“Alla ricerca del vecchio mulino”, racconto affascinante per bambini del poeta-scrittore Franco Ciccarelli: una storia degli anni ’70 ambientata a Calvizzano
Personaggi eventi e luoghi reali romanzati. Un racconto dove emergono sentimenti come l’amore e l’amicizia. Franco Ciccarelli: "un omaggio al mio caro paese Calvizzano”
Alla
ricerca
del
Vecchio Mulino
Questa è una storia ambientata, agli inizi degli anni ’70, in un grazioso paese della
provincia
di Napoli di nome Calvizzano. È il paese natale dei due protagonisti ed è con molto
piacere che ci presentiamo a voi, piccoli lettori.
Il
mio nome è Simone, mentre il mio carissimo amico si chiama Luca. Una mattina di
primavera
Luca ed io giocavamo coi soldatini, sotto un grande albero di profumatissimi mandarini,
nel cortile della casa di zia Ida e di zio Giuseppe.
In
realtà, erano i genitori di Luca, che io consideravo alla pari degli zii,
perché mi sentivo parte integrante di quella famiglia, dal momento che zia Ida
era la cugina di mia madre.
I
nostri eroi erano i famosissimi “Lupi dell’Ontario”, capeggiati
dall’impareggiabile
Comandante
Mark e dai suoi amici Mister Bluff e Gufo Triste. Erano bellissimi e colorati, sembravano
quasi veri; li posizionavamo sulla parte alta del fortino costruito su una piccola
isola, quasi al centro del “Lago Ontario”.
No,
non stavamo nel Nord America a giocare: semplicemente avevamo preso una grossa bacinella
piena d’acqua, con un grande sasso che fungeva da isolotto.
Dopo
aver immerso il sasso nell’acqua, posizionammo il fortino su di esso e creammo
un ponte di legno che, manovrato con due sottili fili di ferro, appoggiava sul
cordolo di pietra che ornava l’albero di mandarini.
Ecco
fatto: tutto era pronto, attendevamo solo l’imminente arrivo delle “Giubbe Rosse” che, con i loro fucili
e la loro artiglieria al completo, minacciosamente si avvicinavano, attraversando
la foresta.
La
foresta in questione era costituita dalle piante e dai fiori che zia Ida teneva
in grandi vasi e che curava ogni giorno, quasi fossero sue creature.
Noi
stavamo attenti a non recidere alcun gambo di quei bellissimi e profumatissimi
fiori, ma era quasi impossibile che ciò accadesse. Infatti, quando un fiore si
spezzava, entravamo completamente nella parte del nemico inglese e imprecavamo
al grido di “Goddam”.
Per
la verità, non temevamo che il Comandante Mark o che i suoi “lupi” ci potessero
scoprire. Avevamo piuttosto paura della reazione della zia, che non solo ci
avrebbe cacciati via dal cortile con qualche sculacciata, ma non ci avrebbe
portato nemmeno quelle fette di pane con olio e zucchero che tanto ci piaceva
mangiare.
Zia
Ida le preparava, ogni giorno, nella cucina al pianterreno, dove c’era una
scala a chiocciola, di ferro battuto, che permetteva l’accesso alle stanze del
piano superiore.
Pag. 1
Su una mensola era appoggiata una piccola radio, con l’antenna posizionata per le
frequenze,
che Luca teneva sempre accesa. In alto, un poster della Lazio/calcio, con
Giorgio
Chinaglia con la fascia da capitano, di cui Luca era un grande tifoso, e un
altro di Felice Gimondi, con la “maglia rosa” al Giro d’Italia del 1976.
Intanto,
dopo esserci assicurati che la buona e dolce zia Ida non fosse in cucina, per evitare
un eventuale disastro alle sue adorate piante, ci preparammo per l’imminente
evento che avevamo preparato da alcuni giorni: la grande battaglia per la
liberazione dell’amata America dagli invasori inglesi di Re Giorgio III.
Sullo
sfondo, dietro l’albero, c’era la macchina color verde-oliva di zio Giuseppe,
lucidissima
e sempre pulita all’interno. Ogni mattina, di buon’ora, la prendeva per
andare
al lavoro.
Ancora
più indietro, alla fine di due ampi scalini, si inerpicava una piccola grotta
circondata
da piante di vario tipo; in essa una candida Madonnina con una fascia azzurra
ai fianchi dominava la scena.
Era
la Vergine di Lourdes, che sembrava osservarci e sorridere ogni volta che la
guardavamo.
Zio
Giuseppe le era molto devoto e le riservava una speciale venerazione.
Ci
sentivamo, in qualche modo, protetti da quella presenza divina, diventata ormai
a
noi
molto familiare.
Come
detto, i fiori, accuratamente posti in grandi vasi di creta da zia Ida, erano
freschi e profumati ogni giorno e, grazie a questa costante cura floreale,
avevamo l’illusione che la Madonnina apprezzasse e ci ringraziasse ogni volta.
Ritornando
ai nostri “Lupi dell’Ontario”, la grande battaglia era ormai imminente. Le
Giubbe
Rosse erano nei pressi della zona rossa e di lì a poco iniziarono a far partire
assordanti
bordate, con i loro potentissimi cannoni.
Pag. 2
I
“Patrioti Americani” non si fecero cogliere di sorpresa e dagli spalti del
forte risposero con altrettante cannonate e raffiche di colpi di baionette.
Dopo
una prima ricognizione delle nostre vedette, che, con potenti binocoli sulle
torri più alte del fortino, osservavano i movimenti del nemico, si decise di
intervenire a cavallo, affrontando gli avversari a viso aperto.
In
un attimo si abbassò il ponte levatoio e, dal forte, una moltitudine di
cavalieri armati fino ai denti fece irruzione sulla terraferma, attraversando
eroicamente le trincee inglesi. Ci fu un aspro combattimento, con molti feriti,
qualcuno anche grave, ma, alla fine, l’intervento risolutivo di “El Gancho”, il
nostro Corsaro dei Caraibi, eliminò ogni ostacolo. Infatti, con la sua nave ancorata
nel lago già da qualche giorno, bombardò e spazzò via i soldati che ancora
resistevano all’attacco terrestre.
La
battaglia alla fine si risolse con la ritirata degli Inglesi tra gli alberi
della foresta, con due vasi rotti, tre piante recise e un’orchidea schiacciata.
Verso
sera, mentre il Dott. Strong assisteva e curava i feriti, la deliziosa e
carinissima
Betty
preparava i suoi squisiti manicaretti per festeggiare l’agognata vittoria.
Gli
eroici “Lupi dell’Ontario” si riunirono attorno ad una grande tavola che faceva
bella mostra di sé nel piazzale antistante il forte, mangiando, bevendo e
cantando a squarciagola. Anche Flok il cane di Mister Bluff ebbe la sua bella ed
abbondante porzione di cibo, facendo ingelosire non poco Gufo Triste che aveva
una forte avversione per lo spelacchiato amico del barbuto Mister Bluff.
Nitidi ricordi di valorosi eroi coraggiosi ribelli di dure sommosse lottavano per l’indipendenza dell’America contro gli odiati inglesi dalle giubbe rosse. |
Dopo
questa eroica battaglia, la prima cosa da fare era quella di sostituire i vasi
rotti e le piante spezzate. L’unica soluzione era la veranda del caro zio
Pasquale, fratello di zio Giuseppe, che abitava al piano superiore. Essa si
trovava in cima alle scale della grande casa che affacciava sul cortile dove
quotidianamente giocavamo.
Pag. 3
Salimmo
con cautela, cercando di non fare troppo rumore. Quando arrivammo alla
veranda,
sciogliemmo il nodo della corda che teneva chiuse le due ante.
Ed
ecco che ai nostri occhi si presentò un mondo fantastico. Trovammo di tutto:
Quadri
di santi, statue di bronzo, candele colorate, libri ingialliti, acquasantiere
di
porcellana,
mobili intarsiati, spade arrugginite, antiche pistole, archi e frecce indiane, cerchioni
di biciclette, bastoni per le tende, ferri da stiro, grammofoni, vecchie
valigie e tanto altro ancora. Il tutto coperto da fitte ragnatele e polvere
spessa due dita. Solo un vecchio violino con su scritto “Stradivari n.12” e una
meravigliosa macchina per cucire dell’Ottocento (era visibile una targhetta che
ne indicava l’anno di costruzione) erano ben conservati in un enorme baule, che
aprimmo per dare un’occhiata all’interno.
In
una vetrina chiusa, ben allineate e protette dalla polvere, in gran quantità
pacchi
di sigarette, che zio Pasquale rivendeva nella sua tabaccheria davanti al cortile.
Ovviamente
c’erano anche i vasi di creta che a noi occorrevano. Li prendemmo con
molta
cura e con massima attenzione, per evitare che si rompessero.
Fu,
tuttavia, un particolare a suscitare la mia curiosità: appeso ad un grosso
chiodo, in alto, sulla parete, c’era un bellissimo quadro che raffigurava un
porticato di mattoncini color porpora, situato su una stradina in discesa. Al suo
interno, un mulino utilizzato per la macina del grano, trascinata da un
asinello.
Sullo
sfondo erano disegnati alberi con foglie color verde-smeraldo e, in basso a
destra,
c’era la firma dell’autore, un certo “Paul Ramone”.
Sulla
cornice c’era attaccato un piccolo adesivo con su scritto: “Olio su tela”.
Dissi,
quasi balbettando: << Luca vieni
qui, osserva questo quadro, ti ricorda
qualcosa ? >> E lui, dopo averlo guardato, rispose, categorico: <<
Non ne ho la più pallida idea >> !!!
Pag. 4
Il
quadro col mulino mi affascinava moltissimo e sarei rimasto a guardarlo per ore,
ma dovevamo andare via dalla veranda, per non correre il rischio di essere
scoperti da zio Pasquale.
Mentre
stavamo uscendo, vidi, di sbieco, un piccolo libro appoggiato su una stufa a
gas, che aveva sulla copertina marrone lo stesso soggetto disegnato nel quadro
appeso alla parete.
Tolsi
con le mani lo spesso strato di polvere e lessi il titolo che recitava: “Le
Origini del Vecchio Mulino di Calvizzano”.
Lo
sfogliai velocemente, per cercare di capire in che modo si macinava il grano all’epoca
dei nostri bisnonni, ma, con mio disappunto, le pagine erano tutte bianche.
Solo sul retro della copertina erano riportati sedici caratteri, color oro,
scritti in caratteri molto piccoli. Sembrava quasi un codice cifrato: “JL09PM18GH25RS07”.
Perplesso,
dissi a Luca:
<< Non ho
mai visto nulla del genere…Non sarà mica un intrigante mistero, quello del vecchio
mulino ? >>
Luca
rispose: << Potremmo chiedere a mio
padre >>… Presto, tuttavia, si corresse:
<< Forse è
meglio non dire nulla: Papà potrebbe capire che siamo stati nella veranda e riferire
tutto a zio Pasquale >>.
Convinto
subito, replicai: << Hai ragione.
Meglio tenere la bocca chiusa e conservare per noi il segreto >> .
Comunque,
non potevamo perdere altro tempo prezioso, poiché zia Ida avrebbe potuto
accorgersi della nostra scomparsa; inoltre, dovevamo ad ogni costo e nel più
breve tempo possibile risistemare la sua lussureggiante aiuola.
Scendendo
dalla veranda, notammo delle piante che la moglie di zio Pasquale, la
simpatica
zia Filomena, teneva appoggiate sopra delle mensole ad ogni rampa di
scale.
Era quello che esattamente ci occorreva.
Le
piante, dal grosso stelo, anch’esse molto curate, ornavano statuine devozionali
di gesso, di vari Santi, il cui nome era inciso su una targhetta argentata ben
fissata alla base e sulla quale compariva anche una breve descrizione.
La
disposizione, per ogni piano, partendo dall’alto, era il seguente:
4°
piano Santa Lucia (Protettrice delle malattie oculari)
3°
piano San Francesco Saverio (Gesuita e missionario spagnolo)
2°
piano Sant’Antonio da Padova (Sacerdote della chiesa portoghese)
1°
piano San Giacomo Maggiore (Apostolo e Santo Patrono di Calvizzano)
Ne
prendemmo una per ogni piano, non senza aver chiesto umilmente perdono ai Santi
interessati, e le sistemammo con cura nei vasi prelevati dalla veranda, che
riempimmo con il terreno ricavato nel recinto perimetrale della pianta di mandarini.
Pag. 5
L’impresa, a quel punto, era quasi riuscita; mancava solo l’orchidea.
Fortuna
volle che, nella casa adiacente, la figlia della signora Greta, la dolce
Esterina, si dovesse sposare proprio quel giorno e su un tavolo, sopra la loro
terrazza, era
appoggiato,
in bella mostra, in attesa che arrivasse il fotografo, il bouquet appena
confezionato dal fioraio.
Fu
un gioco da ragazzi scavalcare il muretto che separava i due terrazzi; con la
velocità di un fulmine, Luca, che per queste cose era molto più scaltro di me,
si avvicinò al tavolo e “colse” i fiori che ci occorrevano. Prelevò due
bellissime orchidee dal bouquet della sposa che posizionammo con cura nel vaso.
La missione finalmente poteva considerarsi conclusa! Scongiurammo così una
nostra sicura sconfitta, molto più dura di quella subita dalle Giubbe Rosse
poco prima.
In
un momento di assoluta calma, superata l’agitazione della battaglia contro gli
inglesi e l’ansia per aver “prelevato”, di nascosto, vasi, piante e fiori, Luca
ed io ci concedemmo un riposino all’ombra dell’albero, per gustare qualcuno di quei
dolcissimi mandarini che avevano la caratteristica di non avere semini al loro
interno. Ricordo che zia Ida chiamava quegli
agrumi “clementine”.
A
noi il nome non interessava più di tanto, presi com’eravamo a mangiarne in
grande quantità.
Le
bucce rilasciavano nell’aria un dolce effluvio… Il cielo era più azzurro del
solito e un raggio di sole trapassò i rami zeppi di foglie, facendoci chiudere
ancora di più gli occhi già abbondantemente assonnati.
E
in quel dolce momento mi parve di vedere il tenero sorriso di mia mamma
Caterina, che era solita usare le bucce di mandarino per riempire le cartelle
della tombola la sera della Vigilia di Natale. Lei sosteneva che i fagioli non
erano adatti per coprire i numeri, perché scivolavano sul tavolo e bisognava richiamare
tutti gli estratti, per continuare a giocare regolarmente.
Pag. 6
credo che avesse
davvero ragione!
Mia
madre era molto religiosa e recitava il Santo Rosario ogni giorno. Rammento che
aveva sempre un sorriso e una parola buona per tutti.
Un
giorno mi raccontò un piccolo episodio avvenuto quando lavorava come infermiera
in una clinica per persone con qualche disagio psichico. Un paziente, durante
le prime ore della notte, chiese di avere una doppia razione di pillole
calmanti, perché si sentiva più agitato del solito. Lei rifiutò di dargliele,
perché quel farmaco assunto in quantità eccedente la dose media avrebbe potuto causare
seri problemi di salute. L’uomo, che doveva essere davvero un po’ matto,
insistette e cominciò a gridare per tutta la stanza come un dannato.
Mamma
Caterina, a quel punto, gli disse:
<< Va bene
ti darò un’altra pillola, ma tu non devi dire nulla al Professore altrimenti
saranno guai per
tutti e due >>.
Il
paziente, soddisfatto e perplesso, le sorrise e le promise di non riferire nulla.
Così
Caterina andò in dispensa, prese una piccola caramella zuccherata e l’avvolse
in un’ostia. La camuffò così bene da farla apparire perfettamente somigliante
alle vere pillole calmanti.
Portò
la nuova pasticca al paziente e gliela fece ingoiare con mezzo bicchiere
d’acqua, bevuto tutto d’un sorso, come si usa fare in questi casi.
Pag. 7
Subito dopo il signore un po’ strambo replicò:
<< Ho
avvertito un sapore diverso dalle altre pillole. Questa era molto più buona e
gustosa del solito >>.
Mamma
rispose: << È una nuova medicina. Vedrai
che ti farà bene >>.
Il
paziente dormì per tutta la notte, senza dare un’ombra di fastidio e al mattino
ringraziò la “Signora Caterina”, così la chiamava, per aver esaudito la sua
richiesta.
È
proprio il caso di dire: “Roba da matti !”.
Mi
venne in mente anche zia Evelina : un tipo allegro che sorrideva sempre, aveva un cuore d’oro e tanta pazienza con i
nipoti.
Zia
Evelina cucinava molto bene; le sue specialità erano la pasta e fagioli e i
carciofini sott’olio. Ricordo che ogni mattina si recava in cucina, appoggiava
la mano sul tavolo, per reggersi, e recitava, in piedi, le preghiere davanti ad
un’immagine di Padre Pio che faceva bella mostra di sé sul muro di fianco alla
finestra.
Dopo
aver terminato di rivolgere le lodi al Santo, prendeva gli avanzi di cibo del
giorno precedente e li gettava ai gatti che, sotto al balcone, aspettavano
impazienti.
Voglio
ad entrambe molto bene. A quest’ora saranno concentrate a preparare il pranzo
domenicale per la famiglia.
Mamma
mi raccontava anche di zio Antonio, partito giovanissimo per la campagna di Russia,
durante l’ultima guerra mondiale e che tornò a casa dopo molti anni con grande sorpresa
e incredulità di tutti i parenti.
Quelle
storie Luca le conosceva già e immaginava cosa stessi pensando in quel
momento
sdraiato all’ombra dell’albero. Con molta delicatezza, quasi temendo di
disturbare,
disse: << Simone, mi è balenata per
la testa una bizzarra idea, che credo ti piacerà molto >>. Risposi
incuriosito: << Dimmi Luca di che
si tratta? >>.
E
lui: << Sto pensando che sarebbe
fantastico esplorare la grotta che ospita la
Madonnina. Che ne
pensi? >>.
La
proposta sinceramente mi piaceva tantissimo, ma avevo qualche timore, perché
non sapevo a cosa saremmo andati incontro. Per la verità anche Luca era un po’
impaurito, nonostante fosse stato lui ad aver avuto l’idea di esplorare la
grotta.
Anche
se non sapevamo assolutamente cosa ci attendeva durante il cammino, i dubbi si dissiparono
in un attimo, quando l’adrenalina iniziò a solleticarci per tutto il corpo. A
quel punto suggerii:
<< Sì, sono
d’accordo, a patto che facciamo ritorno a casa prima che cali la sera >>.
Fu
così che ci demmo appuntamento il giorno successivo, per poter esplorare la
grotta che ospitava la Madonnina di Lourdes.
Il
mattino seguente ci alzammo prestissimo, dicendo in casa di dover effettuare le
prove della recita a scuola. Era ovviamente una scusa: la scuola e le sue
attività didattiche erano l’ultimo dei nostri pensieri e nei nostri zainetti,
al posto dei libri e dei quaderni, c’erano panini, bottigline d’acqua e succhi
di frutta, che avevamo preparato con cura e in completa segretezza la sera precedente.
Pag. 8
Anche se avevamo marinato la scuola, ho sempre pensato che la nostra cara maestra Caterina Agliata sarebbe stata orgogliosa di noi, perché avevamo intrapreso questa avventura e certamente non ci avrebbe rimproverato.
Arrivati
alla grotta, scavalcammo le prime rocce situate nel lato più basso e, dopo una breve
arrampicata, ci trovammo proprio di fronte alla Madonnina di Lourdes.
Era
grandissima, più alta di me e Luca messi uno sull’altro. Fu una grande emozione
vederla
così da vicino.
Meravigliati
all’inverosimile, ci fermammo a guardare il colore azzurro dei suoi occhi, che luccicavano
molto di più di quanto si vedesse dal basso.
L’estrema
vicinanza con la Madonnina ci faceva battere forte il cuore; accarezzammo i suoi
piedi dolcemente ed iniziammo ad entrare nella grotta.
Appena
entrati, notammo subito un piccolo e limpidissimo corso d’acqua e una barchetta
con due remi, ferma sulla riva.
Pag.
9
Salimmo
sulla barca e raggiungemmo in poco tempo l’altra sponda. Scendemmo ed
iniziammo
a camminare lungo stretti sentieri che costeggiavano le pareti rocciose.
Ad
un tratto notammo, su una di queste pareti, un grande cerchio diviso in quattro
spicchi,
con sopra ciascuno, era appena visibile un’immagine disegnata.
Dal
basso, infatti, si faceva fatica a vedere cosa davvero era dipinto, a causa di
una patina di salsedine giallastra spalmata su tutta la circonferenza.
A
quel punto, salii sulle spalle di Luca e iniziai a pulire il cerchio inciso
sulla parete con uno straccio umido e maleodorante, appoggiato su una vecchia
lampada a petrolio, trovata li per caso.
Poco
dopo Luca, stremato dalla fatica, ripeteva in continuazione:
<< Ti
supplico, Simone, fai presto a pulire, la mia schiena non regge, stramazzeremo
al suolo e nessuno ci potrà aiutare, perciò moriremo di fatica >>.
Risposi:
<< Tieni
duro Luca ancora un po’: ho quasi finito. Cerca di resistere >>.
Finalmente,
dopo dieci minuti circa, con grande gioia di Luca, terminai il mio lavoro e riuscimmo
a vedere nitidamente i soggetti raffigurati, che erano così suddivisi:
1°
spicchio: Un venditore di gelati.
2°
spicchio: Un prete che leggeva il breviario.
3°
spicchio: Un sarto seduto su una sedia di paglia, intento a cucire.
4°
spicchio: Un antico mulino, per macinare il grano, all’interno di un porticato
Sgranando
gli occhi, gridai:
<< Luca
guarda, c’è anche il mulino: è identico a quello del quadro appeso nella
veranda e alla
copertina del libro sulla stufa. Ricordi? >>
<< Cosa può
significare tutto questo? >>
Luca
rispose come al solito:
<< Non ne ho
la più pallida idea ! >>
Pag. 10
Ed
io:
<< Ma sai
dire solo questo, Luca? >>
<< Allora ti
spiego io cosa vuol dire tutto ciò: entrando nella grotta, siamo ritornati
indietro nel tempo di qualche anno e i soggetti raffigurati nel cerchio sono
persone scomparse a noi care, che
abbiamo amato in vita e che continueremo a ricordare con affetto. Il vecchio mulino si trovava a Calvizzano,
tantissimi anni fa, e siccome non possiamo chiedere agli zii della sua
esistenza, perché corriamo il rischio di svelare il nostro segreto, dobbiamo
documentarci da soli sulla sua storia e la sua origine. Per fare questo,
dobbiamo recarci di persona. Capisci, Luca? Questo è il messaggio che abbiamo ricevuto
dal dipinto e dal libro che abbiamo visto nella veranda di zio Pasquale >>. Poi,
scuotendolo con eccessiva euforia, continuai:
<< Caro Luca,
il destino ha voluto che vivessimo questa meravigliosa avventura. Sono
sicuro che
incontreremo queste persone e che conosceremo la vera storia del mulino.
Ti ringrazierò per
tutta la vita per aver avuto l’idea di esplorare questa grotta >>.
Infatti,
fissando il primo spicchio, avemmo la netta sensazione che quel venditore di
gelati fosse un nostro conoscente. Ricordammo quel carretto pieno di gelati e
granite, che girava per le strade del paese, quando arrivava l’estate.
Ci
sembrò di sentire la sua voce e con gioia ricordammo il suo nome:
George il gelataio
George il
gelataio passava ogni giorno d'estate,
nelle ore
più calde,
per la vecchia strada di Calvizzano.
Io
ricordo che con le mie biglie colorate in mano
gli andavo incontro
e con un timido sorriso
chiedevo
un piccolo gelato al limone.
Lui mi
guardava divertito
e dopo avermi accarezzato il capo
mi regalava un cono con tanto limone
Da allora
sono passati molti anni
e purtroppo il nostro amico George è morto
e tutti noi siamo tristi
Noi lo
ricordiamo sempre
ma la vecchia strada sul corso del paese
non è più
la stessa
da quando George ci ha lasciati.
Pag.
11
Nel secondo spicchio, un prete era intento a sfogliare il suo breviario e a recitare le sue abituali preghiere.
Conoscevamo
anche lui: era il nostro caro parroco che d’estate ci accompagnava al mare col suo
piccolo pulmino.
Padre Amedeo
Un anziano prete, cammina adagio
tra
sentieri di collina,
ornati da
antichi alberi di ciliegie.
Padre
Amedeo, questo è il suo nome,
trascorre
in quei luoghi interi pomeriggi
e seduto
su una panca all’ombra degli alberi
legge il
suo piccolo breviario.
Prima che
il buio della sera sopraggiunga,
ridiscende
a valle
raccogliendo fiori di campo per il suo altare.
Arrivato
a casa,
li
sistema in un piccolo vaso di creta
appoggiato
sul davanzale della finestra,
poi
consuma una frugale cena
prima di
andare a dormire.
Come ogni
mattina, alle prime luci dell’alba,
seduto
sul letto, recita il Santo Rosario.
Intorno a
se fumi di incenso, immagini sacre,
acquasantiere
di porcellana, stole ricamate,
libri
ingialliti, statue di Santi e lunghi ceri decorati
sembrano
fargli compagnia.
A metà
mattino, il sagrestano
ritira i
fiori freschi da portare in chiesa
mentre
Padre Amedeo
in sella
alla sua bicicletta un po’ arrugginita
raggiunge
lentamente
la
piccola cappella del paese
dove i
fedeli lo attendono impazienti
per la
confessione e la Santa Messa.
Pag. 12
Gli
abitanti di quel piccolo villaggio
sono
sempre presenti
a
quell’appuntamento quotidiano
e amano
molto il loro parroco
il quale
ricambia amorevolmente
dedicandosi
alle loro esigenze spirituali.
Questo è
Padre Amedeo, un uomo semplice,
con le
sue malinconie, speranze e gioie
custodite
tra sentieri di collina
ornati da
antichi alberi di ciliegie.
Quando ci soffermammo a guardare il terzo spicchio del cerchio, un’emozione mi strinse fortemente il cuore: rividi quel sarto intento a cucire gli abiti che indossavo pochi anni prima.
Sfera di Cristallo
Guardo attraverso una sfera di cristallo
disegni colorati su un piccolo quaderno
una stanza col braciere acceso
fredde sere d’inverno
Vedo il profilo del viso
io seduto al tuo fianco
le tue mani sulle mie
un meraviglioso cavallo bianco
Teneri e malinconici sorrisi
sogni infranti di una vita
sull’uscio l’attesa della mamma
carte sul tavolo per una nuova partita
Guardo attraverso una sfera di cristallo
ed ecco che ti rivedo ancora
mentre cuci un elegante vestito
e dalla finestra arriva l’aurora
Pag. 13
Riponi il ditale e gli occhiali
una sigaretta per un breve riposo
un sorso di caffè bollente
la pagella in tasca per sentirti orgoglioso
Sul tavolo la radio è accesa
Hit Parade all’ora di pranzo
ci aspetti che usciamo da scuola
in Tv gli episodi di un nuovo romanzo
Guardo attraverso una sfera di cristallo
tra le pareti ovali sbiadisce il colore
sono bagnate da gocce di lacrime
che toccano l’anima accarezzando il dolore
Restava
il quarto spicchio, per terminare il nostro viaggio. Dovevamo arrivare al
vecchio Mulino e, solo a pensarci, sia a me che a Luca tremavano le gambe per
l’emozione.
Continuammo
a camminare lungo la grotta. Il livello dell’acqua del fiume si alzava sempre di
più e iniziava a fare un po’ freddo.
Fortunatamente
avevamo portato con noi anche dei maglioncini di lana che avevamo avvolti
attorno ai fianchi e che indossammo subito, per ripararci dalla forte umidità. Dopo
un po’, vedemmo una luce in lontananza diventare sempre più grande: capimmo che
finalmente stavamo per uscire dalla grotta.
Una
volta all’esterno, ci trovammo davanti a una breve discesa.
Percorrendo
questo tratto di strada, ci soffermammo a leggere, sui parapetti ai lati della via,
bellissime frasi d’amore dedicate a Gesù, scritte con un gessetto bianco e in bella
calligrafia.
Una
signora affacciata a un balcone ci vide e disse: << Quelle frasi le scrive un uomo anziano, una bravissima e dolce
persona. Il suo nome è Vincenzo >>.
Subito
dopo un’altra signora, affacciata a una finestra di fronte, urlò con molta più
enfasi: << Vicienzo ‘o Santo !!! >>
Dopo
aver letto tutte le frasi, che sembravano vere e proprie preghiere, arrivammo a
un bivio. Dovevamo, pertanto, scegliere
in quale direzione andare.
Alla
nostra sinistra si notava un’insegna illeggibile: il tempo aveva cancellato
quasi tutte le lettere, mentre sull’insegna di destra, anche se non proprio in
modo nitido, si riusciva a leggere “Via Roma”.
Disse
Luca: << Se in una strada c’è un
mulino, come logica vorrebbe, si dovrebbe chiamare Via Mulino e non Via Roma
>>. << Giusto >>,
risposi.
Decidemmo
così di proseguire verso sinistra. All’improvviso, una inaspettata folata di
vento ci fece quasi cadere per terra. Ci riparammo, velocemente, dietro una
casa che aveva le finestre non troppo alte, protette esternamente da grate di
ferro. A pochi metri da questa casa, c’erano delle grandi scale in cemento,
sulle quali Luca ed io ci sedemmo rannicchiati, aspettando che il vento si
calmasse.
Alzando
gli occhi al cielo, notammo che sul muro erano disegnate con la vernice nera
due frecce indicanti direzioni opposte. Sulla prima freccia, rivolta verso
l’alto, c’era scritto “Via Baracca”, sulla seconda, rivolta verso il basso “Via
Molino”. Tirammo un bel sospiro di sollievo: almeno eravamo certi di aver imboccato
la direzione giusta. Il vecchio mulino non doveva essere troppo lontano. La sensazione
era che fossimo quasi giunti a destinazione.
Stavamo
ancora seduti sulle scale, quando sentimmo, all’improvviso, un vociare acuto e continuo.
Non capimmo cosa si dicesse, ma, dall’angolo della casa, scorgemmo una donna completamente
vestita di nero, che trainava con una corda un grande pentolone appoggiato su
un asse di legno, con quattro rotelle d’acciaio, una per ogni angolo.
Da
quel pentolone usciva un denso vapore, che lentamente si dissolveva nell’aria.
Incuriositi,
ci avvicinammo a guardare cosa contenesse quella grande pentola, molto simile a
quella che mia mamma Caterina e zia Evelina usavano per le conserve di pomodoro,
nel mese di settembre.
La
signora in nero, appena ci vide arrivare, sollevò il coperchio di alluminio e
ci mostrò le sue bellissime spighe di granoturco, color oro, che galleggiavano nell’acqua
giallastra e continuò a gridare: << Vòllon, vòllon >>.
Pag. 15
Per la strada due donne vestite di
nero, girano col carretto e la bilancia alla spalla e spighe dorate
|
Solo
allora “traducemmo” quel vociare acuto che faceva eco nell’aria, sentito poco
prima. Siccome avevamo un po’ di fame ed avevamo finito i nostri panini
attraversando la grotta, con i pochi soldi che avevamo in tasca comprammo due
grandi spighe di mais, che mangiammo con tale voracità da sembrare due conigli
affamati.
Continuando a camminare per via Molino, incontrammo una decina di bambini festanti che, scendendo dalla cima della salita (quella che precedentemente anch’io e Luca avevamo percorso), portavano tra le braccia rami spezzati di alberi di pesche, tenuti insieme da un filo di ferro. Incuriosito domandai a uno di loro:
<< A cosa
servono tutti questi rami? Li conservate per accendere il camino quando
arriva il freddo ?
>> Il
bambino rispose:
<< No, li conserviamo
nella legnaia per il falò che faremo nel grande giardino in onore di
Sant’Antonio Abate >>.
E
Luca: << Che bello, un falò! Già
immagino tutte le persone sedute attorno a riscaldarsi >>.
Replicò
il bambino: << Ci sarà anche la
benedizione degli animali…Se a te e al tuo amico farà piacere venire, fatecelo
sapere. Ci saranno anche tante cose buone da mangiare >>.
<< Sarà
certamente una bellissima festa! Grazie per l’invito >>, risposi.
Pag. 16
L’ansia
cresceva sempre più, ma del vecchio mulino nemmeno l’ombra.
In
quella strada c’era comunque tanta vivacità : era un continuo via vai di
persone e svariati ambulanti impegnati nella loro attività commerciale. Sprigionavano
profumi intensi e calore umano da tutte le parti. Sembrava un vero e proprio suk,
un mercato arabo all’aperto, con vocio e versi di ogni tipo. Nel palazzo con le
grate di ferro alle finestre, c’era un negozio ridondante di stoffe e
biancheria, che era visibile anche dalla strada. La proprietaria, una dolce
signora con piccoli occhiali di nome Margherita, dietro il suo lunghissimo
bancone, risistemava con cura la merce, dopo averla mostrata a ciascun cliente
che entrava. C’era un continuo andirivieni di gente come per esempio il
venditore di formaggio e ricotta fresca, che passava col suo cesto pieno di
panini. Si fermava ad ogni angolo della strada, aspettando donne e bambini che
volessero assaggiare i suoi saporiti prodotti.
E
ancora il macellaio, che preparava minuziosamente tutto il necessario
per l’uccisione del maiale e farne salsicce, costolette e il
sanguinaccio da spalmare sul pane. A quel punto, ci ricordammo della festa
in onore di Sant’Antonio Abate e ci dispiacque molto per il povero maialino
che non avrebbe ricevuto, purtroppo, la benedizione.
In
quella strada, inoltre, c’erano piccole mercerie che, oltre ai detersivi e
affini, vendevano libri, quaderni e materiale per la scuola.
In
un largo piazzale posto ai lati della strada, si sentiva l’arrotino che
affilava i coltelli delle massaie, che stavano in fila ad aspettare. Dopo tanto
cammino, sopraggiunse la sete, entrammo così in un grande cortile, dove c’era un
fontana dalla quale zampillava un’acqua freschissima. In fondo, una donna
dall’aspetto minuto vendeva liquirizie, gomme da masticare e soldatini di
plastica, in uno stanzino al pianoterra.
Nell’angolo
del cortile, una larga scala di pietra troneggiava, con piante ornate di fiori multicolori.
Dopo aver bevuto, chiesi alla donna: <<
Chi abita su quelle scale? >>
Lei
rispose: << Lassù, all’ultimo piano,
vive una nobile signora molto anziana >>
<< Vive da
sola ? >>
Domandò Luca. E lei: << Sì, vive da
sola. Le fanno compagnia i suoi antichi mobili e le campane di vetro che coprono
dei bellissimi presepi >>.
Luca
rispose: << Che bello! Dei presepi sotto le campane, non ne ho mai visti
>>.
Era
tutto molto interessante, ma non potevamo chiedere alla signora di farci vedere
i suoi mobili antichi e i presepi sotto le campane, anche perché non era detto
che ci facesse entrare, dal momento che non ci conosceva.
In
ogni caso, non avremmo potuto perdere altro tempo: la nostra missione era
un’altra: dovevamo trovare il mulino, prima che facesse buio. Riprendemmo così
il nostro cammino. All’improvviso, dall’alto, la signora anziana lanciò dalla
finestra una quantità enorme di caramelle “Rossana”, per la gioia di tutti i
bambini che stavano lì ad aspettare. Luca ed io cercammo di prenderne, a volo,
il più possibile. << Grazie mille, nobile signora! >> Urlò Luca con
il maglione pieno di caramelle, che teneva sollevato sui fianchi, con tutte e due
le mani.
Pag. 18
Mentre gustavamo le caramelle, offerte generosamente dalla signora, notammo una persona di mezza età che, con un quaderno tra le mani, osservava attentamente l’interno di un grande portone, un po’ più avanti. Al centro dell’aia, c’era un pozzo
artesiano,
per la captazione dell’acqua e, sulla destra, appena si entrava, un lavatoio
bianco, con un rubinetto collegato alla tubazione, che saliva lungo il muro e
una grossa saponetta arancione, ideale per lavare gli strofinacci e la piccola biancheria.
Nell’angolo, dietro il lavatoio, una
lunga scala di pietra, come quella che avevamo visto poco prima, ma molto più
consumata dal tempo, portava al primo piano della casa che aveva le stanze
allineate sul terrazzino, ben visibile dal basso. A pochi metri dalle stanze,
c’era una loggetta, che affacciava su un grande giardino pieno di alberi di
ogni tipo, davanti a una specie di baracca, che doveva essere la cucina.
Sulla
prima rampa di scale era ben visibile un finestrone ad arco, senza infissi,
protetto solo da una grata di ferro che dava sulla strada. Riconoscemmo, in
quel cortile, alcuni dei bambini che avevamo incontrato poco prima, che
portavano i fasci di rami spezzati nella legnaia. Luca chiese loro: << Abitate
qui?>> Il maggiore di loro rispose: << Sì, abitiamo qui >>. Luca replicò: << Dove state andando?
>>
<<
A guardare una trasmissione alla TV, a casa della signora “Ferrillo”, come
spesso facciamo; ci ritroviamo tutti da lei e, dopo aver seguito i telefilm di
“Zorro” andiamo a giocare sulle balle di fieno accatastate nel giardino sul
retro. Se vi va, unitevi a noi >> <<Grazie.
Sarà per la prossima volta>> rispose Luca.
Intanto,
il signore continuava a scrutare il cortile e sul suo quaderno, simile a quello
che
usavamo per le ricerche a scuola, riuscimmo a leggere in modo chiaro il titolo:
“Campi di fragole
per sempre. Poesie”.
Il
signore, voltandosi verso di noi, disse :
<< Volete che vi legga una mia poesia? >>
<< Certo! Ci
farebbe davvero molto piacere >>. Risposi io. << Ecco, questa l’ho appena composta. S’intitola “Ricordi
d’infanzia”, replicò l’uomo >>.
Seduti
sullo scalino di una sartoria, chiusa a quell’ora, iniziammo ad ascoltare con
una certa emozione la sua poesia che sembrava una filastrocca:
Pag. 19
Ricordi d’infanzia
Mi tornano in mente i ricordi d'infanzia,
quei bellissimi giorni dai mille colori,
il sole caldo di maggio,
il profumo intenso dei fiori.
Mi ricordo di un gatto un po’ cieco
e le spighe dorate bollite col sale,
soffice muschio spalmato di brina
pastori di creta per il Santo Natale.
Mi ricordo di quand’ero bambino
il sorriso sincero delle persone più care,
l'acqua fresca delle fontane,
Salerno d’estate e la brezza del mare.
Mi ricordo di un tempo lontano,
gli alberi di ciliegie su una lunga salita,
i nostri giochi per strada,
gli strani disegni fatti a matita.
Mi ricordo di un vecchietto un po’ strano
e le sue calze di lana alla sera,
cani randagi bagnati,
una maestra per niente severa.
Ci interrogava in piedi vicino alla lavagna
italiano, storia e geografia
le mitiche barbabietole da zucchero
veniali errori di ortografia
Mi tornano in mente i ricordi d'infanzia,
le fanfare, le giostre e i libri di scuola,
pozzanghere d’acqua piovana,
la messa col prete cinto di stola.
Ricordo il profumo dei vecchi fumetti
e il cielo di notte pieno di stelle
l’alba fatata del primo mattino
i sogni di un bambino un poco ribelle.
Mi ricordo della mia umile casa
e della sartoria affianco al portone,
more succose su una foglia di fico,
corse veloci incontro a un pallone.
Mi
tornano in mente i ricordi d’infanzia
Pag. 20
il cielo d’autunno color turchese
antichi presepi nelle
campane di vetro
altari di marmo delle
splendide chiese.
Mi ricordo i campi di grano
e il sapore buono dell’olio sul pane,
gli occhi azzurri di mio padre,
i rintocchi a festa delle campane.
Mi
tornano in mente quegli anni meravigliosi
un collage dipinto coi pastelli di cera
lo stupore negli occhi dei bimbi
quando nasceva la luna e scendeva la sera.
Luca,
sorridendo, disse: << È bellissima! Vorrei anch’io un giorno poter
scrivere una cosa così >>. << Grazie >>, rispose il signore.
A
quel punto, approfittai della situazione e gli chiesi: << Vedo che anche
lei ricorda le cose del passato. Ci potrebbe dire se in questa strada c’era un
vecchio mulino per la macina del grano? È da parecchio tempo che lo cerchiamo,
ma ancora non l’abbiamo trovato >>.
Il
signore subito rispose:
<<
Chiedete al fornaio di fronte e a sua moglie, che sapranno sicuramente dirvi qualcosa
>>. << Come si chiama il
fornaio? >> chiese Luca.
L’uomo
rispose: << Il fornaio si chiama Salvatore e sua moglie Antonietta. Sono due
persone buone e gentili. Andate, non perdete altro tempo >>.
Mentre
attraversavamo la strada per recarci da Salvatore il fornaio, notammo un grande
furgone bianco, dalle fiancate decorate con colori vivaci, che saliva in
direzione
della casa dove c’era il negozio di stoffe. Sui lati c’era scritto, a lettere cubitali
adesive: “Autotraslochi Salvatori”. Sotto, c’era indicato il numero di
telefono.
Il
motore faceva un gran fracasso e la marmitta sprigionava un fumo acre e denso
che toglieva il respiro.
Il
furgone, all’improvviso, rallentò, proprio nel punto dove stavamo noi due,
perché la strada si restringeva e non c’era molto spazio.
L’autista
abbassò il finestrino e disse: << Spostatevi, bambini. Non vedete che
dobbiamo passare? >> Luca rispose: << Cosa trasportate? >>
L’uomo
che stava accanto all’autista, sporgendosi verso il lato guida, quasi
bisbigliando, disse: << Roba antica, di proprietà di Pasquale il
tabaccaio. È per un acquirente che viene da Londra, un suo caro amico emigrato
in Inghilterra tanti anni fa >>.
Replicai:
<< Finalmente zio Pasquale ha deciso di sistemare un po’ la veranda liberandola
da tutta quella roba >>.
E
continuai: << Per caso avete preso un quadro che raffigura un mulino e un
vecchio libro marrone con lo stesso disegno? >>
<<
Certo che li abbiamo presi, così come un violino, una macchina da cucire e
tante
altre
cose >>, rispose l’autista. E ancora: << Tutti questi oggetti
saranno venduti all’asta da “Sotheby’s” >>. << Sothe…che? >> Rispondemmo in
coro Luca ed io.
<<
Niente, niente….Ora scostatevi, marmocchi, perché abbiamo tanta fretta e dobbiamo
andare >>, replicò l’autista. A questo punto Luca disse: << Cosa
sarà mai questo Sothe... Non riesco nemmeno a pronunciarlo, mannaggia! >>
E
io, con l’aria di chi la sa lunga, risposi: << Sarà una vecchia casa arredata con
mobili e cose antiche, che si trova a Londra, simile a quella della nobile
signora che
lanciava
le caramelle dalla finestra >>. Luca annuì e disse: << Ma tu sai
dove si trova Londra? >> Risposi: << Beh, non proprio. So solo che,
in quella città, c’è un altissimo campanile con un grande orologio che si
chiama “Big Ben”, e lì ci sono autobus a due piani, di colore rosso >>.
Pag.
22
Luca replicò: << Comunque, a noi non interessa quello che ha venduto zio Pasquale.
Piuttosto,
andiamo subito dal fornaio, che è l’unico che può darci qualche indizio per
ritrovare il vecchio mulino >>. Luca aveva proprio ragione! Di fronte al
cortile col pozzo, che il poeta stava osservando, trovammo un porticato
abbellito da mattoni color rosso porpora, proprio come era raffigurato nel
famoso quadro della veranda. Pensammo subito che quello fosse un buon segno. Bussammo
ripetutamente, colpendo il martelletto con una mano di bronzo, che era appesa
al portone, sul pomello sottostante.
La
sensazione era che Salvatore il fornaio ci potesse davvero aiutare e che il
vecchio
mulino
non fosse, a quel punto, troppo lontano.
All’ennesimo
colpo, finalmente qualcuno ci rispose : <<
Chi è a quest’ora? >>
<< Cerchiamo
Salvatore il fornaio >>, disse Luca. << Sono io >>, rispose Salvatore, con un gran vocione.
<< Ma voi chi siete? >> Ribatté.
E
Luca: << Beh, per la verità,
vorremmo qualche notizia del vecchio mulino. È tutto il giorno che lo stiamo
cercando >>. Il fornaio ci disse: <<
Scendo subito. Non vi muovete! >> Sentimmo il rumore delle scarpe che
velocemente ticchettavano sui gradini. Quando l’uomo arrivò giù nel cortile ansimava per il
fiatone.
Aprì
il portone e disse: << Entrate,
entrate, presto, ma non fate rumore, perché i bimbi stanno dormendo >>.
Varcammo la soglia in tutta fretta e, subito dopo Salvatore, serrò l’ingresso dietro
le spalle, con un grande maniglione di ferro.
Pag. 23
Una volta dentro, ci disse: << Bambini, ascoltatemi bene, adesso non ho molto tempo, devo preparare l’impasto per il pane e le pizze che dovranno essere pronti per domani mattina. Aspettatemi qui. Non appena avrò finito, vi raggiungerò >>.
Aggiunse
subito dopo: << Potete anche
curiosare, però, mi raccomando, non combinate guai >>. Un po’ straniti, rimanemmo soli davanti a
quattro porte di legno con le maniglie argentate, allineate lungo tutto il
perimetro del cortile.
Siccome Salvatore ci aveva detto che potevamo curiosare, entrammo per vedere cosa ci fosse in quelle stanze. Accendemmo la luce. Nella prima stanza, c’era una salumeria con tante cose buone da mangiare. Pensammo che chi gestiva quel negozio alimentare dovesse essere la signora Antonietta, oltre a Salvatore, che si occupava, principalmente, della preparazione del pane. C’erano salami e prosciutti appesi ovunque e una miriade di scatolette di svariati alimenti su per gli scaffali. Un negozio davvero ben fornito! Dietro al bancone, c’era una piccola mensola, sulla quale poggiava una cornice in ceramica. Davanti ad essa candidi fiori sistemati armonicamente in un piccolo vaso. La foto all’interno della cornice ritraeva un meraviglioso Angelo con le ali spiegate che volava sorridente nell’immensità del cielo.
Nella
terza stanza c’erano gli attrezzi da lavoro e ancora lunghi contenitori di
legno, dove venivano adagiati i pezzi di
pane appena usciti dal forno. Quel locale, anche se aveva cose di natura diversa,
ci ricordava da vicino la veranda di zio Pasquale.
Nella
quarta stanza, erano sparsi sul pavimento tantissimi giocattoli che sicuramente
erano dei figli di Salvatore. C’erano
biciclette, pistole da sceriffo, bambole, costruzioni Lego e tanti altri
ancora. Finalmente Salvatore ci chiamò e, dopo essersi
lavato
accuratamente le mani nel lavandino accanto al forno, disse: << Bambini,
entrate! Vi devo mostrare una cosa >>. Con una torcia accesa, fece cenno
di seguirlo.
Pag. 24
In
silenzio, entrammo in una stanza adiacente al laboratorio per la lavorazione
del pane e ci avvicinammo a una grande botte, usata per la conservazione del
vino.
La
botte era vuota. Salvatore la sollevò, facendola roteare su sé stessa per
spostarla e sotto, sul pavimento, c’era una botola di ferro.
A
quel punto, Salvatore disse, con un’espressione un po’ mesta:
<<
Ecco, sotto questa botola, nel locale interrato, c’è il vecchio mulino >>.
Luca
ed io saltammo dalla gioia, urlando: << Evviva, evviva! Abbiamo, finalmente,
ritrovato il vecchio mulino! >>
Ci
abbracciammo così fortemente da cascare per terra
Con
calma, Salvatore il fornaio ci riprese: << State calmi e non vi agitate
troppo. Sono trent’anni che cerco la soluzione per aprire la botola, purtroppo ancora
non ci sono riuscito >>. << Ma come >> - risposi io << la
botola non si apre? >> << Proprio così! La botola non si riesce ad aprire
>>. Ribatté Salvatore: << Osservate qui! >> Indicandoci un’intercapedine
incisa sul coperchio.
<<
Ci sono sedici caratteri, che rappresentano la combinazione per poterla aprire
che né io né nessun altro conosce >>.
<<
Cooooooosaaaaa ? Sedici caratteri ? >> Urlai, mettendomi le mani in testa.
<<
Oh, mio Dio, sicuramente sono quelli scritti sul retro della copertina del
libro trovato nella veranda. Usciamo, presto! Dobbiamo rintracciare e bloccare a
tutti i costi il furgone della ditta dei traslochi >>. << Ma cosa
dici ? A quest’ora, quello sarà sicuramente andato via >>, ribatté Luca.
<<
Allora l’unica cosa da fare è andare a Londra >> – replicai.
E
Luca: << Ma non dire sciocchezze: noi non sappiamo neanche andare a
Napoli, come puoi pensare di poter andare a Londra? Inoltre, ci vogliono tanti
soldi, che non possediamo >>.
Mi
convinsi che era davvero impossibile aprire la botola. Il sogno di trovare il
vecchio mulino era per sempre svanito. Scoppiai in un pianto dirotto.
Stranamente
Luca era tranquillo. Al che, asciugate le lacrime, gli chiesi un po’ stizzito: <<
Perché sei così calmo ? Non ti interessa più il vecchio mulino? >>
Luca
con un grande sorriso stampato sul viso, orgogliosamente, disse:
<<
Se un libro contiene solo pagine bianche e solo su una c’è scritto qualcosa,
allora
vuol
dire che ci sarà un valido motivo >>. Io risposi: << Cosa stai dicendo,
Luca …Non capisco…>> Luca replicò: << Simone, sai cosa ti dico?
Quel libro non vale un fico secco. A tua insaputa, senza farmene accorgere, ho
strappato la pagina col codice cifrato e l’ho conservata nella tasca del mio
zaino. Eccola, prendila! >>
Un
grido sovraumano uscì dalla mia gola, tanto da far svegliare anche i figli di
Salvatore, che accorsero nella stanza, seguiti dalla signora Antonietta, un po’
allarmata. << Grandeeeeeeeeeeeeee! Luca, sei grandeeeeeeeeee! >>
Pag. 25
Lo abbracciai con una tale forza che quasi lo strozzavo. Salvatore prese il foglio e con la mano tremante inserì il codice: JL09PM18GH25RS07. La botola, come d’incanto, si aprì. Scendemmo la scala di legno molto lentamente, uno dopo l’altro e ci trovammo davanti al vecchio mulino. Era ancora intatto, in tutte le sue parti. Aveva ancora le funi con le quali l’asinello trascinava la macina. Una vera meraviglia!
A
Salvatore scese una piccola lacrima, poi ci abbracciò con vigore. Rimanemmo a
fissare il mulino per parecchio tempo, senza parlare, visibilmente emozionati.
C’era anche il libro, identico a quello che stava appoggiato sulla stufa nella
veranda, ma, per fortuna, le pagine non erano bianche, tutt’altro. Lo
sfogliammo e iniziammo a leggere le origini del vecchio mulino di Calvizzano e
dei primi fornai che lo avevano usato. Era ben evidenziato il nome del sig.
D’Errico Giuseppe e di sua sorella Luisa, i quali, lo passarono per eredità ai
coniugi D’Errico Giovanna e Iorio Alfredo, che erano i genitori di Salvatore,
l’attuale fornaio.
Conteneva,
inoltre, una minuziosa descrizione del processo di lavorazione del grano e delle
varie tecniche studiate nel corso degli anni per migliorarne l’efficienza e
tante altre notizie e curiosità.
Un
libro davvero molto interessante, scritto da qualche storico del passato.
Ad
un certo punto, chiusi il libro e dissi al fornaio: << Ma voi conoscete l’uomo che scrive le poesie? >> Salvatore
rispose: << Certo! Simone, lo
conosco benissimo, giocavamo insieme quando eravamo bambini >>. << E come si chiama? >> Replicai.
Quasi
con tenerezza, Salvatore disse: << Il
suo nome è Domenico >>.
Provai
in quel momento una grande emozione e un largo sorriso illuminò il mio viso. La
signora Antonietta si avvicinò, mi accarezzò il capo e teneramente mi baciò
sulla guancia. Anch’essa emozionata, asciugò le lacrime di Luca che, seduto
sopra a dei sacchi di farina, piangeva come una fontana.
Ormai
si era quasi fatta sera, quando uscimmo dal portone della casa di Salvatore.
Pag. 26
Dovevamo
tornare a casa al più presto, perché gli zii sarebbero stati in pensiero, non
vedendoci
arrivare. Salvatore il fornaio ci indicò così la direzione:
<< Proseguite
sempre dritto. Alla fine della strada, alla vostra destra, noterete una grande
piazza, con la maestosa Chiesa della Madonna delle Grazie, sede della
Parrocchia di San Giacomo Apostolo e, subito dopo, il bellissimo monumento in
memoria dei Caduti in guerra di Calvizzano.
Vi troverete a
quel punto sul corso principale del paese “Via Conte Mirabelli” e di lì riconoscerete
senz’altro la strada per rientrare a casa >>.
Rispondemmo
all’unisono: << Grazie tante,
Salvatore! >> << Aspettate >> – disse
ancora l’uomo. << Voglio regalarvi
una poesia che conservo da anni tra le mie scartoffie. Non ne conosco l’autore,
ma sicuramente ha vissuto in questo luogo.
Eccola,
conservatela e ricordatevi sempre di questa strada e di questo posto. >>
Chiusa
in una piccola busta, Salvatore mi consegnò la poesia.
Con
un cenno della mano ci salutammo reciprocamente e la signora Antonietta, da
lontano, ci raccomandò di fare attenzione. Seguimmo la strada, come ci era
stato indicato e, raggianti, ci incamminammo verso il corso principale del
paese. Entrambi eravamo consapevoli di aver vissuto la più grande e
meravigliosa avventura di tutta la nostra vita. Prima di percorrere tutta la
strada, ci fermammo a leggere la poesia che recitava così:
‘Na jurnata è maggio (a Via Molino).
L’orologio è fermo ‘ncoppa
‘o campanaro,
‘o sole s’annasconne areto
o’ vicariello
seduto all’ombra e nu
ciardino
riposa già da ore ‘o
vicchiariello.
Guarda ‘a gente che passa là
vicino,
tene e mmano appuiate a ‘nu
bastone
parla da nnamurata soja
e si ricorda di quand’era nu
guaglione.
Dinto ‘o cielo azzurro e nuvole parano pucurelle,
nell’aria fresca se sente
forte addore e maggio;
in ginocchio e signore vasano a Maronna
e lasciano ‘na rosa bianca
come dolce omaggio.
Dopo ‘a messa tornano ‘a casa ca curona ‘mmano
annaffiano e gerani che tenono
fora a porta
e di quando portavano i fiori dinte e capille
a stu tiempo “nfam” nun ce
ne mporta.
Pag. 27
‘O sagrestano ha stutate
tutte ‘e cannele sull’altare
a Maronna finalmente
s’arriposa
dimane arriva ‘na giovane
ragazza
che prega ogni juorno pe
diventà ‘na sposa.
Sta scenneno a sera a Via
Molino
le mamme, dal balcone,
chiamano e creature:
stanno ancora pazzianno
a quel meraviglioso gioco
sotto ‘o mur.
Ormai a luna se addurmuta
vicino e stelle.
’A Vergine Maria ha donato
‘o core e le sue virtù
e signore chiurono a fenesta
e pensano quand’era bella la
loro gioventù!
Provammo
una certa emozione dopo aver letto questi versi, così conservammo la poesia con
molta cura nella tasca dello zaino e proseguimmo felici verso casa.
In
un baleno, arrivammo ai piedi della maestosa Chiesa, salimmo i gradini che
portavano alla porta d’ingresso e ci sedemmo in religioso silenzio ad osservare
il meraviglioso altare di marmo antico. Il soffitto aveva le rifiniture dorate
e un grande organo era adagiato su una balconata di legno che sembrava la
terrazza di un teatro. Era una chiesa stupenda, una delle cose più belle mai
viste finora. Uscimmo dal lato opposto, oltre la porta centrale e di lato, sull’altra
rampa di scale, al centro, un piccolo giardinetto faceva da cornice al monumento
in onore dei caduti in guerra.
Era
costruito con pietre levigate ad arte. Incastonato fra le pareti sistemate con
maestria, al suo interno c’era un cannone usato nella prima guerra mondiale,
che era stato sottratto agli austriaci in ritirata, nella battaglia che
portò alla vittoria l’esercito italiano, nel novembre del 1918. Una grande lapide marmorea recava i nomi
di tutti i soldati locali morti per servire la Patria, a imperitura memoria. In
basso, inciso su una lastra di granito bianco, il nome di chi aveva progettato
e realizzato quell’opera era scritto in bell’evidenza: “Costruttore Michele
Ciccarelli”.
Arrivati sul corso ci
ritrovammo in un corteo di pie donne, con il velo abbassato e il rosario tra le
dita. Una di loro ci disse che andavano a recitare il rosario presso una
piccola cappella che si trovava più avanti in un angolo di via Campo, la quale custodiva
una meravigliosa immagine, su mattonelle maiolicate, della Vergine Maria.
Incuriositi da quello
che ci aveva detto l’anziana signora e non essendoci ancora nessuno sull’uscio
di casa ad aspettarci, decidemmo di proseguire insieme al corteo.
Addereta ‘a Marunnella
Quanno passo addereta
a’ Marunnella
mi faccio, umilmente, a’ croce
a’ guardo fisso dinta a l’uocchie
e dico na’ preghiera cu nu filo e voce
Tene sempre fiori
freschi e tutte e’ specie
a’ faccia soja è cchiù rosa da’ Gioconda
pare che te parla attraverso o’ vetro
è n’emozione ogni vota cchiù profonda
'A fa cumpagnia, dinto
'a cappelloccia
'na statua 'e bronzo e Padre Pio
parano proprio frate e sora
c' meraviglia 'a misericordia ''e Dio
Si trova o’ stesso
posto a’ cchiù e’ cient’anni
i’ vecchie antiche ievano a dicere o’ rusario
s’assettavano ‘ngoppe e suggiulelle
ogni juorno o’ stesso orario
E’ sempe stata
all’angolo, abbascio o’ campo
mma rricordo comme fosse aiero
a’ tuccavo cu’ doje mano
e pareva che risponneva cu’ pensiero
Tutta Calvizzano è
devota a’ Marunnella
cu’ San Giacomo è a’ cosa cchiù preziosa
e quanno chella notte s’hanna arrubbata
c’è stata a’ processione e na’ funzione religiosa
Pag. 29
Poi finalmente è turnata mieza a nuje
comme na’ mamma ca’ s’abbraccia e figli
chillu juorno addereta a’ Marunnella
se senteva forte addore e’ gigli
E’ passato tantu
tiempo ormai
ma a’ Marunnella mai c’abbandona
e quanno facimmo nu’ peccato
c’accarezza o’ core e ci perdona
Ormai era scesa la
sera. L’insegna “Sali e Tabacchi” del negozio di zio Pasquale, si illuminò, la
scorgemmo da lontano e così decidemmo di ritornare indietro per raggiungere
la casa di Luca prima che le pie donne avessero terminato il rosario.
Sul portone, zia Ida
ci aspettava, un po’ preoccupata, tenendo tra le mani un vassoio pieno delle
famose fette di pane con olio e zucchero, che tanto ci piaceva mangiare.
Prima
di abbracciare la zia mi rivolsi a Luca: <<
Grazie di cuore per tutto quello che
hai fatto: senza
di te, non avremmo mai ritrovato il vecchio mulino >>.
Luca
visibilmente emozionato rispose: <<
Grazie a te, Simone, per tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme >>.
Poi continuò: << Saremo sempre amici,
vero? >>
Ed
io: << Come puoi dubitarne… L’amicizia è il sentimento più importante che
possa esistere, è un bene prezioso che ci è stato donato ed è per questo che lo
dobbiamo custodire con cura. Certo, Luca.
Saremo amici per sempre.
La
luna iniziò a brillare nel cielo e sul fortino dei “Lupi dell’Ontario”, del
leggendario Comandante Mark, scese lentamente la notte.
********
Pag. 30
L’autore ringrazia di cuore il prof.
Trinchillo, le famiglie Iorio e Palumbo