La mia generazione è
vissuta con le emozioni del libro “Cuore” e del film “Marcellino pane e vino”.
Abbiamo così affinato
l'animo alla sensibilità. Almeno quelli tra noi che, lombrosianamente (quindi
per predisposizione positiva), avevano un'anima da rendere ancora più
sensibile, spirito che non aspettava altro cibo per nutrirsi che la bontà e la
pietas.
Contrariamente ai
buonisti per partito preso, non credo al recupero delle menti deviate, se non
in piccola parte e per pochi soggetti.
Tanti di questi
trovano sempre spunti per dare esaurienti saggi della loro cattiveria,
brutalità, bestialità.
Ritengo, quindi, che
noi siamo stati fortunati a conoscere quella commozione, quel turbamento
d’animo messo in moto dalla tenerezza e dal dolore vissuto al di fuori di noi,
ma in collegamento stretto con la nostra propensione a essere umani, nel senso
migliore: progredire fino al nostro ultimo respiro (finalità ultima del nostro
percorso di vita).
Vorrei entrare nelle
notti di chi ha tolto la vita a degli “innocenti”, magari perché doveva
recitare il ruolo del criminale, non essendo capace di fare altro.
Saranno di certo sogni
agitati dal veder riaffiorare, di tanto in tanto, i volti di quelle loro povere
vittime.
Una volta suggerii a
studiosi del sistema penitenziario di sistemare le foto, formato gigante, degli
assassinati sul soffitto delle celle degli assassini. In modo che non ci
dovessero essere momenti in cui dimenticare il male arrecato.
Mi dissero che la Costituzione
non lo prevedeva.
Accidenti a quella
Carta zeppa di appigli per farla franca nel migliore dei modi.
In questa vita.
Nell’ “Aldilà” forse
sarà considerata solo “Carta straccia”, che non risparmierà, dall’acuta
sofferenza eterna, chi non ha voluto conoscere il bene, o non ha potuto, perché
non dotato dalla nascita del seme proficuo dell’essere umano.
Stefano Rinaldi, giornalista