Si avvicina l’11 febbraio la festa del Santo patrono di Marano: la leggenda di San Castrese (parte prima)

 


I maranesi conoscevano molto bene Castrese a causa degli scambi commerciali che c'erano tra Marano e Sessa, così alla morte di Castrese i maranesi chiesero alla città di Sessa Aurunca una reliquia del vescovo e gli fu concesso il braccio. Questo è ancora conservato all'interno della statua di san Castrese, mentre la sua tomba non fu mai ritrovata (fonte Wikipedia)

Il Culto per San Castrese e la leggenda del Santo (dal libro del giornalista e  scrittore Enzo Savanelli sulla storia e le tradizioni di Marano)

Reliquia del santo
Il protettore di Marano è San Castrese. Il suo culto è anteriore al 942, data in cui, per la prima volta, un documento pervenutoci cita la chiesa di S. Castrese facendo, ovviamente, già supporre una devozione nei suoi riguardi. Per secoli si festeggiava nella prima domenica dopo Pentecoste. A partire dal 1933 il cardinale Ascalesi e Mimmì dopo, allorché provvidero a una riforma del culto da tributare ai santi venerati nele parrocchie della diocesi, stabilirono che si dovesse spostare al giorno della morte che capita l’11 febbraio.

Per pura coincidenza noto, però, che già il Comune di Marano nel 1927 aveva elargito una sovvenzione per tale festa avvenuta quell’anno nel mese di febbraio e non dopo Pentecoste come per gli anni precedenti. Evidentemente per non accavallare la festività in onore di San Castrese con quella della Madonna di Vallesana che si celebra il lunedì in Albis ed il martedì dopo Pasqua, Marano si era già avviata autonomamente sulla via della riforma.

La leggenda del Santo

La leggenda del santo ce la racconta egregiamente il dottor Domenico Mallardo (San Castrese Vescovo e martire, Napoli 1957).

Al tempo delle persecuzioni Vandaliche c’è un ordine dato a tutti i cristiani di entrare nella milizia. Essi si rifiutano Si tenta di convincerli.

Poiché non si riesce, la persecuzione si allarga e si fa più aspra. Poi si cambia tattica. Si finge di volersi legare in calda amicizia con i religiosi affinché i più semplici possano abboccare all’amo e piegarsi. A quarto anno i persecutori passano alla guerra aperta contro tutti; contro quelli che avevano cercato di adescare e contro i semplici. E allora da ciascuna provincia si fanno trascinare, incatenati, alcuni vescovi tra i quali Castrese.

 

Vengono gettati in carcere in attesa che si stabilisca cosa farsene. Rinchiusi nella prigione, appare loro un angelo e preannuncia che saranno buttati in mare, ma che giungeranno in luoghi che essi evangelizzeranno. Esultanti, i santi attendono il compimento della loro sorte. S. Castrese si riveste della sua stola. Uno dei carcerieri lo prende e lo trascina, ma gli si inaridiscono le braccia e solo per intercessione del santo ne recupera l’uso. Ciò non impedisce che un tale Aristodemo proponga che si prenda una vecchia nave , sfasciata e senza vele, putrefatta dallo sterco degli uccelli, e vi si buttino dentro, a schiere, i cristiani.

Poi, con enfasi schernitrice si invitano anche i Vescovi a montarvi su. Castrese, vessillifero, avrà il comando di poppa. A prua Tammaro. Ma perché non si vuole che la vecchia nave affondi lì, presso il lido, la turba innumerevole di fedeli viene prima condotta in alto mare da una gran moltitudine di navi, e poi viene spinta sulla vecchia nave sdrucita che portava il carico dei 12 Vescovi africani. Ed ecco il prodigio: la nave che i persecutori attendevano di vedere colare a picco, fila diritta e sicura sulle onde, e giunge ai lidi della Campania. Qui ciascuno, sotto la guida dell’angelo, si reca nel luogo a lui assegnato da Cristo. San Castrese si reca a Sessa, ove pur acclamato dal popolo, si stabilisce in una piccola dimora fuori le mura della città.

Intanto quel tale che aveva fatto la proposta di gettare a mare i vescovi su una nave destinata ad affondare, divenuto per castigo rattrappito e gobbo, mentre la moglie Beatrice è duramente tormentata da malattia emorroidale, viene a cercare Castrese sul litorale Campano ed è da questi guarito assieme alla moglie lontana. Comincia qui una serie di miracoli del santo. Le bestie che avevano condotto il neomiracolato presso S. Castrese, mangiando un mucchio di fieno del Santo muoiono. S. Castrese le fa resuscitare. In seguito il demonio invade un poveretto nel paese abitato dal santo e l’ossesso invoca al santo il suo aiuto e questi gli ordina di uscire dall’ossesso e di andare nel profondo dell’abisso. Il demonio obbedisce, ma incontra una nave carica di mercanzie e cerca di sommergerla. Spaventati, i naviganti domandano soccorso a Dio ed ecco apparire loro S. Castrese che impone al demonio di andare negli abissi dell’inferno. Così la nave è salva. Infine il Santo, sapendosi prossimo a morire, raccoglie i fratelli, annuncia la sua prossima fine, li esorta alla speranza del premio eterno, e rivela che di lì a tre giorni entrerà nel gaudio perenne. Spuntato il terzo giorno, celebra i divini misteri ed all’improvviso lo irraggia una luce così fulgida che a stento riescono a discernere la sua persona. Poi la luce si dilegua e, al cospetto di tutti, terminata la Santa Messa, San Castrese si adagia nel suo sepolcro e rende l’anima a Dio. Morì l’11 febbraio.  

Continua…    

Foto di Angelo Marra, artista maranese e maestro della fotografia     

Visualizzazioni della settimana