Marano, “il curato di campagna (giocatore incallito) e il suo cardinale”: le storie che lo scrittore Barleri inviava in esclusiva al periodico “L’attesa”

 


E’ un fatto veramente accaduto a un sacerdote. Sembra quasi una novella di Guy De Maupassant, di Lèon Bloy o di Victro Hugo.

 Il sacerdote maranese Don Lorenzo Biondi, confessore a San Castrese e padre spirituale della Congrega del SS Sacramento, battezzato il 29 luglio 1820 e nominato sacerdote la notte di Natale del 1843, abitava col nipote in una delle sue proprietà lungo la strada allora chiamata Pergola (proprietà che, in seguito, grazie a ristrutturazioni e donazioni, sarebbe passata ai Padri Bianchi). Più che essere conosciuto come bravo prete,  era noto come giocatore incallito di quel bigliardo che faceva bella mostra di sé, fino a non molto tempo fa nella Sala Riservata al piano terra del palazzo Merolla in Piazza Plebiscito. Quando, da casa sua in via Pergola, Don Lorenzo si recava in parrocchia per andare a confessare, non poteva fare a meno di andare a fare visita in quel bigliardo.
Solo una partitina di pochi minuti”, diceva.  Ma spesso vi restava l’intera giornata e non di rado anche di notte. Il cardinale di Napoli, a quel tempo, era Sisto Riario Sforza, uomo probo e fervente religioso. Questi, non appena seppe di quel pretino giocatore incallito, non trovò pace e tentò ogni strada per invitarlo a cambiar vita. Ma tutto sembrava inutile. Finché una mattina d’estate…
…Faceva caldo più del solito, e Don Lorenzo Biondi era già alle prese con stecche, palle, filotto e bigliardo. Con una variante. Quella volta si era tolto anche l’abito talare e, in maniche di camicia, stava lì a dare il solito poco edificante spettacolo di sé. All’improvviso, entrò in sala un ragazzino per avvertirlo che fuori, in carrozza, c’era un tale che desiderava parlargli. Spazientito, con la stecca tra le mani e con la camicia mezza sbottonata, Lorenzo si affacciò a vedere chi lo stava importunando. Era nientedimeno il cardinale in persona!
Reverendo – gli disse il cardinale – se avrete la compiacenza di ricomporvi, avrei da chiedervi una grande cortesia”.
L’imbarazzo di Biondi si ricompose in un attimo e, come un fulmine, si infilò nella carrozza.
Quello che devo chiedervi – aggiunse strada facendo il cardinale – ve lo esporrò giunti in arcivescovado e non prima di esserci rifocillati e riposati dal viaggio”.
Dopo pranzo, lo Sforza chiese nuovamente al Biondi di pazientare almeno fino all’indomani.
La mattina seguente, di buon’ora, il cardinale, prostratosi ai piedi di Don Lorenzo, gli chiese, finalmente, se avesse voluto essere tanto cortese da confessarlo dei suoi peccati, uno dei quali lo tormentava in particolar modo. Ed era quello del poco zelo mostrato nel salvare l’anima di una sua pecorella maranese, occupata più nel gioco che nel ministero ecclesiastico. Don Lorenzo intuì immediatamente a chi alludeva e lo assolse tra le lacrime.
Subito dopo il cardinale abbracciandolo, disse: “Adesso, dopo che io vi ho svelato qual è l’angoscia che mi tormenta, perché non fate anche voi altrettanto con me?”
La risposta non si fece attendere. In un attimo, Lorenzo era in ginocchio davanti al cardinale a promettergli di non entrare mai più nella Sala Riservata.
E mantenne la promessa per tutto il resto della sua vita. (morì il 7 gennaio 1895).     
   

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