Calvizzano, via Roma: blocco di epoca romana inserito nel muro del civico 25 e panchina “scomparsa” sono “cippi” di confine?
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Foto libro Galiero |
E’ molto probabile,
come asserisce un’archeologa amica di Paolo Ferrillo

Lapide come si presenta oggi
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Lapide come si presenta oggi |
Paolo Ferrillo,
supportato anche dalla tesi dell’amica archeologa, è convinto che la “Selice”,
il blocco di lava basaltica che non c’è più, sia la “sorella” di quella
presente nel muro al civico 25.
L’articolo che abbiamo più volte pubblicato
Al civico 25, a sinistra dell’ingresso, è scritto a
pagina 63 del libro di Barleri “Testimonianze romane a
Calvizzano”, è visibile (murato nella parete) ad altezza d’uomo, un
grande blocco di piperno lungo 1,37 metri; alto 0,57 metri, d’epoca romana,
recante incisa forse soltanto la parte inferiore destra di un’ampia epigrafe
che il Galiero (sacerdote e storico locale: ha scritto due libri su Calvizzano,
ndr), a suo tempo, ricompose e decifrò in questo modo: “…Augustale
Dupliciario. A se, ai suoi, e ai posteri, questi luoghi che costruì a sue
spese. Se da alcuno in qualunque modo sarà alineato qualche cosa, questi sia
condannato. Per colui che compra ci sia la stessa pena”.
Secondo il Galiero l’epigrafe sarebbe stata fatta fare
da un certo militare che si chiamava Augustale Dupliciario. In realtà il nome
dell’intestatario, secondo me (scrive Barleri), doveva trovarsi nel rigo
sovrastante ormai perduto e Augustalis Dupliciarus sarebbero senz’altro le
qualifiche di questo soldato. Insomma il nome è stato eliminato e da quello che
resta si sa solo che costui era uno che per meriti eccezionali apparteneva al
ristretto numero di coloro che partecipavano una doppia razione alimentare
(quasi una doppia paga come si direbbe oggi). Questo infatti significa
Dupliciarus. Per quanto riguarda Augustalis non c’è molto da dire che è facile
ammettere che questo bravo soldato fosse un miliziano di Augusto. Non un nome
proprio, quindi una qualifica. E poco importa che i caratteri siano un
pochettino più grandi di tutto il resto.

Via Roma è zeppa di cippi di confine
Perchè i vecchi della Valnerina dicevano che spostare
i cippi di confine fosse vietato?
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Via Roma è zeppa di cippi di confine |
Perchè i vecchi della Valnerina dicevano che spostare
i cippi di confine fosse vietato?
Tra spiritualità e mistero
Nell’universo tradizionale dell’agricoltore umbro, i cippi di confine – “li
tèrmini” – costituivano un elemento sacrale che esigeva il massimo
rispetto. I tabù ed i divieti concernenti l’impossibilità di rimuovere i
cippi di confine, o di spostarli, non erano volti soltanto alla
salvaguardia della proprietà materiale. Si credeva, infatti, che “li
termini” traducessero in pratica antichissime concezioni di natura
magico – religiosa secondo le quali, a protezione dei confini, erano
preposte divinità tutelari. Un’antica iscrizione romana, scolpita su
un cippo di confine rinvenuto in Valnerina, avvertiva: <<Quisquis hoc
sustulerit aut iusserit ultimus suorum moriatur. >>(chiunque
abbia spostato codesto o ne avrà ordinata la rimozione, possa morire dopo che
tutti i suoi cari siano morti).
“Li termini” erano ricavati
principalmente da grosse rocce situate nelle immediate vicinanze dei terreni da
contrassegnare. Successivamente, venivano trasportati a spalla sul luogo di apposizione.
Cosa accadeva a chi violava “li termini”?
A Monteleone di Spoleto, quando l’agonia del morente si
prolungava in maniera anomala, si pensava che il malcapitato non avesse
rispettato i cippi di confine: conseguentemente, per affrettarne la morte,
si usava porre un mattone sotto il cuscino del moribondo. In località Casali
di Sant’Antonio invece – quando si sospettava che l’agonizzante si
fosse macchiato di tale colpa – per accelerarne il decesso si usava mettere
sotto il letto le pinchette, ossia i cocci di coppo che,
secondo un’antica tradizione, erano disposti sotto i cippi di confine. Nella
medesima località, per rendere più breve e meno penosa l’agonia, la persona che
era stata “derubata” del terreno doveva recarsi al cospetto
dell’agonizzante e concedere lui il proprio perdono. Nel collocare un
termine la tradizione imponeva che due confinanti spezzassero un coppo: in
tal modo i due pezzi – detti “testimoni” – potevano combaciare
soltanto tra di loro. Questo era il segno inconfondibile
dell’autenticità del cippo e dell’accordo in virtù del quale era stato eretto.
I cippi di
demarcazione non venivano posizionati ad una distanza regolare l’uno dall’
altro ma a seconda della conformazione del terreno: nella fattispecie, nei
luoghi dove il confine seguiva il corso di un fiume o di una valle, ne venivano
posizionati pochi.
Dall’Antica Roma alla Valnerina
Le credenze popolari umbre riguardanti i cippi di confine affondano le loro
radici nel pensiero magico e religioso dell’Italia antica. Una legge, che
la tradizione romana attribuiva a re Numa, dichiarava sacer –
soggetto alla pubblica vendetta – colui che, arando i suoi campi, avesse
spostato o rimosso i cippi di demarcazione. Quest’ultimi, nel mondo romano,
erano posti sotto la tutela del dio Terminus, garante
dell’inviolabilità dei confini. Lo stesso Numa, il primo che provvide a
delimitare i confini dell suolo romani, unì il culto tributato a Terminus a
quello in onore della dea Fides, protettrice della parola
data e degli accordi. Gli antichi riti i romani – che accompagnano la
collocazione dei cippi – presentano un elemento comparabile con le
usanze alle quali abbiamo accennato all’interno primo paragrafo: nel
celebrare il dio Terminus, su di un rustico altare, i proprietari dei terreni
limitrofi accendevano un fuoco utilizzando, come esca, un carbone
prelevato dal focolare domestico. La presenza di un elemento appartenente
alla casa, nei rituale di consacrazione dei cippi di confine, si spiega in un
ambito concettuale simile a quello che prevede, nella tradizione rurale, la
presenza di due pezzi di tegola – provenienti dal tetto domestico – da
porre ai lati del cippo. Come il focolare, il tetto è un elemento
rappresentativo dell’abitazione domestica: difatti, “tetto” e “focolare”
sono usati ancora oggi come sinonimo di “casa”. La presenza di tegole
sotterrate alla base del cippo estende la sacralità dello spazio domestico e,
allo stesso tempo, dichiara l’appartenenza di quello spazio alla famiglia cui
appartiene anche la casa.
Fonte Blog laValnerina