Marano, i famosi piselli “Santa Croce”

 



Articolo del 1988 tratto dal libro “Marano: una presenza millenaria” di Enzo Savanelli e Angelo Marra

Un tempo i piselli, assieme alle ciliegie della Recca, erano il prodotto tipico di Marano. Se ne producevano decine di migliaia di quintali all’anno. Oggi, si vedono solo su qualche fazzoletto di terra che, degradando dalla collinetta della Recca, scende fino a Castello Monteleone.

Sono i piselli “Santa Croce, dal nome della località che domina la conca di Quarto, da sempre ricercatissimi dai buongustai per la forma ultrafine e per il sapore dolcissimo. Precocissimi, invadevano i mercati di tutt’Italia fin dal giorno di San Giuseppe e sparivano quando le altre qualità ancora non erano giunte a maturazione. Era il primo prodotto dell’annata.

La produzione, fiorente fino a una decina di anni fa, è crollata da quando le industrie conserviere si sono rivolte ad un prodotto più “grosso”, o all’estero per gli acquisti.

Era il tempo in cui a Marano più della metà dei suoi ventiseimila ettari di terreni era seminata a piselli, l’oro “verde” che produceva ricchezza fin dalla metà di marzo. Allora i carri delle ditte Raffaele Biondi, Castrese De Simone, Salvatore Iaccarino, Salvatore Romano, Castrese Carandente facevano la spola incessantemente tra Marano e la stazione ferroviaria di Napoli, per spedire tonnellate di “Santa Croce” alle più importanti industrie conserviere del Nord. Per accaparrarseli ricorrevano a contratti pluriennali con questi grossisti.

Allora i migliori in assoluto erano quelli prodotti da Castrese Carandente. Il suo segreto consisteva nel seminare i “Santa Croce” tra le piante di una particolare qualità di prugne bianche che solo lui aveva. A partire dagli anni Sessanta la certezza economica per i contadini di Marano si chiamò Cirio. Questa industria riuscì a creare una tale rete di “procacciatori”, che praticamente monopolizzò l’intero prodotto maranese. Ma da una decina d’anni non si fa più vita.

Qualche altra industria che avrebbe potuto sostituirla, si è rivolta ai mercati spagnoli dove il prodotto è più a buon mercato. Motivo per cui ogni anno il bilancio si chiude sempre in modo più drammatico.

In un contesto del genere appare scontata la scelta dei giovani di abbandonare i campi.   

 

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