Marano, il ricordo di padre Giorgio Ascione a quattro anni dalla scomparsa: scoprì splendidi affreschi al Convento Santa Maria degli Angeli

                                     

Affresco riguardante l'Ultima Cena, da restaurare per salvaguardarlo dal deterioramento

Quattro anni fa moriva padre Giorgio Ascione, stroncato dalla malattia del secolo all’età di 79 anni. Il frate francescano, al secolo Ugo, fu per circa 12 anni padre guardiano al convento Santa Maria degli Angeli di Marano. Era un valente ceramista e amante dell’arte pittorica. Verso la metà degli anni ’90, Padre Giorgio Ascione, all’epoca guardiano del convento dei Francescani di Casalanno, con grande caparbietà riportò alla luce due stupendi affreschi che, oltre un secolo fa, abbellivano le pareti di un locale al piano terra che, dal 1980 e fino al 1996, era stato occupato abusivamente da una coppia di improbabili terremotati. La sua fu una scoperta molto importante.
Tutto cominciò – dichiarò il rettore al periodico L’attesa – verso il 1985. Facendo alcuni lavori di ordinaria manutenzione ai locali al piano terra, pensai all’analogia che questi locali hanno con quelli di tanti nostri conventi, soprattutto dei paesi vicini. E poiché tutti i nostri conventi, nello stanzone analogo a quello occupato dai terremotati, presentavano affreschi con episodi del vecchio e del nuovo Testamento, mi sembrò insolito che a Marano mancassero. Pensai, allora che i “nostri” affreschi potevano essere lì, sulle pareti, sotto un leggero strato di calce. Chiesi perciò ai nostri ospiti terremotati il permesso di fare alcuni saggi esplorativi sulle pareti. La risposta fu incredibilmente negativa e perentoria. Quando, pochi mesi fa (estate del 1996) hanno finalmente abbandonato il locale non mi è sembrato vero di prendere una scala e grattare alle pareti. Ho tolto un primo strato di calce, un secondo, un terzo, un quarto e poi…finalmente ho trovato conferma della mia ipotesi. Sotto la calce c’erano due affreschi stupendi”.
Padre Giorgio, preso dall’euforia della scoperta, non perse un attimo e, giorno dopo giorno, per settimane, grattò, ripulì, sistemò e riportò finalmente alla luce  un’Ultima Cena e una Crocefissione di ineguagliabile fattura. La Sovrintendenza ai Beni culturali, artistici e architettonici, prontamente informata del ritrovamento, preannunciò i fondi per un restauro più definitivo e accurato. Soldi che non sono mai arrivati e gli affreschi non sono neanche stati presi in considerazione durante i lavori di restauro del Chiostro, finanziati con i Fondi PIU EUROPA.
Ma perché opere così belle e pregevoli, che misurano circa 20 mq ciascuna, furono ricoperte di calce, e quando?
Forse – continuò padre Giorgio – in uno dei tanti episodi di colera della seconda metà dell’800, quella sala del convento dal quale erano stati espulsi i frati francescani per ordine del Governo Unitario, avrà ospitato alcuni colerosi, ragion per cui successivamente si è resa necessaria la sua disinfezione mediante calce alle pareti, senza fermarsi neppure davanti agli affreschi”.
L’affresco, alla destra di chi entra, raffigura l’Ultima Cena; sui due lati ci sono San Francesco che riceve le stimmate e Sant’Antonio in adorazione. Quello di sinistra rappresenta il sacrificio di Cristo, condannato al supplizio della croce insieme a due comuni malfattori: ai suoi lati San Pasquale e San Giacomo in adorazione.           

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