Calvizzano, storia del Campanile annesso alla chiesa parrocchiale Santa Maria delle Grazie

 

Campanile in una foto degli anni '60


Meticoloso lavoro di ricerca effettuato dal prof. Luigi Trinchillo


Dov’è attualmente il “cappellone” di destra nell’antica Chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria delle Grazie a Calvizzano, c’era, in origine, un campanile, ridotto nelle dimensioni, ma rispondente alle necessità del momento. Esso, scandendo le ore (all’inizio solo quelle piene e non anche i quarti), richiamava il popolo alla partecipazione alle funzioni religiose e liturgiche, festive e/o feriali, ma rivestiva anche un ruolo di riferimento civico e cittadino, potendo essere utilizzato, altresì, per diffondere semplici, brevi ed inequivocabili “messaggi” di allerta, di eventi straordinari, lieti o tristi (processioni devozionali, scoppio/fine di un conflitto o di un motivato allarme, arrivo di un personaggio importante, inaugurazione di un edificio pubblico, insediamento di un nuovo parroco, accoglienza di un novello sacerdote, ecc.), capaci di raggiungere e coinvolgere una massa notevole di popolazione. Si tenga conto che parliamo di periodi storici ben anteriori a quelli dell’attuale “connessione alla Rete”, o comunque precedenti alla comunicazione a distanza, mediante congegni tecnologicamente avanzati. Inoltre, in un’epoca in cui il possesso di un apparecchio personale di misurazione del tempo era un’eccezione davvero straordinaria, il battere delle ore della torre campanaria, in un silenzio ambientale quasi assoluto, scandiva la giornata operativa “laica”: quella dei pasti, dell’inizio/della fine della giornata lavorativa, delle comuni abitudini di vita delle famiglie e di ciascun cittadino; certamente, anche gli orari di inizio di funzioni religiose, dell’amministrazione solenne di alcuni sacramenti, dei vari momenti delle esequie e dei funerali dei fedeli defunti, ecc.
Da notare che, per secoli, non esistettero congegni completamente automatizzati di tipo meccanico o elettronico, per cui l’intervento del sacrista o di un addetto che si prendesse cura dell’incombenza di “tirare le corde”, per suonare i singoli rintocchi, era, in effetti, diuturno, continuo, quotidiano.
In un centro relativamente minuto come Calvizzano, il campanile segnava (e lo fa ancora!) una sorta di ideale collegamento rapido, per tenere unito il popolo: non a caso, si parla tuttora di “campanilismo”, quando si vuole trasmettere un modo di interpretare un evento, che coinvolge l’intimo di un gruppo locale, motivato verso una finalità specifica.
In molte culture del mondo antico, le campane erano sia strumenti puramente musicali che di culto, il cui suono doveva chiamare a raccolta le persone, ma anche, e addirittura, gli “esseri soprannaturali”. In tal modo, le campane stesse acquisirono il carattere di simboli del culto.
È il caso di ricordare che il campanile, quale elemento architettonico specifico, fece la sua comparsa, nell’ambito degli edifici di indirizzo religioso o di uso comunitario, come torre autonoma, staccata dal corpo principale della Chiesa, in Occidente, solo intorno al VI secolo d.C. Più o meno contemporaneamente, quindi, alla comparsa dei primi transetti, che conferivano ai luoghi di culto la caratteristica forma a croce latina, divenuta poi tipica di moltissime chiese in Europa, così come nel nostro Paese.
Con le varianti assunte a partire da allora, nacque quel modello di pianta classica dell’edificio ecclesiale, almeno dell’Occidente, rispetto al quale le successive modifiche architettoniche ed ingegneristiche hanno solo variato lo schema di base adottato.
Il primitivo campanile della Chiesa di Calvizzano dedicata a Santa Maria Annunziata (poi ampliata e trasformata nella Chiesa di “Santa Maria delle Grazie”), svettante  nella Via Oliva, oggi Via Molino, andò anch’esso parzialmente danneggiato nella notte della Vigilia di Natale del 1696, a causa di un inspiegabile incendio, che si propagò dall’oratorio che era lì accanto, dove si riunivano gli iscritti ad un’antica “Confratanza[1], che, proprio a seguito di quel disastroso evento, decisero di staccarsi dalla Chiesa mariana centrale, che svolgeva ormai le funzioni parrocchiali, essendo stato quasi del tutto abbandonato il tempio degli inizi del X secolo d.C., dedicato a San Giacomo, in quella via periferica, che ancora oggi gli abitanti del luogo dicono “di Santo Jacolo” o di “Santo Jacono”, e di avviare la costruzione di una nuova Chiesa, anch’essa dedicata al ricordo e alla venerazione di Maria, sotto un altro titolo.
Separatisi definitivamente dall’originaria sede, ormai divenuta di fatto “parrocchiale”, nacque così quella che è tuttora conosciuta come “Congrega dell’Assunta”, posta di fronte alla Chiesa – madre, attualmente e (si spera) solo momentaneamente preclusa al culto, per la necessità inderogabile di effettuare urgenti e radicali lavori ed opere di consolidamento e di restauro conservativo.
Pur in modo ridotto, il Campanile antico annesso alla Chiesa/Cappella dedicata all’Annunziata fu mantenuto in uso ancora per qualche anno, dopo il 1696, ma lo si dovette abbattere completamente nel 1712, quando prese fisionomia definitiva e grandezza adeguata il “cappellone” di sinistra di Santa Maria delle Grazie, che, unitamente al corrispondente opposto ed al corridoio alle spalle dell’Altare Maggiore, arricchito, questo, di un prezioso lavabo marmoreo che ancora oggi si può ammirare in buono stato ed efficienza, rese possibile assicurare uno squarcio magnifico per luminosità ed altezza alla straordinaria cupola della Chiesa.
Ciò consentì all’intero edificio religioso di assumere quell’esemplare aspetto “a croce latina” che tuttora lo caratterizza.    
Divenuta inagibile ed inutilizzabile la precedente e ridotta torre campanaria, fu necessario avviare i lavori per erigerne una nuova, più rispondente alle dimensioni che la Parrocchiale era andata sempre più maestosamente assumendo nel tempo.
Infatti, a partire dalla Santa Visita effettuata dal Cardinale Francesco Carafa nel 1542, per le osservazioni critiche che quella Commissione Visitatrice segnalò, in relazione alle condizioni dell’antica Chiesa recante il titolo di San Giacomo, le varie funzioni liturgiche lentamente e progressivamente furono spostate da quella sede jacobea, risalente agli inizi del X secolo, a quella più centrale, rispetto all’espansione in atto del borgo, e staticamente più sicura, che era dedicata a Maria Annunziata. Si cominciò col trasferirvi le Sacre Specie, per garantirne la protezione, l’igiene e soprattutto la dignitosa conservazione; poi, si autorizzò l’ordinaria celebrazione della Santa Messa e delle funzioni liturgiche festive; successivamente, con l’inaugurazione di un artistico Battistero interno, fu possibile conferire questo fondamentale Sacramento dell’iniziazione cristiana nella Vice-Parrocchiale di Santa Maria delle Grazie. Il ruolo centrale della Chiesa mariana fu, pertanto, a tutti gli effetti, ratificato dall’uso e dalle funzioni svolteSi giunse, così, agli ultimi anni del XVII secolo, quando la struttura e l’impianto attuale della Chiesa divennero definitivamente quelli che ammiriamo.
Una scossa di terremoto, verificatasi nel 1809, suggerì, inoltre, di abbandonare completamente e definitivamente l’antico tempio intitolato all’Apostolo San Giacomo e trasferire de facto et de iure il titolo parrocchiale nella Chiesa che si reggeva con Amministrazione laicale di Santa Maria delle Grazie.
Fu nel 1713 che si avviarono i lavori per l’edificazione di un nuovo Campanile, che avrebbe dovuto essere “all’altezza” della maestosa Chiesa, che era cresciuta lì accanto e nella quale le opere d’arte di gran pregio erano già numerose: dalle tre grandi tele di Nicola Vaccaro, a quella, splendida, collocata lungo il soffitto a cassettoni, di Andrea Malinconico, alle due tele del Domenichino, agli stucchi straordinari di Domenico Antonio Vaccaro, …
Tali lavori si protrassero a lungo, tanto che, dai documenti, risultano non ancora completati né esauriti nel 1746.
L’attuale nostro Campanile ha una massiccia base quadrata, lunga 7 metri, con una bordura di piperno che lo caratterizza decorativamente, essendo lo stesso tipo di roccia e l’identico colore ripresi persino nelle scale laterali e nella base esterna della facciata della Chiesa. Quattro colonnini di quella pietra vulcanica, originariamente posti lungo la parte anteriore esterna della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, furono riutilizzati e collocati alla base del campanile. La nostra torre campanaria svetta in altezza per ben 45 metri, con una cuspide poggiante, fin dall’origine, su un globo di rame, della circonferenza di 3,35 metri. Una banderuola, sovrastata da una elegante croce in ferro battuto, dalla forma particolarmente elaborata ed artisticamente riconoscibile, con un disegno quasi “a ricamo” raffinato, completava, in origine, la struttura. La croce era alta ben metri 4,65 nel braccio verticale e metri 1,55 in quello orizzontale. L’intero edificio era stato ipotizzato, in realtà, di soli tre piani, con tre campane e con l’orologio destinato a segnare e a battere esclusivamente le ore piene. La più grande delle tre campane fu sistemata nel 1767. Lentamente si provvide poi alle altre. Così, solo nel 1833, fu aggiunta una campana in grado di battere i quarti d’ora. Il quarto piano, realizzato in un secondo momento, rispetto all’iniziale progetto, fu completato e chiuso con un cupolino, la cui funzione architettonica di abbellimento è ancora oggi evidente, benché sia venuto meno uno degli elementi estetici forse più interessanti: il rivestimento in “riggiole napoletane” policrome e patinate, che ne facevano spiccare la sagoma da chilometri di distanza e lo rendevano davvero unico ed inconfondibile nel panorama nella zona. Questo elemento estetico-architettonico, oggi scomparso del tutto, subì, in effetti, tante offese dagli elementi meteorici da renderne difficile e poi impossibile, la conservazione fino a noi. Il campanile, con la sua altezza, attirava, infatti, fulmini in quantità e ciascuno di questi lasciava qualche piccola traccia di sé: rottura di mattonelle, bruciature, piccole lesioni alla struttura sottostante. Si continuò, pertanto, a porvi dei parziali rimedi nel tempo, in modo sempre più difficoltoso, per armonizzare le nuove piastrelle con le antiche. Inoltre, fu importante, per la conservazione statica dell’intero edificio, un evento storico particolare: alla fine dell’estate del 1943, un piccolo contingente dell’esercito nazista in ritirata, nella confusione di quelle settimane cruciali che portarono agli eventi successivi all’8 Settembre, dall’altezza dell’antica pineta, fece esplodere dei colpi di cannone, in direzione del secolare campanile. Per fortuna, fu colpita solo la parte più alta e saltò la piccola campana che, come è si detto, dal 1833, batteva i quarti d’ora, posta accanto a quella, più antica, che, dal 1760, segnalava le ore piene. Nella memoria collettiva di chi in quell’epoca era almeno adolescente, questo evento bellico è rimasto indelebile ed oggi va inevitabilmente perdendosi, per la progressiva scomparsa dei testimoni oculari di allora.
Ulteriori oltraggi il campanile li subì nel 1962, ma soprattutto nel dicembre 1967, quando dei fulmini scaricarono nuovamente la loro violenza elettromagnetica devastante sul cupolino, spaccando di netto, addirittura, la pesante banderuola metallica posta sul globo, che cadde al suolo nella piazza sottostante, per fortuna, senza provocare vittime, data l’ora antelucana in cui il fatto si verificò, sotto una pioggia battente. Alla successiva riparazione, si decise di risolvere definitivamente il problema, con l’installazione di un parafulmine efficiente, che, di fatto, l’ha preservato da ulteriori gravi fenomeni negli ultimi 50 anni. Anche la tradizionale banderuola fu resa più leggera ed agile. In tale occasione, furono rimosse anche tutte le mattonelle policrome originali residue (di colore verde, bianco, giallo), che andarono (quasi) interamente distrutte o disperse: se ne conserva qualcuna, quasi reperto affettivo, nel Museo Parrocchiale della nostra Chiesa. Anche solo ripensando ad una tale scelta, possiamo valutare quanto e come siano migliorati, nell’arco di pochi decenni, il nostro rapporto col patrimonio artistico-storico-architettonico locale e la nostra sensibilità verso tutto ciò che ci è stato consegnato e tramandato da chi ci ha preceduti ed ha pensato di lasciarci testimonianze ed esempi di grande bellezza d’arte.
In ogni caso, il nostro campanile, che pure ha resistito ai movimenti tellurici e alle insidie degli elementi naturali, delle piogge acide e dell’inquinamento atmosferico, anzi, perfino agli scoppi dei fuochi d’artificio dei ripetuti spettacolari “incendi del simulacro del campanile”, degli ultimi 300 anni, attualmente mostra in modo evidente, anche agli occhi di un osservatore distratto e non specializzato, tutti interi i suoi tre secoli di “onorato servizio”: quello svolto sempre con puntualità ed affidabilità.
Si renderebbe, quindi, necessario ancor più che opportuno un buon intervento di restauro, capace di ripristinarne l’antico splendore, per l’onore ed il vanto della nostra comunità, piccola ma molto legata affettivamente alle sue tradizioni e ai tesori materiali ed immateriali ricevuti “in usufrutto” dalle generazioni locali che si sono succedute, nel tempo, sul suo territorio; in ogni caso, tesori da non depauperare né da abbandonare, per incuria, al disfacimento[2].

Calvizzano, Agosto 2018

Prof. Luigi Trinchillo



[1] Il termine, ora in disuso, stava ad indicare un’associazione di cittadini che si occupavano della parte burocratica ed amministrativa di una Chiesa, con la particolarità che essa era autorizzata, anche col placet delle Autorità, a raccogliere le elemosine, le offerte e le donazioni, da utilizzare per finalità specifiche e per provvedere al fabbisogno ordinario di assicurare un dignitoso culto religioso. Nella sostanza, è ciò che comunemente fu definito, in epoca a noi più ravvicinata, come una “congrega”.
[2] Non è certamente superfluo richiamare qui lo straordinario intervento di Papa Francesco a favore della natura e dell’ambiente, che tutte le persone di buona volontà hanno salutato con gioia, per il suggerimento a mettere in atto ogni intervento capace di conservare e trasmettere, a nostra volta, ai nostri posteri, quanto di bello ci circonda, ricordando che ci è stato affidato in comodato d’uso e non quale bene disponibile per ogni nostro capriccio o bruttura. Intendo qui riferirmi, lo si sarà già compreso, all’Enciclica recante la data della Pentecoste 2015, cioè, 24 Maggio 2015, dal titolo <Laudato si’>. D’altra parte, c’è ancora qualcuno che non condivide l’opinione che sarà solo la bellezza che salverà il mondo dalla distruzione e dal disfacimento?

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