Grazie al
certosino lavoro del professor Luigi Trinchillo, grande uomo di cultura, di
fede e studioso di storia locale, il nostro archivio si arricchisce anche della
biografia di don Luigi Ferrillo
Sono trascorsi quasi dieci anni dalla scomparsa del nostro Parroco Don Luigi Ferrillo ed avverto il bisogno di ricordarlo attraverso queste poche pagine dettate dal cuore e prive di qualsiasi sentimento agiografico che non sia quello di una manifestazione di affetto filiale.
Conobbi
Don Luigi quando arrivò nella nostra Comunità parrocchiale quale Vicario Coadiutore
del Parroco Don Antonio Di Sabato, da tempo sofferente e bisognoso di un aiuto
pastorale, non potendo più seguire personalmente le varie attività
parrocchiali.
Don
Luigi giunse l’11 settembre 1966 ed il suo incarico fu trasformato, il 7 maggio
1967, in quello di Vicario Economo. Scomparso il Parroco Di Sabato il 17 maggio
1967, il ruolo di Don Luigi divenne ancora più rilevante ed egli poté
continuare tutte quelle iniziative che aveva avviato in Parrocchia, e non fu
sforzo di poco conto.
Non
sembra superfluo ricordare che il Concilio Ecumenico Vaticano II era stato
chiuso da Sua Santità San Paolo VI appena nel dicembre 1965 e prendevano avvio,
in quei mesi, le prime necessarie innovazioni, per rendere operative le
decisioni assunte in quel sacro Consesso, destinato ad essere davvero
rivoluzionario, per dare un volto nuovo alla Chiesa Cattolica, consentendole di
avviarsi verso il Terzo Millennio con tutti gli strumenti operativi più
opportuni per mettersi in consonanza con un’umanità che avvertiva nuove
esigenze e spinte.
Le
celebrazioni in lingua italiana di tutte le varie azioni liturgiche, il ruolo
nuovo di dignità collaborativa fra il Clero e la società civile, la convinzione
che i laici avrebbero sempre più dovuto assumere impegni operativi nella vita
della Comunità dei fedeli, soprattutto in un Paese come Calvizzano di antica e
documentata fedeltà e collaborazione con la Gerarchia, il rilancio delle
organizzazioni religiose allora già presenti, in primis l’Azione
Cattolica Italiana nei suoi vari bracci operativi, in particolare la G.I.A.C.,
videro Don Luigi impegnato, fin dal primo momento, in un enorme sforzo e in una
sollecitudine solerte.
In
ciò egli seppe mettere a frutto brillantemente l’esperienza maturata subito
dopo l’Ordinazione Sacerdotale, quale Sacrista della Cattedrale e Cerimoniere
Arcivescovile. È il caso di precisare che, al momento, guidava la Diocesi di
Napoli il Cardinale Corrado Ursi, di riverita memoria, un interprete fedele e
entusiasta delle direttive conciliari, al punto da essere fra i primi ad
introdurre le innovazioni imposte dalla Sacrosanctum Concilium (sulla
Sacra Liturgia), dalla Lumen Gentium (sull’azione pastorale della Chiesa)
e dalla Gaudium et Spes (sull’azione della Chiesa nel mondo
contemporaneo). Il XXX Sinodo della Chiesa Napoletana, poco più di una decina
di anni dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, tra gli ultimi anni ’70 e gli
inizi degli anni ’80, pianterà tante pietre miliari in tale azione pastorale
presso la nostra Diocesi che gli effetti si avvertono e si protendono fino ai
nostri giorni.
L’Ordinazione Sacerdotale
di Don Luigi Ferrillo era avvenuta il 18 luglio 1965, quando egli era giovanissimo, essendo nato l’8 marzo del
1942.
In quel periodo, chi
scrive queste note gli fu accanto, “contagiato” dallo spirito di innovazione
che pervadeva Don Luigi. Può così raccogliere
anche qualche ricordo sporadico della difficile esperienza esistenziale e delle
prove familiari che aveva dovuto affrontare: aveva perduto il papà quando aveva
da poco compiuto sette anni, nell’epoca il cui l’Italia era uscita da poco dal
Secondo Conflitto Mondiale, con tutti i problemi che si può immaginare,
talvolta di reali difficoltà economiche, senza nemmeno quei sussidi sociali che
oggi siamo abituati a considerare insufficienti: figurarsi allora! Non gli era
stato risparmiato il dolore di non essere stato visto dalla mamma celebrare la sua
Prima Messa, essendo ella scomparsa un paio di anni prima dell’Ordinazione
Sacerdotale.
L’esperienza maturata in
Cattedrale rafforzò semplicemente quelle doti di attenzione per la liturgia,
che non è semplice manifestazione esterna del rito, ma vita vera della Chiesa
Cattolica nella quale il Depositum Fidei e la Tradizione vanno
sempre valorizzati alla luce della Rivelazione. In ciò il Concilio Vaticano
II seppe svolgere un ruolo-chiave nell’innovare senza tradire millenarie
pratiche di celebrazione dei Riti. Ecco, allora, don Luigi attento
nell’introduzione di canti significativi dei momenti specifici, durante le
azioni liturgiche, con una scelta appropriata, così da divenire davvero parte
integrante della preghiera comunitaria; ecco le omelie che si trasformavano
abitualmente in reali catechesi rivolte ai fedeli, che talvolta partecipavano fino
ad allora un po’ passivamente alla Santa Messa, quasi solo per rispondere al
precetto festivo; ecco l’impegno a coinvolgere i laici nelle azioni
comunitarie: soprattutto i giovani, a favore dei quali rilanciò la formazione religiosa
di base, accanto alle nuove linee innovative conciliari, rilanciando
l’organizzazione dell’associazionismo cattolico, considerato vero braccio
operativo dell’azione pastorale. Chi, come lo scrivente, ha memoria di
quell’epoca, ricorda le funzioni liturgiche molto partecipate dal popolo, nei
tempi liturgici “forti”, come in occasione della Settimana Santa e della Pasqua,
con un concorso di fedeli certamente più animato e nutrito del solito.
Tutto avrebbe fatto
pensare che Don Luigi potesse divenire il successore diretto di Don Antonio Di
Sabato, quando giunse la notizia che era stato invece nominato Parroco Don
Anselmo Galdiero, che seppe farsi apprezzare nei tre anni circa in cui rimase a
Calvizzano. Egli continuò le attività avviate da Don Luigi, conservando la
struttura organizzativa impressa da lui ed integrandola, in particolare, con la
costituzione del Consiglio Pastorale, nel quale coinvolse rappresentanti delle
varie anime della Comunità, e non solo quella ecclesiale.
Don Luigi andò a
ricoprire per qualche tempo l’incarico di Direttore Spirituale del Collegio
E.N.A.O.L.I., a Napoli, assumendo di nuovo quello di Cerimoniere presso la
Cattedrale e poi di Parroco dell’erigenda Parrocchia di Santa Maria delle
Grazie a Marano, titolata in seguito come Parrocchia San Ludovico d’Angiò. Ne
avviò tuttavia solo i lavori, perché rinunziò al titolo di Parroco nel
settembre 1973. Divenne così Cappellano presso l’Istituto delle Suore Discepole
di Gesù Eucaristico, Ordine fondato da Monsignor Delle Nocche e animato dalla
nostra compaesana Suor Maria Machina. L’attività pastorale di Don Luigi
proseguì poi presso l’antica Chiesa dello Spirito Santo a Marano, in qualità di
Rettore.
L’insegnamento
nelle Scuole secondarie di Secondo grado segnò un altro periodo dell’azione pastorale
del Parroco Don Luigi, a Napoli e a Marano, Comune presso il quale egli
risiedette per vari anni. Ritornò a Calvizzano, finalmente Parroco, alla
scomparsa improvvisa di Don Peppino Cerullo (tutti lo chiamavamo sempre così,
sembrandoci più familiare, rispetto a Don “Giuseppe”, e certo non per eccesso
di confidenza nei suoi confronti).
L’attività
pastorale di Don Luigi riprese secondo quel modello conciliare di cui si diceva
all’inizio e proseguì per anni, infaticabile, finché godette di buona salute;
poi dovette necessariamente essere adeguata ai nuovi ritmi imposti dal fisico.
Quello che occorre segnalare degli anni da Parroco è la sua attenzione per la
formazione di Sacerdoti novelli e la sua capacità di scoprire e indirizzare
vocazioni, così da far diventare la Parrocchia San Giacomo di Calvizzano una
vera fucina di formazione attiva di giovani sacerdoti, parecchi dei quali
chiamati in seguito essi stessi a svolgere la Cura pastorale presso altre Parrocchie
della nostra Diocesi[1]. Mi piace ricordare un
episodio personale avvenuto durante una delle ultime visite fattegli a casa,
quando le condizioni di salute di Don Luigi erano già abbastanza compromesse.
Mi disse che ringraziava il Signore per avergli messo accanto come collaboratore
Don Ciro Tufo, l’attuale Parroco, del quale egli fece l’elogio: mi disse che
era un sacerdote pieno di iniziative, che sapeva conciliare le tradizioni
religiose dei fedeli locali col rigore di una preparazione pastorale sicura e
di una visione della Comunità rara in un giovane della sua età. Alla scomparsa
di Don Luigi, il 31 luglio del 2012, ricordo che queste parole mi tornarono
alla mente, quasi come un’ideale “investitura” a succedergli nella cura della
Parrocchia.
Le
riflessioni qui presenti nascono per il senso di sincero affetto che nutrivo
nei suoi confronti e non intendo certo fare un’agiografia acritica, perché,
senza dubbio, Don Luigi, come tutti, aveva anche delle asprezze di carattere,
che qualcuno gli rimproverava. Quando abitualmente si afferma che qualcuno ha
“carattere”, si finisce per intendere che abbia un carattere “difficile”.
Ebbene, il Parroco Don Luigi aveva senza dubbio un’indole forte e decisa,
soprattutto perché fondata su una solida cultura di base ed una capacità di
ragionamento “matematico” e di una logica sempre stringente[2]. D’altra parte, a chiunque
abbia delle responsabilità di organizzazione, direzione e guida di una Comunità,
inevitabilmente viene “cucita” addosso una fama di severità, se, una volta
stabilite ed accettate delle regole, le applica “erga omnes” e senza
altre eccezioni, che non siano quelle dettate dal buonsenso e dall’opportunità
di rispondere a situazioni ben precise. Eppure, nella vulgata generica e comune
passa per una persona poco disponibile, se non addirittura poco sensibile, quando non si piega ad acconsentire a
richieste molto spesso immotivate o dettate da scelte individuali di comodo o stravaganti.
Ecco allora il Parroco fatto oggetto di critiche ingiuste e di parte.
Don Luigi riusciva a rendere gradevolmente
accette le sue lezioni di Religione Cattolica, particolarmente nelle Scuole
Superiori e ricordo vari ex-alunni, che venivano ancora ad incontrarlo in
Sacrestia ed in ufficio, quando, con la nomina a Parroco di Calvizzano, dovette
rinunziare all’insegnamento.
Probabilmente qualcuno dà “per scontato”
che ogni Sacerdote faccia delle omelie ricche di spunti di riflessione e di
interpretazione dei testi proposti dalla Liturgia della Parola: eppure occorre proprio
dire, per tracciarne un ritratto fedele, che il Parroco Don Luigi riusciva ad
essere chiaro ed esaustivo durante gli interventi omiletici, che consentivano
ai più attenti di allontanarsi, dopo la celebrazione, effettivamente arricchiti
di concetti biblici, teologici e dottrinali su cui riflettere anche nella vita
personale di fedeli praticanti. Tutte le funzioni liturgiche, specialmente
quelle officiate nei tempi forti, si caratterizzavano per l’attento rigore, in
un contesto agile e ineccepibile per preparazione e svolgimento. Se dovessi
sintetizzare in poche battute la sensazione che ricevevo da quelle occasioni,
direi che rientravo a casa convinto di aver ascoltato un Ministro della Chiesa
che avrebbe potuto far sua quella terzina dantesca in cui il Poeta confessa che
la “Fede è sustanza di cose sperate / e argomento de le non parventi; / e
questa sembra a me sua quiditate”.[3]
È
evidente che, con questa affermazione, non intendo certo sminuire il valore
degli interventi di altri Sacerdoti, bensì solo ribadire ed esaltare la cura
che il Parroco Don Luigi metteva nella preparazione di ciascuna celebrazione. Ugualmente
fondamentale è risultato sempre l’impegno profuso nella guida di Sacerdoti
giovani che riuscirono a formarsi in tutte le azioni pastorali, che poi li
avrebbero visti impegnati nella nostra come in altre realtà e Comunità
Parrocchiali della Diocesi. Purtroppo, una fastidiosa malattia, che alla fine
si rivelò fatale, sottrasse energia ed anni alla sua cura pastorale della
nostra antica Parrocchia intitolata all’Apostolo San Giacomo Maggiore,
strappandolo agli affetti di quanti gli volevano bene e lo stimavano. Mai venne
meno la speranza, come per ogni buon cristiano, perché “Spene … è un
attender certo / de la gloria futura, il qual produce / grazia divina e
precedente merto”[4].
La
Provvidenza ha voluto che, a succedergli nell’incarico di Parroco del nostro
Paese[5] sia stato proprio Don
Ciro, che, come Don Luigi aveva quasi profeticamente intuito, ha continuato la
sua azione pastorale, naturalmente integrandola grazie alle sue energie giovanili
e all’amore per il popolo affidatogli, nel settembre di quello stesso 2012, che
prosegue in questi anni, pur fra le mille difficoltà create particolarmente dalla
pandemia, che ha costretto all’osservanza di stringenti misure di sicurezza e
limitato alquanto l’attività pastorale in presenza.
Luigi Trinchillo
Altre
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Nel 2005, festeggiamenti 40.esimo anniversario di sacerdozio |
[1] Mi fa piacere ricordare qui una vicenda singolare, avvenuta
quando il Parroco Don Luigi ebbe le prime difficoltà per motivi di salute. Nell’accogliere
uno dei vari Confratelli in formazione, che si sono alternati e susseguiti
negli anni presso la nostra Comunità, gli disse un’espressione che avrei poi
scoperto ripresa dalla Seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi (2Cor 12, 10),
che mi sembrò colma di affetto e fiducia nel Signore. Eccola: “Perciò mi
compiaccio nelle mie debolezza, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle
persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è
allora che sono forte”. La circostanza che Don Luigi la ripetesse alla
presentazione del Sacerdote davanti all’Assemblea, mi parve un atto di umiltà e
di abbandono nelle mani di Dio, quasi confessione di uno stato di debolezza,
che non rischiava di incrinare l’autorevolezza del ruolo che ricopriva presso
il popolo. E, difatti, fu così sempre!
[2] Una cosa (chiaramente e
decisamente minore!) che mi colpiva sempre in Don Luigi era la sua capacità di
ricordare e citare opportunamente motti e proverbi esemplificativi di situazioni,
anche occasionali o banali, con la semplicità e la freschezza che solo il
vernacolo popolare napoletano riesce a trasmettere.
[3] [Dante,
Paradiso XXIV, 64 - 66]. “La fede è il fondamento di tutto ciò che noi speriamo
/ e la prova razionale per parlare delle cose che non vediamo; / e questa
sembra a me che sia la sua vera essenza”. [Il termine “quiditate” (dal
latino “quid sit” / “quid est”), è caratteristico
della corrente filosofica medioevale della Scolastica; così come il termine
“argomento” è interpretato da molti commentatori di Dante, soprattutto di
formazione tomistica, come “prova effettiva e reale”. In questa terzina
dantesca, probabilmente, risultano essere le due voci più complesse della citazione. La fede sta a certificare
l’essenza, la peculiarità della virtù teologale che, secondo San Tommaso
d’Aquino, esprime “fiducia”, “fedeltà”, “adesione incondizionata”. Il termine
“argomento” è interpretato da molti commentatori di Dante, specialmente nell’ambito
della Scolastica, come “premessa” e “garanzia”, quindi, come “prova”. In ogni
caso, il riferimento alla Lettera agli Ebrei è evidente ed integrale: l’autore
del testo biblico, infatti, scrive: “La fede è fondamento di ciò che si spera e
prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati
approvati da Dio” (Ebrei 11, 1-2). Da notare che Dante, seguendo la dottrina delle
Scritture vigente ai suoi tempi, attribuisce i concetti senza esitazione a San
Paolo (Paradiso XXIV, 58-63), laddove dal Canone post-tridentino in poi, tale
sicurezza è messa in discussione, sebbene tutti gli studiosi riconoscono che l’Epistola
agli Ebrei è nata in ambiente paolino ovvero scritta e conformata
sull’insegnamento dell’Apostolo delle genti.
[4] [Dante, Paradiso XXV,
67-69]. “La speranza è un’attesa sicura della beatitudine celeste, che la
Grazia divina e i meriti acquisiti in precedenza pongono in essere”.
[5] La Parrocchia San
Giacomo Apostolo è uno dei non frequenti casi in cui l’intera Comunità vive in
un unico contesto territoriale, con confini amministrativi e territorio di Cura
pastorale coincidenti completamente. Anzi, essa abbraccia anche fedeli di zone
viciniori gravanti storicamente su Calvizzano.