La comunicazione socio-culturale e l'informazione che non fa notizia

                                        


Esistono meccanismi che stabiliscono la gerarchia delle notizie e dei temi da trattare, ma anche di come trattarli: con quali linguaggi, da quali angolature, con quali approfondimenti.
Spesso assistiamo a una marginalizzazione delle notizie sociali, come scrisse qualche anno fa il presidente dell’ordine dei giornalisti Ottavio Lucarelli sulla rivista “Comunicare il Sociale”, che sono relegate alle brevi di cronaca o agli spazi d’opinione: questo perché nel corso della giornata tipo di un quotidiano si verifica una sorta di trasformazione in itinere delle notizie, per cui quelle sociali (ma, a nostro avviso, anche quelle culturali, quelle del mondo della scuola, del teatro, eccetera) vengono inevitabilmente sopraffatte da altre - cronaca nera, giudiziaria, politica – e finiscono nelle opinioni, che pure non hanno uno spazio residuale.
Oppure accade che i giornali tendano a raccontare solo il tratto psicopatologico della realtà sociale, per cui un fatto sociale diventa notizia solo quando ha in sé un fatto sensazionalistico.
Tuttavia è importante che anche gli stessi “addetti ai lavori” – continua Lucarelli – coloro che hanno responsabilità di scegliere cosa va in pagina e cosa no, ricordino che l’informazione sociale non riguarda uno sparuto gruppo di persone o solo soggetti socialmente svantaggiati, ma tocca, il più delle volte, temi che interessano tutti: le famiglie, le madri sole, le donne vittime di violenze, i senza lavoro, le persone straniere e quelle disabili, gli anziani, i giovani. Ognuno di loro ha il diritto di sapere se può godere dei servizi, se c’è qualche ente che si interessa ai suoi problemi o, in alcuni casi, se può avere semplicemente un’altra opportunità.
Informarli non è impossibile ed è anzi un dovere per tutti i giornalisti parlare di loro e cercare di attirare l’attenzione di tutti i lettori su temi che esulino dalla cronaca spicciola.       

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