madre

Il celebre pittore napoletano Nicola Vaccaro, l’autore delle tre tele mariane poste sui tre Altari storici della nostra Chiesa, di recente magnificamente restaurate, per restituire ai fedeli e ai visitatori l’originaria meraviglia cromatica dei dipinti, seppe interpretare c con la sua arte questo ‘nuovo indirizzo artistico’ tridentino, con intento religioso, per cui l’immagine della Vergine, che è presente in ciascuna delle tre le tele, esprime una visione cristologica del ruolo di Maria.

Nella tela centrale, decisamente la più bella – ammesso che si possa stabilire una classifica fra capolavori – è rappresentata Maria come Madre della Grazia e per questo Madonna delle Grazie, nel vero atteggiamento teologico ortodosso: la Vergine sostiene sul braccio destro il Bambino che, con fare birichino, preme fra due dita il seno sinistro della Madre e ne fa uscire copiose gocce di latte bianchissimo: consente così alle Grazie richieste dai fedeli con le loro preghiere e le suppliche, di ‘cadere’ sui richiedenti.

Il ruolo di Ausiliatrice, di Intermediaria, di Consolatrice degli afflitti, di Madre della Divina Grazia, di Regina di quegli Angeli che La circondano e Le fanno festa tutt’attorno, come quello di tanti altri titoli con cui la Vergine Maria viene da sempre invocata, è perfettamente focalizzato, benchè sia esaltato solo in relazione al Figlio[5]. Il ‘dettato’ tridentino è stato quindi rispettato integralmente, anche se, poi, la pietà popolare, nei secoli, ha finito per sentirsi attratta soprattutto dalla Vergine/Madonna delle Grazie, di certo più vicina all’‘umanità’, nella ricerca della santità della gente comune, rispetto al modello, inarrivabile, di Gesù Cristo.

Anche le altre due tele del Vaccaro presentano un messaggio cristologico ‘mariano’: la tela posta a sinistra (per l’osservatore che guarda verso l’Altare Maggiore) presenta la Deposizione di Cristo dalla Croce: osservato perciò l’input tridentino, con una caratteristica particolare: fra le numerose figure di personaggi che si affollano ai piedi della Croce ed assistono alla scena attoniti, piangenti, disperati, è evidenziata una Vergine Maria dal volto sereno, che accenna addirittura ad un sorriso. Non sembra proprio quello di una Madre disperata ed afflitta per la Deposizione dalla Croce del Suo Unico Figlio, se si trascura un elemento: è l’unica che crede fermamente e per fede che il Figlio rimarrà morto solo per tre giorni, trascorsi i quali, Egli risorgerà. Ecco la verità di fede che il Vaccaro è riuscito a rappresentare in un’immagine pittorica che sembrerebbe una ‘comune’ effigie e raffigurazione della Vergine Maria.

Meraviglia dell’arte, quando è vera Arte!

Nella tela speculare, il Vaccaro ha racchiuso una serie nutrita di  motivazioni evangelico-teologiche: la caduta di Gesù sotto il peso della Croce, la folla delle Pie Donne afflitte, se non disperate, la Veronica che, asciugato il sudore e il sangue dal Volto del Signore, ha ricevuto in dono la Sua Effigie, la crudeltà dei soldati romani che accompagnano al Calvario il Condannato alla crocifissione, l’albagia della pattuglia che, col vessillo dello squadrone d’appoggio, è stato inviato a controllare l’ordine pubblico, una natura sullo sfondo e un’umanità che nulla fa per attenuare l’afflizione di Gesù, già coronato di spine, … E Maria? Appare sulla sinistra della scena, che osserva il tutto e, con la sua aria pensosa, sembra riflettere e cercare conferma a quanto trasmesso dal messaggio profetico a Lei ben noto, di Isaia, di un Messia abbattuto, umiliato e sofferente, carico delle colpe di una Umanità che non ha compreso o apprezzato il Suo messaggio ed il Suo ruolo di artefice della Redenzione e lo ha condannato alla crocifissione, sebbene innocente. Gesù Cristo ha infatti umiliato sé stesso per il riscatto degli altri[6]. Questa interpretazione è suggerita mediante l’abbigliamento della Vergine, attraverso il Suo sguardo pensieroso, che, nel volto, esprime la drammaticità del patimento ingiusto e della sorte del Figlio, descritta nella Tradizione Scritturale. Nella posizione particolare che occupa, Maria, anche in questo contesto, svolge un ruolo importante nella rappresentazione del Messaggio: posta nell’angolo sinistro della scena, sembra segnare l’ideale passaggio dal dominio della Legge antica all’affermarsi della nuova norma cristiana fondata sull’Amore.

Ella è la Testimone muta di un dramma, che trova la Sua giustificazione nelle profezie veterotestamentarie, sicuramente note alla Vergine, che, da ebrea osservante, dovette conoscere bene la Scrittura, quindi, il ruolo del Messia e la sorte che Suo Figlio avrebbe dovuto affrontare, per rendere testimonianza vera e attuale della fede che La sosteneva in quella circostanza.

Può una tela, “muta” per definizione, continuare a “parlare” ai fedeli e ai visitatori che osservano la scena oggi, dopo oltre 400 anni?[7]

Certo che può farlo, e lo fa a meraviglia, perché Nicola Vaccaro fu un grande Pittore e riuscì e seppe riassumere una molteplicità di messaggi attraverso una “semplice” scena rappresentata su un ordito di tessuto teso fra i quattro lati della cornice di un quadro.

Opportunamente scelsero i nostri Antenati della “Confratanza” di Santa Maria delle Grazie che si impegnarono ad ampliare il precedente tempietto dedicato a “Maria Annunciata” e a trasformarlo in quella splendida Chiesa di Santa Maria delle Grazie che Le dedicarono a Calvizzano.

La nostra Chiesa-Madre vede Maria nel ruolo precipuo della Vergine protagonista e destinataria di quella devozione e di quell’affetto secolare da parte del popolo locale che, attraverso di Lei, onora e giunge alla piena devozione per la Grazia, vale a dire per il Cristo Redentore, che conserva la centralità prevista dai dettami conciliari tridentini.  

Il titolo parrocchiale antico, risalente all’incirca agli ultimi secoli del Primo Millennio, che si richiama all’Apostolo San Giacomo  Maggiore sembra una degna ed opportuna connessione con la Chiesa mariana, per cui non pare riduttivo affermare che la “Parrocchia di San Giacomo Apostolo” di Calvizzano trova, da oltre 400 anni, “ospitalità”, sede ed accoglienza nella Chiesa di “Santa Maria delle Grazie”, cioè “della Grazia”, fra i fedeli locali.     

E come chiudere al meglio questo approfondimento sulla nostra antica Chiesa mariana di Calvizzano, se non citando la parte iniziale del Canto XXXIII del Paradiso dantesco? Quella in cui San Bernardo rivolge alla Vergine Maria la sua preghiera più ispirata, affinché Ella interceda perché sia consentito al Poeta di avere, per un attimo, da vivo, la Visione di Dio Uno e Trino: Dante, mediante poche immagini potenti, consegna così a noi lettori del XXI secolo un mondo di fede, di devozione, di sintesi della Storia della Chiesa e della Teologia. Ecco, dunque, i versi ai quali intendo riferirmi:

1.          <<Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio,

2.          umile ed alta più che creatura,

3.          termine fisso d’etterno consiglio,

4.          tu se’ colei che l’umana natura

5.          nobilitasti sì, che ‘l suo fattore

6.          non disdegnò di farsi sua fattura.

7.          Nel ventre tuo si raccese l’amore,

8.          per lo cui caldo ne l’etterna pace

9.          così è germinato questo fiore.

10.       Qui se’ a noi meridiana face

11.       di caritade, e giuso, ‘intra mortali,

12.       se’ di speranza fontana vivace.

13.       Donna, se’ tanto grande e tanto vali,

14.       che qual vuol grazia e a te non ricorre

15.       sua disianza vuol volar sanz’ali[8].

16.       La tua benignità non pur soccorre

17.       a chi domanda, ma molte fiate

18.       liberamente al dimandar precorre.

19.       In te misericordia, in te pietate,

20.       in te magnificenza, in te s’aduna

21.       quantunque in creatura è di bontate.

22.       Or questi, che da l’infima lacuna

23.       de l’universo infin qui ha vedute

24.       le vite spiritali ad una ad una,

25.       supplica a te, per grazia, di virtute

26.       tanto, che possa con li occhi levarsi

27.       più alto verso l’ultima salute.

28.       E io, che mai per mio veder non arsi

29.       Più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi

30.       ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

31.       perché tu ogni nube li disleghi

32.       di sua mortalità co’ prieghi tuoi,

33.       sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.

34.       Ancor ti priego, regina che puoi

35.       Ciò che tu vuoli, che conservi sani,

36.       dopo tanto veder, li affetti suoi.

37.       Vinca tua guardia i movimenti umani:

38.       vedi Beatrice con quanti beati

39.       per li miei prieghi ti chiudon le mani!>>.

 

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Versione in lingua corrente degli stessi versi

(Paradiso, Canto XXXIII, versi 1 - 39).

(La scansione che segue è operata per singola terzina, e non per versi, vista la difficoltà di far coincidere la versione in prosa con il verso specifico).

<<Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio Gesù, più umile e più nobile di ogni altra creatura, meta prefissata della decisione divina,

tu sei la donna che ha nobilitato a tal punto la specie umana che il suo Creatore non disdegnò di diventare sua creatura.

Nel suo ventre si accese il Divino Amore, per il cui calore è così germinata, nella beatitudine eterna dell’Empireo, questa Candida Rosa di noi beati.

In Cielo tu sei per noi una fiaccola ardente di carità, e sulla Terra, tra gli esseri umani, sei fonte inesauribile di speranza. 

Signora, sei tanto grande e tanto potente, che chiunque voglia ottenere una grazia e non faccia ricorso a te, rende vano il proprio desiderio.

La tua bontà non solo soccorre chi la invoca, ma spesso previene spontaneamente la richiesta.

In Te si concentrano misericordia, pietà, grandezza e tutto ciò che vi è di buono nelle creature.

Ora costui (Dante), che dal punto più basso dell’Universo, l’Inferno, fino a qui ha visto, ad una ad una, le condizioni delle anime,

Ti supplica, per grazia, di concedergli tanta virtù da potersi elevare con lo sguardo più in alto ancora, verso Dio, compiuta fonte di beatitudine.

E io, che mai non arsi dal desiderio di vedere Dio più di quanto ora io desideri che costui Lo veda, Ti porgo tutte le mie preghiere, e prego che non siano insufficienti,

affinché Tu, o Maria, con la tua intercessione, dissolva ogni ostacolo dovuto alla sua condizione di creatura mortale, in modo che gli si manifesti la Somma Beatitudine Celeste, cioè Dio stesso.

Ti prego ancora, Regina che puoi ottenere da Dio tutto ciò che vuoi, che Tu conservi sano il suo animo, dopo una così alta visione.

La Tua amorevole custodia e protezione vinca gli impulsi meno buoni della debole natura umana: guarda Beatrice con quanti beati Ti prega per esaudire la mia preghiera>>.

Prof. Luigi Trinchillo


[1] Se pensiamo che, in epoca medievale, questa data era considerata come l’inizio dell’Anno della Salvezza, ci rendiamo conto che da essa scaturivano conseguenze civili ed economiche. Non è un caso che Dante Alighieri immagina che l’inizio del suo viaggio ultraterreno avvenga (probabilmente) proprio in tale giorno: ecco perché, in occasione del Settimo Centenario della morte del Poeta (2021), il 25 marzo è stato scelto come “Dantedì”, giorno, cioè, di celebrazione del Padre della nostra lingua e punto di riferimento per la cultura del nostro Paese.

[2] Il più recente Concilio Ecumenico, il Vaticano II (1963-65), ha ribadito con enfasi che Maria Vergine è “Madre di Dio e Madre della Chiesa”.

[3] Fu San Paolo VI, il Pontefice che presiedeva la sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, in cui l’Episcopato Nordamericano soprattutto, avanzò la proposta di prendere in esame la possibilità di una dichiarazione dogmatica conciliare sul ruolo della Vergine quale “Corredentrice” della storia della Salvezza, che ne impedì l’approvazione, che avrebbe ancora di più scavato un fossato fra i Cristiani, allontanando ulteriormente quell’Unità che da secoli si è cercato faticosamente di ristabilire.

[4] Giovanni 2, 1-11.

[5] Mi corre l’obbligo morale oltre che storico di ricordare, a questo proposito, una celebrazione eucaristica presieduta da Monsignor Pasquale/Giovanni Orlando in cui il Celebrante invitava i fedeli presenti ad avvicinarsi, dopo la Santa Messa, alla tela del Vaccaro per guardare più da vicino questo prodigio, la cui “lettura” era ormai divenuta difficoltosa, a causa della vetustà del capolavoro e della polvere che si era accumulata sul quadro nel tempo. Fu in quella occasione che Monsignore Orlando, prestigioso docente di Tomistica alla Facoltà Teologica Napoletana, approfondì il tema del rapporto tra “Santa Maria delle Grazie” ovvero “della Grazia”, cogliendo lo spunto proprio dalla simbologia allegorica delle gocce di latte scaturenti dal seno di Maria, ma solo per l’azione diretta del Figlio. L’episodio è da ascrivere al periodo in cui si lavorava, a livello locale, alla “Fase Parrocchiale” del XXX Sinodo della Chiesa Napoletana, indetto profeticamente e condotto con grande carisma da Sua Eminenza il Cardinale Corrado Ursi, Arcivescovo Metropolita di Napoli. Chi stende oggi questa relazione fu presente a quell’evento liturgico e ne rende testimonianza.

[6] Chiaro il messaggio di San Paolo nella Lettera ai Filippesi 2, 5-11.

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