“Datemi un quaderno”: inserito nell’antologia solidale Anthos il brano della preside green De Biase su Mimmo Schiattarella, un eroe che non si è piegato alla paura
“Mimmo,
un Peppino Impastato versione nostrana”
“Datemi un quaderno”
Erano
gli anni settanta in un paese a nord di Napoli. Lui si chiamava Mimmo ed era un
ragazzo colto, molto impegnato sia politicamente che a livello sociale.
Preparato ed intelligente denunciava l’abusivismo edilizio, il dissesto
idrogeologico, i roghi tossici, lo smaltimento illegale dei
rifiuti. Non eravamo amici, lui aveva poco più di vent’anni, io ero
più piccola di qualche anno. A quell’età anche pochi anni di differenza
segnavano una distanza importante. Ero una ragazzina e lui ai miei occhi
sembrava un uomo, un adulto. Quando poi consideravo quello che faceva, il
coraggio con cui affrontava i potenti, le ingiustizie, i soprusi, le
illegalità mi appariva come un gigante, un mito. Era dinamico, veloce,
indossava una borsa di cuoio a tracolla, le mani e le braccia sempre occupate
da libri, quotidiani e manifesti. In quegli anni era attiva a Marano una radio
libera che con il suo direttore, un giornalista, storico, intellettuale di
grande levatura (Enzo Savanelli, ndr) era divenuto un luogo obbligato per chi
si interessava di politica, di attualità, di cultura. Anch’io
frequentavo “Radio Alternativa” ed, insieme ad un’amica, ero riuscita anche ad
avere uno spazio radiofonico con una trasmissione che si interessava dei
diritti delle donne, di parità di genere. Ma questa è un’altra storia. E’
presso la sede della radio che ho visto, qualche volta Mimmo, circondato da
amici parlava, raccontava, si arrabbiava, concordava strategie ed interventi.
Era un ragazzo coraggioso, scriveva, denunciava e scriveva, scriveva sempre.
Scanzonato ed irriverente affrontava a viso aperto amministratori, imprenditori
e politicanti. L’ho anche ascoltato qualche volta per strada, nei comizi dove
non risparmiava attacchi diretti ai potenti che di lì a poco avrebbero
“saccheggiato” definitivamente il paese, la terra, le colline circostanti,
rubandoci identità ed appartenenza. E lui, forse l’unico in quegli
anni, con quella modalità, faceva nomi e cognomi, indicava con precisione fatti
e circostanze, affari e malaffari. Io guardavo a lui con
ammirazione, con stima e grande rispetto. Ribelle e scapigliata ero
affascinata dal suo entusiasmo e dalla sua energia. Poi venne il tempo delle
minacce e poi quello delle botte e poi della bomba a Radio
Alternativa. Lo aspettavano di sera mentre tornava a casa, a piedi e
lo massacravano di botte. Tante volte al pronto soccorso, tante fughe dal paese
per mettersi al riparo, tanti rientri fugaci e ancora minacce a lui, alla sua
famiglia e poi ancora agguati e percosse. In tanti lo misero in guardia, lo
pregarono di essere più cauto. Ma Mimmo non era uno che si poteva fermare né
piegare. Continuò a parlare, a denunciare, ad urlare la verità. Alla
fine Mimmo impazzì. Troppe paure, costretto ad una vita drammatica, a
nascondersi, a scappare, a farsi medicare nei numerosi ricoveri ospedalieri. E
poi è arrivato l’oblio. Lui e la sua storia fagocitati, dimenticati,
cancellati. Un Peppino Impastato in versione nostrana. Ma senza
nemmeno l’onore della memoria, senza l’orgoglio dell’identità. Vive in una casa
di cura, confuso e annullato dai farmaci. Ai familiari che vanno a fargli
visita chiede “ datemi un quaderno”. Cosa scrive questo eroe
dimenticato, questo folle sognatore, cittadino di un paese che
ha rinnegato sé stesso, i suoi uomini migliori, ripiegando sul fetore della sua
luccicante monnezza?
Maria De Biase