Si avvicina l’11 febbraio la festa del Santo patrono di Marano: la leggenda di San Castrese (parte prima)
I maranesi
conoscevano molto bene Castrese a causa degli scambi commerciali che c'erano
tra Marano e Sessa, così alla morte di Castrese i maranesi chiesero alla città
di Sessa Aurunca una reliquia del vescovo e gli fu concesso il braccio. Questo
è ancora conservato all'interno della statua di san Castrese, mentre la sua
tomba non fu mai ritrovata (fonte Wikipedia)
Il Culto per San Castrese e la leggenda
del Santo (dal libro del giornalista e scrittore Enzo Savanelli sulla storia e le
tradizioni di Marano)
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Reliquia del santo |
Per pura coincidenza noto, però, che già il Comune di
Marano nel 1927 aveva elargito una sovvenzione per tale festa avvenuta quell’anno
nel mese di febbraio e non dopo Pentecoste come per gli anni precedenti.
Evidentemente per non accavallare la festività in onore di San Castrese con
quella della Madonna di Vallesana che si celebra il lunedì in Albis ed il
martedì dopo Pasqua, Marano si era già avviata autonomamente sulla via della
riforma.
La leggenda del Santo
La leggenda del santo ce la racconta egregiamente il
dottor Domenico Mallardo (San Castrese Vescovo e martire, Napoli 1957).
Al tempo delle persecuzioni Vandaliche c’è un ordine
dato a tutti i cristiani di entrare nella milizia. Essi si rifiutano Si tenta
di convincerli.
Poiché non si riesce, la persecuzione si allarga e si
fa più aspra. Poi si cambia tattica. Si finge di volersi legare in calda
amicizia con i religiosi affinché i più semplici possano abboccare all’amo e
piegarsi. A quarto anno i persecutori passano alla guerra aperta contro tutti;
contro quelli che avevano cercato di adescare e contro i semplici. E allora da
ciascuna provincia si fanno trascinare, incatenati, alcuni vescovi tra i quali
Castrese.
Vengono gettati in carcere in attesa che si stabilisca
cosa farsene. Rinchiusi nella prigione, appare loro un angelo e preannuncia che
saranno buttati in mare, ma che giungeranno in luoghi che essi
evangelizzeranno. Esultanti, i santi attendono il compimento della loro sorte.
S. Castrese si riveste della sua stola. Uno dei carcerieri lo prende e lo
trascina, ma gli si inaridiscono le braccia e solo per intercessione del santo
ne recupera l’uso. Ciò non impedisce che un tale Aristodemo proponga che si
prenda una vecchia nave , sfasciata e senza vele, putrefatta dallo sterco degli
uccelli, e vi si buttino dentro, a schiere, i cristiani.
Poi, con enfasi schernitrice si invitano anche i
Vescovi a montarvi su. Castrese, vessillifero, avrà il comando di poppa. A prua
Tammaro. Ma perché non si vuole che la vecchia nave affondi lì, presso il lido,
la turba innumerevole di fedeli viene prima condotta in alto mare da una gran
moltitudine di navi, e poi viene spinta sulla vecchia nave sdrucita che portava
il carico dei 12 Vescovi africani. Ed ecco il prodigio: la nave che i
persecutori attendevano di vedere colare a picco, fila diritta e sicura sulle
onde, e giunge ai lidi della Campania. Qui ciascuno, sotto la guida dell’angelo,
si reca nel luogo a lui assegnato da Cristo. San Castrese si reca a Sessa, ove
pur acclamato dal popolo, si stabilisce in una piccola dimora fuori le mura
della città.
Intanto quel tale che aveva fatto la proposta di
gettare a mare i vescovi su una nave destinata ad affondare, divenuto per
castigo rattrappito e gobbo, mentre la moglie Beatrice è duramente tormentata
da malattia emorroidale, viene a cercare Castrese sul litorale Campano ed è da
questi guarito assieme alla moglie lontana. Comincia qui una serie di miracoli
del santo. Le bestie che avevano condotto il neomiracolato presso S. Castrese,
mangiando un mucchio di fieno del Santo muoiono. S. Castrese le fa resuscitare.
In seguito il demonio invade un poveretto nel paese abitato dal santo e l’ossesso
invoca al santo il suo aiuto e questi gli ordina di uscire dall’ossesso e di
andare nel profondo dell’abisso. Il demonio obbedisce, ma incontra una nave
carica di mercanzie e cerca di sommergerla. Spaventati, i naviganti domandano
soccorso a Dio ed ecco apparire loro S. Castrese che impone al demonio di
andare negli abissi dell’inferno. Così la nave è salva. Infine il Santo,
sapendosi prossimo a morire, raccoglie i fratelli, annuncia la sua prossima
fine, li esorta alla speranza del premio eterno, e rivela che di lì a tre giorni
entrerà nel gaudio perenne. Spuntato il terzo giorno, celebra i divini misteri
ed all’improvviso lo irraggia una luce così fulgida che a stento riescono a
discernere la sua persona. Poi la luce si dilegua e, al cospetto di tutti,
terminata la Santa Messa, San Castrese si adagia nel suo sepolcro e rende l’anima
a Dio. Morì l’11 febbraio.
Continua…
Foto di Angelo Marra, artista maranese e
maestro della fotografia