Un grato ricordo del parroco don Luigi Ferrillo: l’8 marzo 2022 avrebbe compiuto 80 anni

 


Grazie al certosino lavoro del professor Luigi Trinchillo, grande uomo di cultura, di fede e studioso di storia locale, il nostro archivio si arricchisce anche della biografia di don Luigi Ferrillo

Sono trascorsi quasi dieci anni dalla scomparsa del nostro Parroco Don Luigi Ferrillo ed avverto il  bisogno di ricordarlo attraverso queste poche pagine dettate dal cuore e prive di qualsiasi sentimento agiografico che non sia quello di una manifestazione di affetto filiale.

Conobbi Don Luigi quando arrivò nella nostra Comunità parrocchiale quale Vicario Coadiutore del Parroco Don Antonio Di Sabato, da tempo sofferente e bisognoso di un aiuto pastorale, non potendo più seguire personalmente le varie attività parrocchiali.

Don Luigi giunse l’11 settembre 1966 ed il suo incarico fu trasformato, il 7 maggio 1967, in quello di Vicario Economo. Scomparso il Parroco Di Sabato il 17 maggio 1967, il ruolo di Don Luigi divenne ancora più rilevante ed egli poté continuare tutte quelle iniziative che aveva avviato in Parrocchia, e non fu sforzo di poco conto.

Non sembra superfluo ricordare che il Concilio Ecumenico Vaticano II era stato chiuso da Sua Santità San Paolo VI appena nel dicembre 1965 e prendevano avvio, in quei mesi, le prime necessarie innovazioni, per rendere operative le decisioni assunte in quel sacro Consesso, destinato ad essere davvero rivoluzionario, per dare un volto nuovo alla Chiesa Cattolica, consentendole di avviarsi verso il Terzo Millennio con tutti gli strumenti operativi più opportuni per mettersi in consonanza con un’umanità che avvertiva nuove esigenze e spinte.

Le celebrazioni in lingua italiana di tutte le varie azioni liturgiche, il ruolo nuovo di dignità collaborativa fra il Clero e la società civile, la convinzione che i laici avrebbero sempre più dovuto assumere impegni operativi nella vita della Comunità dei fedeli, soprattutto in un Paese come Calvizzano di antica e documentata fedeltà e collaborazione con la Gerarchia, il rilancio delle organizzazioni religiose allora già presenti, in primis l’Azione Cattolica Italiana nei suoi vari bracci operativi, in particolare la G.I.A.C., videro Don Luigi impegnato, fin dal primo momento, in un enorme sforzo e in una sollecitudine solerte.

In ciò egli seppe mettere a frutto brillantemente l’esperienza maturata subito dopo l’Ordinazione Sacerdotale, quale Sacrista della Cattedrale e Cerimoniere Arcivescovile. È il caso di precisare che, al momento, guidava la Diocesi di Napoli il Cardinale Corrado Ursi, di riverita memoria, un interprete fedele e entusiasta delle direttive conciliari, al punto da essere fra i primi ad introdurre le innovazioni imposte dalla Sacrosanctum Concilium (sulla Sacra Liturgia), dalla Lumen Gentium (sull’azione pastorale della Chiesa) e dalla Gaudium et Spes (sull’azione della Chiesa nel mondo contemporaneo). Il XXX Sinodo della Chiesa Napoletana, poco più di una decina di anni dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, tra gli ultimi anni ’70 e gli inizi degli anni ’80, pianterà tante pietre miliari in tale azione pastorale presso la nostra Diocesi che gli effetti si avvertono e si protendono fino ai nostri giorni.

L’Ordinazione Sacerdotale di Don Luigi Ferrillo era avvenuta il 18 luglio 1965, quando egli  era giovanissimo, essendo nato l’8 marzo del 1942.

In quel periodo, chi scrive queste note gli fu accanto, “contagiato” dallo spirito di innovazione che pervadeva Don Luigi. Può così  raccogliere anche qualche ricordo sporadico della difficile esperienza esistenziale e delle prove familiari che aveva dovuto affrontare: aveva perduto il papà quando aveva da poco compiuto sette anni, nell’epoca il cui l’Italia era uscita da poco dal Secondo Conflitto Mondiale, con tutti i problemi che si può immaginare, talvolta di reali difficoltà economiche, senza nemmeno quei sussidi sociali che oggi siamo abituati a considerare insufficienti: figurarsi allora! Non gli era stato risparmiato il dolore di non essere stato visto dalla mamma celebrare la sua Prima Messa, essendo ella scomparsa un paio di anni prima dell’Ordinazione Sacerdotale.

L’esperienza maturata in Cattedrale rafforzò semplicemente quelle doti di attenzione per la liturgia, che non è semplice manifestazione esterna del rito, ma vita vera della Chiesa Cattolica nella quale il Depositum Fidei e la Tradizione vanno sempre valorizzati alla luce della Rivelazione. In ciò il Concilio Vaticano II seppe svolgere un ruolo-chiave nell’innovare senza tradire millenarie pratiche di celebrazione dei Riti. Ecco, allora, don Luigi attento nell’introduzione di canti significativi dei momenti specifici, durante le azioni liturgiche, con una scelta appropriata, così da divenire davvero parte integrante della preghiera comunitaria; ecco le omelie che si trasformavano abitualmente in reali catechesi rivolte ai fedeli, che talvolta partecipavano fino ad allora un po’ passivamente alla Santa Messa, quasi solo per rispondere al precetto festivo; ecco l’impegno a coinvolgere i laici nelle azioni comunitarie: soprattutto i giovani, a favore dei quali rilanciò la formazione religiosa di base, accanto alle nuove linee innovative conciliari, rilanciando l’organizzazione dell’associazionismo cattolico, considerato vero braccio operativo dell’azione pastorale. Chi, come lo scrivente, ha memoria di quell’epoca, ricorda le funzioni liturgiche molto partecipate dal popolo, nei tempi liturgici “forti”, come in occasione della Settimana Santa e della Pasqua, con un concorso di fedeli certamente più animato e nutrito del solito.

Tutto avrebbe fatto pensare che Don Luigi potesse divenire il successore diretto di Don Antonio Di Sabato, quando giunse la notizia che era stato invece nominato Parroco Don Anselmo Galdiero, che seppe farsi apprezzare nei tre anni circa in cui rimase a Calvizzano. Egli continuò le attività avviate da Don Luigi, conservando la struttura organizzativa impressa da lui ed integrandola, in particolare, con la costituzione del Consiglio Pastorale, nel quale coinvolse rappresentanti delle varie anime della Comunità, e non solo quella ecclesiale.

Don Luigi andò a ricoprire per qualche tempo l’incarico di Direttore Spirituale del Collegio E.N.A.O.L.I., a Napoli, assumendo di nuovo quello di Cerimoniere presso la Cattedrale e poi di Parroco dell’erigenda Parrocchia di Santa Maria delle Grazie a Marano, titolata in seguito come Parrocchia San Ludovico d’Angiò. Ne avviò tuttavia solo i lavori, perché rinunziò al titolo di Parroco nel settembre 1973. Divenne così Cappellano presso l’Istituto delle Suore Discepole di Gesù Eucaristico, Ordine fondato da Monsignor Delle Nocche e animato dalla nostra compaesana Suor Maria Machina. L’attività pastorale di Don Luigi proseguì poi presso l’antica Chiesa dello Spirito Santo a Marano, in qualità di Rettore.

L’insegnamento nelle Scuole secondarie di Secondo grado segnò un altro periodo dell’azione pastorale del Parroco Don Luigi, a Napoli e a Marano, Comune presso il quale egli risiedette per vari anni. Ritornò a Calvizzano, finalmente Parroco, alla scomparsa improvvisa di Don Peppino Cerullo (tutti lo chiamavamo sempre così, sembrandoci più familiare, rispetto a Don “Giuseppe”, e certo non per eccesso di confidenza nei suoi confronti).

L’attività pastorale di Don Luigi riprese secondo quel modello conciliare di cui si diceva all’inizio e proseguì per anni, infaticabile, finché godette di buona salute; poi dovette necessariamente essere adeguata ai nuovi ritmi imposti dal fisico. Quello che occorre segnalare degli anni da Parroco è la sua attenzione per la formazione di Sacerdoti novelli e la sua capacità di scoprire e indirizzare vocazioni, così da far diventare la Parrocchia San Giacomo di Calvizzano una vera fucina di formazione attiva di giovani sacerdoti, parecchi dei quali chiamati in seguito essi stessi a svolgere la Cura pastorale presso altre Parrocchie della nostra Diocesi[1]. Mi piace ricordare un episodio personale avvenuto durante una delle ultime visite fattegli a casa, quando le condizioni di salute di Don Luigi erano già abbastanza compromesse. Mi disse che ringraziava il Signore per avergli messo accanto come collaboratore Don Ciro Tufo, l’attuale Parroco, del quale egli fece l’elogio: mi disse che era un sacerdote pieno di iniziative, che sapeva conciliare le tradizioni religiose dei fedeli locali col rigore di una preparazione pastorale sicura e di una visione della Comunità rara in un giovane della sua età. Alla scomparsa di Don Luigi, il 31 luglio del 2012, ricordo che queste parole mi tornarono alla mente, quasi come un’ideale “investitura” a succedergli nella cura della Parrocchia.

Le riflessioni qui presenti nascono per il senso di sincero affetto che nutrivo nei suoi confronti e non intendo certo fare un’agiografia acritica, perché, senza dubbio, Don Luigi, come tutti, aveva anche delle asprezze di carattere, che qualcuno gli rimproverava. Quando abitualmente si afferma che qualcuno ha “carattere”, si finisce per intendere che abbia un carattere “difficile”. Ebbene, il Parroco Don Luigi aveva senza dubbio un’indole forte e decisa, soprattutto perché fondata su una solida cultura di base ed una capacità di ragionamento “matematico” e di una logica sempre stringente[2]. D’altra parte, a chiunque abbia delle responsabilità di organizzazione, direzione e guida di una Comunità, inevitabilmente viene “cucita” addosso una fama di severità, se, una volta stabilite ed accettate delle regole, le applica “erga omnes” e senza altre eccezioni, che non siano quelle dettate dal buonsenso e dall’opportunità di rispondere a situazioni ben precise. Eppure, nella vulgata generica e comune passa per una persona poco disponibile, se non addirittura poco sensibile,  quando non si piega ad acconsentire a richieste molto spesso immotivate o dettate da scelte individuali di comodo o stravaganti. Ecco allora il Parroco fatto oggetto di critiche ingiuste e di parte.    

Don Luigi riusciva a rendere gradevolmente accette le sue lezioni di Religione Cattolica, particolarmente nelle Scuole Superiori e ricordo vari ex-alunni, che venivano ancora ad incontrarlo in Sacrestia ed in ufficio, quando, con la nomina a Parroco di Calvizzano, dovette rinunziare all’insegnamento.

Probabilmente qualcuno dà “per scontato” che ogni Sacerdote faccia delle omelie ricche di spunti di riflessione e di interpretazione dei testi proposti dalla Liturgia della Parola: eppure occorre proprio dire, per tracciarne un ritratto fedele, che il Parroco Don Luigi riusciva ad essere chiaro ed esaustivo durante gli interventi omiletici, che consentivano ai più attenti di allontanarsi, dopo la celebrazione, effettivamente arricchiti di concetti biblici, teologici e dottrinali su cui riflettere anche nella vita personale di fedeli praticanti. Tutte le funzioni liturgiche, specialmente quelle officiate nei tempi forti, si caratterizzavano per l’attento rigore, in un contesto agile e ineccepibile per preparazione e svolgimento. Se dovessi sintetizzare in poche battute la sensazione che ricevevo da quelle occasioni, direi che rientravo a casa convinto di aver ascoltato un Ministro della Chiesa che avrebbe potuto far sua quella terzina dantesca in cui il Poeta confessa che la “Fede è sustanza di cose sperate / e argomento de le non parventi; / e questa sembra a me sua quiditate”.[3]

È evidente che, con questa affermazione, non intendo certo sminuire il valore degli interventi di altri Sacerdoti, bensì solo ribadire ed esaltare la cura che il Parroco Don Luigi metteva nella preparazione di ciascuna celebrazione. Ugualmente fondamentale è risultato sempre l’impegno profuso nella guida di Sacerdoti giovani che riuscirono a formarsi in tutte le azioni pastorali, che poi li avrebbero visti impegnati nella nostra come in altre realtà e Comunità Parrocchiali della Diocesi. Purtroppo, una fastidiosa malattia, che alla fine si rivelò fatale, sottrasse energia ed anni alla sua cura pastorale della nostra antica Parrocchia intitolata all’Apostolo San Giacomo Maggiore, strappandolo agli affetti di quanti gli volevano bene e lo stimavano. Mai venne meno la speranza, come per ogni buon cristiano, perché “Spene … è un attender certo / de la gloria futura, il qual produce / grazia divina e precedente merto[4].

La Provvidenza ha voluto che, a succedergli nell’incarico di Parroco del nostro Paese[5] sia stato proprio Don Ciro, che, come Don Luigi aveva quasi profeticamente intuito, ha continuato la sua azione pastorale, naturalmente integrandola grazie alle sue energie giovanili e all’amore per il popolo affidatogli, nel settembre di quello stesso 2012, che prosegue in questi anni, pur fra le mille difficoltà create particolarmente dalla pandemia, che ha costretto all’osservanza di stringenti misure di sicurezza e limitato alquanto l’attività pastorale in presenza.        

Luigi Trinchillo

 

Altre foto

 


 

 


 

Nel 2005, festeggiamenti 40.esimo anniversario di sacerdozio



Alla Diaz di Calvizzano: don Luigi è il quarto da sinistra



Ringraziamo Gianfranca Ferrillo, nipote di don Luigi, per avercele inviate



[1] Mi fa piacere ricordare qui una vicenda singolare, avvenuta quando il Parroco Don Luigi ebbe le prime difficoltà per motivi di salute. Nell’accogliere uno dei vari Confratelli in formazione, che si sono alternati e susseguiti negli anni presso la nostra Comunità, gli disse un’espressione che avrei poi scoperto ripresa dalla Seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi (2Cor 12, 10), che mi sembrò colma di affetto e fiducia nel Signore. Eccola: “Perciò mi compiaccio nelle mie debolezza, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte”. La circostanza che Don Luigi la ripetesse alla presentazione del Sacerdote davanti all’Assemblea, mi parve un atto di umiltà e di abbandono nelle mani di Dio, quasi confessione di uno stato di debolezza, che non rischiava di incrinare l’autorevolezza del ruolo che ricopriva presso il popolo. E, difatti, fu così sempre!

[2] Una cosa (chiaramente e decisamente minore!) che mi colpiva sempre in Don Luigi era la sua capacità di ricordare e citare opportunamente motti e proverbi esemplificativi di situazioni, anche occasionali o banali, con la semplicità e la freschezza che solo il vernacolo popolare napoletano riesce a trasmettere.   

[3] [Dante, Paradiso XXIV, 64 - 66]. “La fede è il fondamento di tutto ciò che noi speriamo / e la prova razionale per parlare delle cose che non vediamo; / e questa sembra a me che sia la sua vera essenza”. [Il termine “quiditate” (dal latino  “quid sit” / “quid est”), è caratteristico della corrente filosofica medioevale della Scolastica; così come il termine “argomento” è interpretato da molti commentatori di Dante, soprattutto di formazione tomistica, come “prova effettiva e reale”. In questa terzina dantesca, probabilmente, risultano essere le due voci  più complesse della citazione. La fede sta a certificare l’essenza, la peculiarità della virtù teologale che, secondo San Tommaso d’Aquino, esprime “fiducia”, “fedeltà”, “adesione incondizionata”. Il termine “argomento” è interpretato da molti commentatori di Dante, specialmente nell’ambito della Scolastica, come “premessa” e “garanzia”, quindi, come “prova”. In ogni caso, il riferimento alla Lettera agli Ebrei è evidente ed integrale: l’autore del testo biblico, infatti, scrive: “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio” (Ebrei 11, 1-2). Da notare che Dante, seguendo la dottrina delle Scritture vigente ai suoi tempi, attribuisce i concetti senza esitazione a San Paolo (Paradiso XXIV, 58-63), laddove dal Canone post-tridentino in poi, tale sicurezza è messa in discussione, sebbene tutti gli studiosi riconoscono che l’Epistola agli Ebrei è nata in ambiente paolino ovvero scritta e conformata sull’insegnamento dell’Apostolo delle genti.  

[4] [Dante, Paradiso XXV, 67-69]. “La speranza è un’attesa sicura della beatitudine celeste, che la Grazia divina e i meriti acquisiti in precedenza pongono in essere”.

[5] La Parrocchia San Giacomo Apostolo è uno dei non frequenti casi in cui l’intera Comunità vive in un unico contesto territoriale, con confini amministrativi e territorio di Cura pastorale coincidenti completamente. Anzi, essa abbraccia anche fedeli di zone viciniori gravanti storicamente su Calvizzano.  

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