Don Crescenzo Grasso, il ricordo dell'indimenticabile sacerdote calvizzanese a 26 anni dalla sua morte: altro prezioso pezzo, esclusiva del nostro blog, scritto dal prof. Luigi Trinchillo

 “In sintesi, il quadro complessivo che si ricava dal ricordo di una persona come don Crescenzo Grasso, anche a distanza di anni dalla sua scomparsa, risulta quello di un uomo credibile, concreto, "con i piedi per terra", testimone della sua fede, impegnato e, in nessun caso, “chiacchierato”, come, purtroppo, avviene frequentemente, quando si risiede in un centro piccolo come Calvizzano, dove tutti conoscono tutti e talvolta si arrogano il diritto di critica e di giudizio, a proposito e, più spesso, a sproposito”


                                                     

Padre Grasso (nato a Calvizzano il 28-07- 1915, ivi deceduto il 9-10-1997) fu il “confessore di sempre” del prete calvizzanese Michele Ciccarelli che gli ha dedicato una poesia: “In Memoria di don Crescenzo Grasso”. Al sacerdote è stato dedicato il Centro Sociale Anziani di fronte al Comune   

Quando mi è stato chiesto di ricordare con un breve scritto Don Crescenzo Grasso, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata la splendida espressione dantesca “la cara e buona immagine paterna”. Infatti, per le persone attualmente adulte del nostro Paese, il ricordo di Don Crescenzo è indelebile, vuoi che frequentassero la Chiesa, vuoi che fossero del tutto indifferenti alla religione, perché era quasi impossibile non notarlo: continuò, fino alla fine dei suoi giorni, ad indossare la “talare”, laddove, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, la quasi totalità dei presbiteri aveva optato per il clergymen, l’abito “civile”, pur con il colletto caratteristico e una piccola Croce sul risvolto della giacca. Don Crescenzo proseguì, invece, nella sua autonoma scelta, ad usare il “vecchio” modo di vestire, perché, diceva, un prete dev’essere distinguibile immediatamente, anche da chi non lo conosce né distingue i particolari esteriori dell’abbigliamento quotidiano dei sacerdoti. Ma non si creda che fosse un “passatista”: un episodio particolare può ben sintetizzare la circostanza che vedesse di buon grado la partecipazione attiva dei laici nella nuova visione della Chiesa post-conciliare. Infatti, quando fu avviata, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, la fase operativa, a livello parrocchiale, dei lavori del XXX Sinodo della Chiesa di Napoli e il Parroco Don Peppino Cerullo di venerata memoria affidò all’estensore della presente nota l’incarico di Coordinatore responsabile dei lavori per la nostra Comunità di San Giacomo, avvenne un colloquio rivelatore. L’impegno comportava, fra l’altro e nello specifico, la presentazione e l’introduzione al popolo dei fedeli dei documenti proposti da Sua Eminenza il Cardinale Corrado Ursi, l’organizzazione degli interventi, le comunicazioni ed i rapporti con il Centro diocesano preposto. Ebbene, Don Crescenzo, al termine di una delle numerose manifestazioni che si tennero in quel periodo, in Chiesa (oppure nei locali della Canonica o nella sala-teatro), alle quali egli partecipava sempre con interesse ed attenzione, proponendo, nell’immediato, o successivamente, qualche opportuna puntualizzazione, si avvicinò per plaudire all’iniziativa del coinvolgimento responsabile dei laici, osservando che mai, negli  anni dei suoi studi preparatori nel Seminario, avrebbe immaginato che avrebbe visto dei laici impegnati e capaci di “parlare in modo tanto convincente e credibile, proprio in quanto laici, per cui il loro messaggio sarebbe potuto giungere più facilmente anche ai lontani”. Da buon Sacerdote, Don Crescenzo attribuiva al Sacramento della Riconciliazione, vale a dire alla Confessione, un’importanza grandissima: era facile, allora, vederlo per lunghe ore seduto nel Confessionale, in particolare quello sistemato nel cappellone che ospita la tela della Deposizione di Gesù dalla Croce di Nicola Vaccaro. Egli era sempre disposto all’ascolto, ad offrire conforto e consigli nella sua “direzione spirituale”, a suggerire esemplificazioni di vita pratica anche a coloro che si avvicinavano al Sacramento del Perdono solo in occasioni eccezionali. Il penitente si allontanava dal Confessionale con la sensazione di “potercela fare” a migliorare, a superare un momento di impasse esistenziale. A giudicare dalle circostanze esterne, dovette essere quello di Confessore il suo carisma più efficace, viste le ore impegnate in tale missione. Inoltre, per buona parte della sua vita presbiterale, Don Crescenzo svolse il ruolo effettivo di Cappellano (ufficioso o ufficiale che fosse) della Congrega dell’Assunta e di San Ciro, celebrandovi puntualmente la Santa Messa ogni domenica mattina e nei giorni festivi, garantendo celebrazioni liturgiche partecipate e dignitose, come anche nelle annuali e tradizionali “novene” in onore di San Ciro, della Santissima Vergine Maria Assunta in Cielo e, talvolta, di Sant’Antonio, organizzando, sempre in sintonia con il Parroco, le manifestazioni esterne, in particolare, la processione per le strade cittadine, della venerata icona di San Ciro, fatta per la speciale devozione riservata a questo Santo nella nostra Comunità, da tempo immemorabile. Egli attribuiva tale rapporto preferenziale alla circostanza che San Ciro fosse il Medico perfetto, capace di affrontare qualsiasi morbo del corpo e dello spirito, con l’ausilio della fede. Lo stile delle Omelie che Don Crescenzo teneva durante la celebrazione della Santa Messa, era sempre asciutto, concreto, efficace, che non perdeva mai di vista il testo delle Sacre Scritture appena proclamate, così da coinvolgere ed interessare i partecipanti al rito. Egli stesso confermava di preparare puntigliosamente gli interventi domenicali, leggendo ed approfondendo, nella settimana precedente, le pericopi previste, così da giungere all’ambone, controllando la materia, e tuttavia inserendovi osservazioni e riflessioni tratte dalla più stretta attualità. Non mancava di interessarsi delle problematiche dei più giovani: infatti, per anni svolse il ruolo di docente di Religione in istituti secondari statali di secondo grado napoletani. Assistito amorevolmente dalla sorella Margherita, anche dopo il matrimonio di lei, condusse una vita serena fino alla fine. Quando l’Arcivescovo di Napoli gli prospettò la possibilità di divenire Parroco dell’erigenda Parrocchia di San Ludovico d’Angiò, a Marano di Napoli, optò di rimanere a Calvizzano, ritenendo che l’impegno propostogli fosse troppo gravoso, ormai, per una persona della sua età, non più giovanile. Riprese, così, i suoi impegni pastorali, mai pentendosi della rinuncia effettuata. Preferì, in realtà, proseguire nello svolgimento della missione cui si sentiva vocato e a cui si era dedicato con abnegazione, fin da quando era giovane Sacerdote, di Confessore e di coadiutore dei vari Parroci susseguitisi a Calvizzano in quasi mezzo secolo, sempre discreto e disponibile verso gli altri. L’ultimo ricordo dello scrivente vede Don Crescenzo all’Ufficio Postale di Calvizzano, reciprocamente in una fila sostenuta, come sempre accade nelle giornate di riscossione degli assegni pensionistici o di altre scadenze obbligate. Eccolo, allora, un po’ trafelato, ultimo arrivato, in attesa del proprio turno. Fu una gioia che, a distanza di anni ancora rasserena, lo scambio del turno. Effettuata l’operazione allo sportello, prima di allontanarsi, ringraziò con l’abituale semplicità e la naturale schiettezza, confermando che avrebbe desistito dall’attendere di entrare, quella mattina, se il Signore non fosse intervenuto per rendergli meno ardua l’incombenza, poiché “veramente non si sentiva bene”. Non ci si rivide più e, difatti, non molto tempo dopo, si spense, sembrando a chi lo conosceva che se ne fosse andato in punta di piedi, con la stessa discrezione che aveva caratterizzato l’intera sua vicenda umana. Fu sempre cittadino esemplare e coerente con il suo credo religioso ed il suo impegno sacerdotale. In sintesi, il quadro complessivo che si ricava dal ricordo di una persona come Don Crescenzo Grasso, anche a distanza di anni dagli eventi e dalla sua scomparsa, risulta essere quello di un uomo credibile, concreto, “con i piedi per terra”, testimone della sua fede, impegnato e, in nessun caso, “chiacchierato”, come, purtroppo, avviene frequentemente, quando si risiede in un centro piccolo come Calvizzano, dove tutti conoscono tutti e talvolta si arrogano il diritto di critica e di giudizio, a proposito e, più spesso, a sproposito.
Prof. Luigi Trinchillo

“In Memoria di Don Crescenzo Grasso”, la poesia del sacerdote-poeta Michele Ciccarelli  

“Miserere mei, Domine,
miserere mei”.
Nella penombra sottile
-misterioso richiamo –
mi inginocchiavo
dinanzi a te, Crescenzo,
sacerdote.
E ti chinavi in ascolto,
giudice e padre.
Mi davi speranza
ogni volta,
scoglio sicuro per me,
pellegrino nei flutti.
Sempre ti vidi assorto,
mai svagato né perso.
Attendevi paziente
Il tuo gregge
-mutevole stirpe-
venirti incontro
col viso contrito.
Allora, chiudendo il breviario,
con bianche mani
tracciavi nell’aria
il segno di croce.

Michele Ciccarelli: “Dedicata al mio confessore di sempre”

Don Crescenzo è vissuto, fino alla sua morte, in via De Gasperi a Calvizzano.  

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