Questa
commedia in tre atti del più grande drammaturgo italiano del secolo scorso:
Eduardo De Filippo, si accompagna con la celebre domanda che diviene quasi un
intercalare: Te piace ‘o presebbio? Noi napoletani siamo affetti da un
handicap molto pesante nel valutare la vera essenza di questo immenso autore,
poeta, filosofo e intellettuale: egli parla la nostra stessa lingua: il
“napoletano” e questo determina in noi un falso processo di comprensione della
sua linea creativa. In realtà, Eduardo è un alieno. Egli parla solo in
apparenza una lingua conosciuta ma i suoi esoconcetti hanno una demarcazione
ben precisa: condanna totale del modello di sviluppo della società occidentale
basato sull’assetto cristiano-cattolico di famiglia. egli non crede affatto a
quel luogo di aggregazione solidale dove sopravvivenza e protezione per i più
deboli spesso non esiste: padri contro figli, (Il sindaco del rione sanità);
fratelli contro sorelle (Bene mio e core mio); e ancora: tratteggia una famiglia dispersa e annichilita
dalle brutture e dalla violenza della Storia (Napoli milionaria); nega la
funzione della famiglia come dispensatrice di bene unico e indispensabile che
non fallisce mai (Mia Famiglia; appunto aggiungerei umilmente io. L’unico modello di famiglia che regge agli
urti delle incomprensioni e che si ritrova, è paradossalmente quella di Filumena
Marturano. Esempio familiare scandaloso per l’epoca e inviso alla
Chiesa: convivenza con una ex prostituta e tre figli tra i quali solo uno
legittimo, fino a giungere al vero, grande capolavoro di Eduardo. Gli
esami non finiscono mai; dove il vero amore e il grande, affettuoso
trionfo del senso di appartenenza, il protagonista lo trova in un’amante molto
più giovane di lui!
Torniamo
a questa commedia. Nata come atto unico di quel filone cabarettistico del
celebre “Teatro dell’umorismo” dei fratelli De Filippo. Lentamente,
negli anni, questo “canovaccio” in continuo divenire, con l’apporto del
fratello Peppino, divenne la commedia chiave in grado di aprire una discussione franca sulle storture
della famiglia. Tutti i personaggi sono in guerra tra loro: il nipote contro lo
zio, la figlia contro la madre, il figlio contro il padre. Luca Cupiello, il
personaggio interpretato da Eduardo nella sua versione più celebre, quella del
1977, è un uomo mite, ingenuamente convinto che il mondo sia solo quello che
vede a un metro dal suo naso. Egli è un semplice, uno che non ha mai saputo
affrontare le sfide che la vita gli ha posto sulla sua strada. Ha preso il
posto del padre al lavoro, ha vissuto invecchiando “standosene alla finestra”
le tappe fondamentali della sua famiglia”. Non si accorge che il mondo
lentamente cambia e non è più quello ottocentesco dove al genitore si dava del
“voi”. I suoi figli, sono il prodotto tipico di un’educazione esclusivamente affidata
alla moglie Concetta. Donna dalla mentalità inerte, arida di aperture
comunicative, tipica dei tempi: costringe la giovane figlia a sposare il “buon
partito”, condannandola a una vita infelice perché non ama il consorte. Soffoca
il figlio Tommasino (Nennillo) di attenzioni, premure e protezione francamente
sconce e grottesche per uno che, negli anni del Fascismo, alla soglia della
maggiore età, dovrebbe essere sposato e invece aspetta a letto la “zuppa di
latte” che prepara sua madre. Luca ignora le tensioni, le liti, i disaccordi e
la miseria morale che coinvolge i suoi familiari anche se non tutto gli è
celato. Ognuno dei personaggi è in lotta con un altro Ha un fratello in casa. In
guerra continua con il nipote. Scorbutico, inacidito dalla solitudine, egli è
un “corpo estraneo” nella famiglia acquisita dei Cupiello, infatti, nei modelli
caratteristici di famiglia in alcuni contesti sociali, dopo che si è lasciata
la famiglia di origine, si tende a considerare i parenti di sangue meno
attinenti alla stessa. Luca Cupiello, è un eterno, sfortunato arbitro tra gli
scontri duri tra zio e nipote. Tommasino lo deruba sistematicamente e zio
Pasqualino arriverebbe a manometterlo pur di ottenere quel rispetto che non
esiste per lui. Tuttavia Luca s’immerge nella costruzione del presepe per
l’imminente Natale, questa è la chiara dimostrazione che egli è fuori dal
circuito degli “adulti” disincantati della sua famiglia, mentre intorno a lui
infuriano i problemi, i confronti, i tradimenti, le lacerazioni, egli fa il
presepe. Il presepe è il vero quadro oggettivo di famiglia ideale. I pastori
del presepe hanno il prezioso potere di non tradire mai i membri della famiglia
perché se ne stanno lì, immobili, inanimati sul presepe a fare scena. Egli
ignora i meccanismi e i moventi alla base di ogni contrasto e si limita a
sentenziare che “tra madre e figlia è un altro linguaggio”, arrendendosi
all’evidenza e rinunciando a contare qualcosa. Ninuccia ha un amante che capita
a casa Cupiello la sera della vigilia di Natale provocando una catastrofe. Responsabile
del disastro è proprio un inconsapevole Luca, proprio perché egli è all’oscuro di
tutto. La sua debole personalità e un impianto morale pressoché immacolato, lo riportano
con violenza alla realtà. Cedono di schianto le sue forze minandogli la salute
e si avvierà presto alla morte. Stordito e confuso da un ictus, scambia ancora una
volta l’amante della figlia per il marito. Se ne compiace, è convinto che tutto
si è aggiustato. Questa è un’altra potente metafora dei vari “Luca Cupiello”
sparsi per il mondo che vedono una realtà addomesticata dalle loro puerili
aspettative: un mondo incantato fatto di idilli e rispetto per la dignità
umana. Il figlio, che colpevolmente gli
ha sempre negato la soddisfazione di un suo apprezzamento per presepe, lo
accontenta quando ormai è troppo tardi rispondendo che questa volta, a
differenza di tutte le precedenti, il “presepe gli piace”. Ma Luca Cupiello se
ne va, schiantato da un male che si chiama “famiglia” che solo nelle formule
giuridiche dello Stato e nei pronunciamenti religiosi esiste come nucleo
amorevole e fertile di vita, la sua, come quella di altri milioni di “Cupiello”
e pervasa da ipocrisia, inganni, rivalità, scontri. Egli se ne muore e Ninuccia
si accascia sul letto di morte del padre, separata dal marito, divisa dall’amante,
Nennillo è solo, deve crescere e la zuppa dovrà andare a guadagnarsela. La
moglie è una vedova che non dirige più le sorti dei suoi figli. Il fratello può
solo constatare che lui, pur senza una famiglia propria, non è più solo del
moribondo, lasciato solo nel suo mondo incantato. Eduardo a differenza del suo
mentore e nume tutelare: Luigi Pirandello, affida le sorti dell’individuo ai
meccanismi politico-sociali ed economici. Con Eduardo sono le scelte o le non
scelte di un soggetto che lo condannano all’incomunicabilità con il mondo degli
affetti. Diversamente dal grande Nobel siciliano che descriveva la vita come un
insieme caotico (teoria del caos) di combinazioni, appunto: il caso.
Ci
sarà modo di testimoniare ancora l’avversione che Eduardo ha non per la famiglia
in sé ma per i mali che questa subisce inevitabilmente se alla base non c’è
rispetto, comprensione, solidarietà, tolleranza, tutte cose che ancora oggi,
nelle migliori famiglie, latitano se non in modo teatrale e grottesco la sera
di Natale.
Enzo
Salatiello