Esclusiva calvizzanoweb, nuovi particolari sulla storia della Chiesa Santa Maria delle Grazie

                                                  

In un verbale redatto in stile cancelleresco, al termine della visita pastorale “ad parrocchialem Ecclesiam s(anc)ti Jacobj” della cittadina detta “Carvizzanj”, effettuata dall’Arcivescovo di Napoli Cardinal Francesco Carafa, il 16/17 Agosto dell’anno 1542, viene riferito che il presule, dopo aver visitato la Chiesa parrocchiale di San Giacomo Apostolo, in una sede alquanto decentrata, ormai, rispetto al cuore del centro abitato locale[1], si recò a visitare nel paese una piccola Chiesa dedicata a Maria, in posizione meno periferica e meglio strutturata staticamente nell’edificio. L’antico tempio parrocchiale, risalente a circa un secolo prima dell’anno 1000, infatti, mostrava i segni lasciati da moti tellurici susseguitisi nel tempo e da qualche evento occasionale, come un incendio ed altro, per cui il Vescovo autorizzò a trasferire le Sacre Particole, a celebrare Messa e ad amministrare i Sacramenti nell’altra e più sicura Chiesa. Il solo Fonte battesimale rimase, ancora per qualche tempo[2], nella primitiva sede, ma presto anch’esso fu spostato al centro. Così il Tempietto/Chiesa dedicato alla Vergine Maria cominciò a garantire le funzioni parrocchiali ed occorse effettuare dei lavori importanti per ingrandirla e renderla adatta al suo nuovo ruolo, dal momento che essa era limitata, in pratica, a quella che è oggi la terza cappella sulla destra, entrando nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Dov’è attualmente il “cappellone” di destra c’era il campanile, che andò parzialmente distrutto nella notte della vigilia di Natale del 1696, con accanto un oratorio dove si riunivano gli aderenti ad un’antica “Confratanza”[3], che, proprio a seguito di quell’incendio decisero di avviare la costruzione di una nuova Chiesa, staccandosi definitivamente dalla sede parrocchiale: nacque così quella che è tuttora detta “Congrega dell’Assunta”. La Chiesa attuale fu dedicata, allora, a “Maria, Madre della Grazia”, quindi, a “Santa Maria delle Grazie”, che divenne de facto e per necessità logistiche, sede dalla “Parrocchia San Giacomo” in Calvizzano, ospite, pertanto in una Chiesa mariana. C’è da ricordare che, nel paese, era particolarmente diffusa la venerazione per la Madonna (con qualsiasi attributo o titolo venisse appellata: Annunziata, Assunta, del Rosario, del Carmine, Immacolata, ecc.), devozione ribadita e confermata dalle decine di edicole stradali che il passante, anche occasionale, incontrava, spostandosi da un punto all’altro del piccolo centro[4]. L’edificio di Santa Maria delle Grazie andò arricchendosi, nel tempo, di numerose parti, aggiunte grazie all’intervento di benefattori e devoti benestanti, ma anche con offerte raccolte per progetti specifici e finalizzati, fino a diventare quello che si presenta attualmente. La decisione di costruire una nuova Chiesa “quattro volte più grande, più alta e più bella di quella di prima”[5] fu presa dai cittadini della “Universitas Calvizzani”, cioè della “Comunità di Calvizzano”[6], anzi fu costituita una “Confratanza”, già nel 1550, allo scopo di raccogliere offerte e donazioni per l’edificazione della nuova Chiesa. Il tempietto dell’Annunciazione fu esteso, così, progressivamente: in un documento del 1598 si precisa che essa fu ingrandita fino a raggiungere i 32 metri di lunghezza, compresa la tribuna; i 10,50 metri di larghezza e i 21 metri di altezza, “con tre grandi finestre esposte ad oriente” ed altrettante ad occidente, con un finestrone “ad occhio” sulla porta, per dare luce ed aria all’interno. In origine, c’erano solo le due porte laterali, con ballatoi e parapetti di piperno, aperte fin dal 1608, che servivano per l’accesso facilitato del popolo alle funzioni liturgiche dalla strada maestra. Non a caso, fu edificato un Battistero (solo oltre due secoli dopo arricchito di una base marmorea), proprio accanto alla porta che attualmente dà sulla piazza Umberto I. La porta centrale fu aggiunta solo in un momento successivo, quando il progetto previde anche la costruzione della bella cupola, che andò a sostituire la tribuna, di pari altezza, all’incirca, che offre uno squarcio di grandiosa ed ardita bellezza a tutto l’edificio, non facilmente reperibile in altre chiese, anche di paesi maggiori, della nostra zona[7]. L’organo, con armoniche e lucide canne, per l’animazione e l’accompagnamento musicale delle attività religiose, risulta presente fin dal 1684 e, per fargli posto, fu necessario chiudere il primitivo finestrone circolare “ad occhio”, che, fino ad allora, dava luce all’interno, dal fondo dell’edificio. Originariamente, il pavimento era di semplice terra battuta, sostituita, nel 1744, da mattoni lucidi rivestiti a disegni e a festoni e, finalmente, nella seconda metà dell’Ottocento, poco dopo la proclamazione del Regno d’Italia, ricoperto di marmo prezioso, così come di marmo furono rifatti la balaustrata e l’antico pulpito di pietra e legno, posto al centro della navata[8]. In quest’ultima occasione, furono rimosse tutte le antiche pietre sepolcrali dal pavimento, testimonianza della gratitudine della Comunità parrocchiale per i maggiori mecenati e benefattori susseguitisi negli anni. Esse sono, in gran parte, andate disperse: se ne conserva integra una sola, splendida, grazie al fatto che essa apparteneva a Don Salvatore Visconti, grande benefattore della Chiesa parrocchiale, che, dopo la rimozione, fu murata nella parte posteriore dell’altare maggiore: ciò l’ha preservata dall’oblio e dalla distruzione[9]. In relazione al soffitto dorato, c’è da ricordare che la sua costruzione è da attribuire ad un periodo successivo al 1600, quando la struttura della Chiesa fu completamente definita ed ultimata. Fino ad allora la parte interna del tetto era costituita da semplici travi ed architravi “a vista” e solo all’inizio del XVII secolo fu possibile completarla con un’opera di grande valore artistico e di grande pregio. Al centro dell’enorme superficie in oro zecchino, con cornici “a brachettone”, che lo suddividono in zone arricchite da festoni di fiori[10], con immagini di senso e di valore religioso non sempre né del tutto chiaro, al di là del ruolo figurativo tipicamente barocco. Ci sono, ad esempio, otto quadri: quattro di essi potrebbero raffigurare le virtù cardinali[11], con immagini in stile ed atteggiamento secentesco; sulle altre, ogni congettura è possibile, ma anche contestabile. Ruolo preponderante per il valore del soffitto lo ricopre l’enorme tela con l’immagine incorniciata in bordi ottogonali, di “Maria Assunta in Cielo”, accolta da una schiera di Angeli, con gli Apostoli e i discepoli che osservano la scena e trattengono fra le mani gli abiti terreni della Madonna, guardando attoniti ed un po’ stupiti ciò che sta accadendo attorno a loro. Il dipinto fu eseguito dal pittore napoletano Andrea Malinconico, rinomato all’epoca e non di secondo piano, che lo eseguì su tela nel 1676. Secondo quanto risulta da una tradizione antica, i quadri di minore dimensione sarebbero opera del Domenichino, altro pittore del periodo, ma tale notizia appare di difficile veridicità, dal momento che questo artista risulta già defunto all’epoca in cui il soffitto sarebbe stato completato[12]. Sono, invece, certamente di un pittore famoso dell’epoca barocca le tre enormi tele che abbelliscono i tre cappelloni principali: quello di Maria Madonna delle Grazie sull’Altare maggiore, “titolare” della Chiesa; quello di Gesù che porta la Croce verso il Calvario, con una straordinaria rappresentazione della Veronica; infine, quello della deposizione dalla Croce di Gesù, con le figure di Maria, delle Pie Donne e del discepolo che “adotta” la Madonna, nel momento del supplizio che precede la morte del Signore, cioè Giovanni Evangelista. I tre quadri, di notevole grandezza e di effettivo valore artistico, sono sicura opera di Nicola Vaccaro. Abbiamo notizia di ciò anche attraverso alcuni documenti conservati nell’Archivio parrocchiale, da cui risulta che il pittore napoletano accettò di eseguire “a fresco”, cioè direttamente sulle pareti, le tre immagini appena descritte, ma accettò di modificare successivamente il progetto, per l’allargamento delle pareti della Chiesa nella parte circostante e sottostante la maestosa cupola[13], con la creazione dei due cappelloni laterali e di quello dietro l’Altare maggiore, probabilmente anche per la cattiva tenuta del colore degli affreschi appena avviati. A quel punto, si decise di farne dei quadri su tela e non più “a fresco”, con la stipula di un nuovo contratto ed il versamento di 450 ducati, somma notevole all’epoca[14]. La Chiesa riceveva luce e aria attraverso i grandi finestroni che sono posti sulle pareti sottostanti la cupola e lungo la navata centrale. La cupola stessa fu resa più luminosa grazie alla creazione di un “cupolino”, sovrastato da una croce di ferro, il tutto abbellito da maioliche bicrome, gialle e verdi, che la rendevano riconoscibile da lontano, fra le chiese del circondario[15]. Anche la Sacrestia subì vari cambiamenti: la prima fu costruita dopo il 1658, poi sostituita da quella nella posizione simile all’attuale, fatta edificare alla metà del secolo successivo. Grazie all’acquisto da parte dell’Amministrazione laicale del terreno che circondava posteriormente la Chiesa, il cui proprietario era il più volte citato notaio Marco Antonio Sirleto, furono, nel tempo, creati un passaggio laterale interno fra i due lati dei cappelloni, una cappella feriale consacrata e dedicata a Maria sotto il titolo dell’Immacolata[16], speculare rispetto alla Sacrestia, un ampio giardino posteriore utile per le attività pastorali e liturgiche, attualmente trasformato e straordinariamente abbellito, nel 2015, grazie all’intuito e all’impegno profuso dal Parroco Don Ciro Tufo.

Il Gruppo di ricerca parrocchiale: prof. Luigi Trinchillo, don Ciro (parroco chiesa Santa Maria delle Grazie, meglio conosciuta come San Giacomo), Maria Luisa Sabatino (architetto), Lina Feola (impiegata)   




[1] Era in quella stradina periferica che collegava il paese di Calvizzano a Marano e a Mugnano, conosciuta dal popolo locale comunemente come “Via di Santo Jacolo” o “Santo Jacono”: il nome è rivelatore che lì dovette esserci fin dai tempi più antichi un tempio dedicato al protettore, cioè San Giacomo Apostolo Maggiore.
[2] La tradizione preciserà in seguito che tale Chiesetta era dedicata a Santa Maria “Annunziata”, cioè all’Annuncio effettuato dall’Arcangelo Gabriele a Maria, di cui si conservava in sede un’immagine poi trafugata: in realtà, i documenti dell’epoca parlano genericamente di una Chiesa mariana, senza altro titolo, ma si può ritenere che fosse consacrata a quell’episodio evangelico messo bene in luce dal capitolo 1 di San Luca (versetti 26-38). Non esistendo nel paese alcun altro Tempio dedicato a Maria, tranne quello a cui si fa cenno in una testimonianza del 1012 intitolato a “Santa Maria Annunziata”, è lecito pensare che la visita pastorale riguardò proprio tale edificio.
[3] Il termine, ora in disuso, stava ad indicare un’associazione di cittadini che si occupavano della parte burocratica ed amministrativa della Chiesa, con la particolarità che essa era autorizzata a raccogliere le elemosine, le offerte e le donazioni da utilizzare per finalità specifiche e per provvedere al fabbisogno ordinario di un dignitoso culto religioso.
[4] In gran parte esse sono state trafugate in tempi recenti, probabilmente per farne commercio da parte dei ladri e collezionisti di cose sacre tradizionali. Qualcuna è stata reintegrata con copie eseguite artigianalmente o addirittura con immagini a stampa.
[5] Sono le parole testuali riprese dalla “Platea”, opera manoscritta lasciataci dal primo notaio calvizzanese Marco Antonio Sirleto, intellettuale ed amante di cose, antiche che ci ha consentito di conoscere fatti e notizie relative al nostro paese, tramandandoci particolari storici altrimenti irreperibili. 
[6] La scritta, a perenne memoria, appare ancora oggi nello stemma posto al centro del grande arco che delimita la zona che, preceduta da una balaustra, introduce all’antico altare maggiore.  
[7] Non è dato sapere se la “tribuna” di cui parlano i documenti più antichi (il già citato Sirleto nella sua “Platea” e le relazioni che sempre facevano seguito alle Visite pastorali dei Vescovi di Napoli) possa/debba essere intesa come una parte originaria dell’attuale cupola oppure un elemento architettonico differente, poi abbattuto per far luogo alla vera e propria cupola attuale.
[8] Tale modifica comportò una spesa molto cospicua per l’epoca: ben 9000 lire, coperta con la vendita e/o cessione di appannaggi e lasciti di alcuni terreni attribuiti in beneficio della Chiesa e della Parrocchia.
[9] I Visconti furono grandi benefattori e finanziatori della Chiesa di Santa Maria delle Grazie: lo attesta plasticamente il soffitto in oro zecchino risalente all’epoca barocca: ai quattro angoli, infatti, è rappresentato lo stemma nobiliare tradizionale della vipera tortuosa che divora un bambino che tenta di divincolarsi. La leggenda lo attribuiva ad Ottone Visconti che, ucciso in duello un saraceno che aveva sullo scudo quell’immagine, la fece sua e la trasmise all’arma della Casata.
[10] Caratteristica comune a quasi tutti gli edifici costruiti nell’epoca secentesca e in stile barocco, in specie napoletano.
[11] Era la tesi sostenuta dal compianto Parroco Don Luigi Ferrillo, che, non a caso, volle sceglierle per illustrare un calendario distribuito in Parrocchia un ventina d’anni fa.
[12] Si potrebbe ipotizzare che, a tale artista o almeno alla sua “bottega”, potrebbero essere attribuite le due tele che sono ai due lati dell’Altare maggiore, dedicate una a San Michele Arcangelo che preserva i credenti, tenendo a bada il demonio, l’altra a San Luigi Gonzaga, certamente memoria del particolare legame che esisteva, all’epoca, con la Compagnia di Gesù, ovvero i Gesuiti, cui apparteneva tale Santo, protettore delle nuove generazioni e testimone di carità.
[13] In quel momento la Chiesa assunse definitivamente l’aspetto “a croce latina”, che conserva tuttora.
[14] I dipinti, pur rivelando tutti i problemi di opere simili esposte in ambienti aperti e molto vasti, qual è la nostra Chiesa, si conservano espressivamente bene, seppur qua e là danneggiati, tranne che nel colore del manto della Madonna dei due quadri speculari, che furono ripresi in modo “improbabile”, in un fallito tentativo di restauro, effettuato nel passato.
[15] I documenti dell’epoca parlano di “riggiole” colorate.
[16] Si pensi a quanto dovesse essere profondo e significativo il rapporto del popolo di Calvizzano col culto mariano, riflettendo sulla circostanza che, solo nel 1854, il papa Pio IX avrebbe proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria: ebbene, già da secoli, Ella veniva invocata con quel titolo.

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