La mente di un dittatore è
caratterizzata da alcune peculiari funzioni: banalità; violenza, debolezza.
BANALITÀ - Il dittatore
concepisce il mondo con canoni e proporzioni “regolari”, cioè aderenti alla regola
che naturalmente produce egli stesso. Tutta la complessità del contesto, il
variegato ventaglio di possibilità “eretiche” e la diversità di posizioni,
nella mente di un dittatore non esiste affatto.
Il mondo del dittatore è un mondo vuoto, scavato, banale, prevedibile,
uguale a se stesso. Egli ama parate, celebrazione del potere, il cosiddetto
“popolo” felice ed entusiasta.
VIOLENZA – Ogni dittatura è
incapace di confrontarsi con un imprevisto, che poi, il cosiddetto imprevisto è
solo la normale ipotetica dissidenza da un pensiero o un punto di vista
diverso: di conseguenza, egli agisce con violenza, non avendo gli strumenti
dialettici e il livello negoziale per poter confrontarsi, reagirà sempre con la
forza della repressione e con le armi.
DEBOLEZZA – La dittatura è la
forma di governo più debole rispetto alle altre. Esse hanno paura delle novità,
dei cambiamenti e delle alterazioni dell'equilibrio esistenziale di una
comunità, delle nuove mode e tecnologie. Anche una probabile catastrofe naturale,
una sciagura un incidente, mette in allarme un sistema dittatoriale poiché
questo può ingenerare una scintilla che incendia un disordine e quindi un
rovesciamento del potere. Le continue parate militari, le ostentazioni della
forza armata, la celebrazione del potere “mascolino” di un popolo e il ruolo
delle donne come gregarie e fattrici di nuovi individui che faranno anche loro
la stessa cosa, è per il dittatore imprescindibile dal destino di una nazione
ma è la spia di allarme di una paura costante e presente per tutto quello che
non si controlla.
IBERIA (poesia scritta da
Stalin quando aveva 20 anni)
S'é dischiuso il bocciolo
alla rosa,
si protende a lambire la
viola e
lo zefiro e dondolo lieve al
capino or or desto del
giglio.
Fra le nubi su in alto
intonava il suo verso sonoro
l'allodola. L'usignolo, col
trepido
trillo, effondeva la tenera
voce.
Terra amata, in tripudio di
fiori
sboccia Iberia e accogli il
tributo di letizia che l'ala
dello studio che il tuo
figlio georgiano ti porta.
[Iosif Vissarionovič
Džugašvili]
Questa è una poesia del giovane Stalin,
aveva vent'anni quando la scrisse ed è dedicata alla Georgia, il suo Paese
natale. Analizziamola:
il componimento sembra
apparentemente un dolce idilliaco canto intimo che descrive la natura in modo
semplice e diretto, ricorda la dimensione bucolica della lirica classica ma al
di là della facciata apparentemente abbigliata in modo estetico, la prima
strofa ma anche tutto il resto è una scopiazzatura di stili e consuetudini
metriche piuttosto composita e caotica. Nulla fa pensare a una originale e
sapiente costruzione descrittiva degli autori arcadici. Si notano anche una
serie di errori costruttivi e sintattici: la preposizione “alla” tra “bocciolo”
e “rosa” non si adatta a rendere il senso dell'azione che il soggetto
(bocciolo) commette. Si tratta di una forzatura. Nel successivo verso notiamo:
“...si protende a lambire la viola e lo zefiro e dondolo lieve...”; chi si
protende? Qui non vediamo il soggetto, se si tratta della rosa, il senso è
messo fuori gioco dalla metrica che chiude proprio con il termine “rosa” e con
la virgola. In poesia funziona così la costruzione logica, attraverso il
rispetto della metrica oltretutto il verso continua con una legatura
congiunzionale ripetuta che toglie il senso compiuto alla frase. Continuando.
“...al capino or or desto del giglio.”; ancora un'altra preposizione sconnessa
dalle regole grammaticali (al) e la parola “capino” che dovrebbe significare
“stridulo” o “afono” ma di cosa si tratta? Forse, nella traduzione dal
georgiano, lingua tutto sommato indo-europea e quindi per un letterato di
facile approccio dopo la traslitterazione, si trattava in origine di “catino”
ma anche qui sfugge il concetto e la funzione.
La poesia va avanti con
altre scene campestri e naturalistiche attraverso costruzioni incoerenti dei
tempi verbali (S'è dischiuso; intonava, effondeva, sboccia, ti porta). Anche se
i periodi sono delimitati dal punto, una poesia descrittiva e non introspettiva
(come sempre, quando si tratta di Stalin non c'è alcun segno di introspezione)
ha bisogno di una scorrevolezza temporale e verbale che ovviamente qui non c'è! Il poema si conclude
in modo indolente, dopo le varie fasi descrittive, non c'è alcun epilogo,
nessun cambiamento di passo o continuità espositiva. La poesia, muore in un
nulla di fatto, così com'era iniziata e con versi incomprensibili: “...sboccia
Iberia e accogli il/tributo di
letizia che l'ala/dello studio che il tuo/figlio georgiano ti
porta”. (L'ala dello studio?), Figlio
georgiano? È come se Dante, rivolgendosi a Firenze avesse bisogno di dire “tuo
figlio fiorentino”; si sa che un figlio è frutto di quella madre e di quella
terra. Iberia è l'antico nome della Georgia. Dietro un mare retorico fatto di
fiori, uccelli trillanti e scene campestri, egli tradisce già il segno malato
del suo narcisismo patologico: Iberia deve gioire perché il suo figlio illustre le porge letizia! La
nazione qui non viene celebrata ma fa da sfondo alla sua personalità che compie
un'azione centrale che mette fine al poema. Così come anni dopo, si impossessò
del palcoscenico della storia piegando l'Unione Sovietica ai suoi voleri.
Indubitabilmente i suoi meriti li ha, come la sconfitta delle armate naziste ma
egli resta un piccolo, inadeguato contadino georgiano dalla mente troppo
ristretta per le colossali tematiche storiche del secolo scorso.
Enzo Salatiello
Continua…