Marano, Pasquale Cappuccio (‘O PPESCE) vendeva caldarroste

 

Si esprime con un linguaggio gutturale e per lo più fatto di monosillabi.

Veste con residui di giacche e pantaloni militari.

Barba incolta e faccia di uno che non se la prende. Una pancia che no dice nulla di buono. Nei giorni festivi sta a Piazza Municipio a fianco della cremeria. Per il resto della settimana staziona ai “semafori” (incrocio di via Merolla) a fianco del casotto dei vigili urbani.

E’ l’unico cittadino maranese ad avere tutti i requisiti per ottenere dal Comune case, sussidi, posto di bidello, lavoro fisso. Ed è l’unico che non ha mai varcato l’uscio della casa comunale per infoltire il numero dei “clientes” che per poco non vi ci fanno anche una casa. C’è sole o c’è pioggia, c’è vento o neve, la sua voce rotta nella gola ti fa compagnia. A volte più che un invito ad acquistare, sembra un lamento di chi deve sopportare un peso troppo grave. Ma non si lamenta, anche se un po' di malinconia l’avverti nella fragile moglie che di tanto in tanto gli sta vicino in lunghi silenzi.

Vive libero e sai che ti senti accusato dal fatto che lui stia lì a rincorrere le ore ed a spegnere vari sogni vendendo caldarroste che nessuno acquista “veramente” per mangiarle.

Vive, con i suoi numerosi figli, nel “vascio” a vico Arezzo.

Chi ha avuto una casa comunale al suo posto, ha inventato che un tempo anche lui avrebbe avuto un’abitazione nuovissima, che rivendette quasi subito.

Ma lui non replica ed avverte di non avere mai fatto del male a nessuno, di essere sempre stato onesto.

“Professò, tengo sete!”. Ed il tono non è supplichevole, né di uno che si sente vinto. Nessuno ha mai saputo chi un tempo lo abbia definito “’O PPESCE”. E per tutti quello oggi e il suo nome.

Articolo, compresa la foto, pubblicato sul libro “Marano, una presenza millenaria” di Enzo Savanelli e Angelo Marra, stampato nel 1988 presso le Arti Grafiche Longobardi sas di Marano



Savanelli e Marra in una foto del 1988

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