Brevi racconti di guerra, Gennaro GB Ricciardiello: “dalle memorie dei miei genitori”. Secondo episodio: suo padre prigioniero in Russia, sua madre sotto i bombardamenti di Cancello Arnone

 


Tradizione vuole che uno dei protagonisti del menù delle grandi festività sia la carne d’agnello o di capretto, eppure nella nostra famiglia sono sempre stati i grandi assenti. Da bambino non ne potevo capire il motivo, soffrivo una sorta di emarginazione nel vedere le macellerie “addobbate” con i tanti baby ovini appesi a testa in giù o quando nostri conoscenti decantavano la loro amicizia con pastori dell’avellinese o del Matese a cui avevano direttamente ordinato l’agnello.
Mio padre ne era nauseato anche dal solo odore ma non mi bastava questa motivazione perché tante volte capita che a qualcuno in famiglia non piaccia qualcosa, ma non per questo è giusto che tutta la famiglia vi rinunci. Con gli anni capii che quella forma di rispetto ad oltranza per i gusti di mio padre, che tra l’altro era tutt’altro che uno schizzinoso a tavola, non era dovuta ad una forma di sottomissione maschilista da parte di mia madre, ma all’origine recondita che le circostanza avevano  “sacralizzato”. Mio padre era nauseato dall’odore della carne di agnello o capretto per un motivo ben preciso risalente alla sua prigionia in Unione Sovietica.

Erano passati ormai già dieci interminabili mesi da quando il ragazzo italiano era prigioniero dell’Armata Rossa e si accingeva a vivere le vicissitudini che lo avrebbero portato ad odiare la carne ovina.
Nello stesso momento, nella fattoria di Nocelleto, piena linea difensiva “Victor” della Wermacht , erano le 9 del mattino, ma la bambina era già all’opera da diverse ore. La fattoria, come tutte le mattine, riecheggiava di muggiti, grugniti, starnazzamenti, belati e chicchirichì… gli animali reclamavano le loro attenzioni mattutine e per questo la bambina era al pozzo per provvedere all’acqua. Aveva già versato il primo secchio appena tirato su appoggiandolo sul muretto del pozzo e si apprestava a buttare giù il secondo. Nel giro di pochi secondi, i versi degli animali prima scemarono, poi si zittirono del tutto. Pur non capendo, la bambina fu attraversata da un sentimento di angoscia per quel silenzio improvviso, sensazione che si andò ad aggravare quando l’acqua nel secchio cominciò a tremolare, dopo l’acqua anche il muretto e dopo anche il terreno sotto ai suoi piedi. In lontananza un rombare cupo cominciò a dare forma a quelle vibrazioni.

Il ragazzo italiano, intanto, era dedito ad uno dei suoi reati di sopravvivenza a testimonianza di quell’assunto perfino giuridico, che la legge è cosa ben diversa dalla giustizia. Già, perché mio padre durante la sua prigionia fu evasore seriale, bugiardo e ladro, comportamenti deprecabili e condannabili in tempi normali, ma da onorare per il coraggio e la determinazione in quei tempi che di “normale” non avevano assolutamente niente.
Nelle sue “evasioni” dal Gulag, causa fame, era solito rovistare nei barili nei pressi delle Isbe (case rurali di legno) dei villaggi adiacenti il campo di concentramento. L’aspetto della “promiscuità” tra civili russi e  prigionieri di guerra meriterà un approfondimento ulteriore, visto che nell’immaginario collettivo è facile il configurarsi tutt’altra situazione, ma ne riparleremo.
Quei barili erano le dispense per attraversare il lungo inverno russo, dei frigoriferi a cielo aperto in cui i contadini conservavano le loro riserve alimentari. Chiaramente niente di che, ma vista estrema urgenza dello stomaco del ragazzo, potevano rappresentare un patrimonio. La maggior parte di essi erano pieni verdure sminuzzate come verza, cetrioli ecc., ma ricoperti da una salamoia che insieme alla naturale fermentazione delle verdure,  le rendeva incommestibili anche per chi era a digiuno da giorni.
Ma valeva sempre la pena provare, infatti in uno di essi, il ragazzo trovò qualcosa di diverso: Il barile era colmo di piselli secchi che, per preservarne ancora meglio la conservazione, erano stati invischiati nel grasso di pecora. Il ragazzo non vedeva o sentiva il profumo di qualcosa minimamente imparentato con la carne da tempo immemorabile, quindi si ingozzò a piene mani.

La bambina continuava ad osservare attonita l’acqua nel secchio che da uno stato di tremolio, ora sembrava ribollire mentre il rombare si faceva sempre più vicino diventando man mano assordante, la luce del sole diminuì notevolmente e quell’ombra si andava allargando sul suolo come se qualcuno stesse stendendo un tetro lenzuolo a coprire la fattoria. D’istinto alzò i suoi occhi al cielo.

Facile immaginare la reazione dell’organismo del ragazzo italiano dopo che ebbe ingurgitato l’enorme quantità di alimenti a crudo che potremmo definire eufemisticamente  “poco digeribili”.
Per avere un’idea abbastanza approssimativa dell’inimmaginabile, si può fare riferimento alla sensazione testimoniatami da mio padre: “Non ho mai visto la morte così da vicino in vita mia”… che detto da lui acquisisce  un significato molto particolare.
La dissenteria si protrasse per giorni insieme ai dolori lancinanti all’addome.
Lui non lo sapeva, ma stava pagando un ulteriore sovrapprezzo che gli permise di sopravvivere a quell’inferno, infatti, causa la sua “innaturale” patologia, fu ricoverato in una reale infermeria… non i “lazarjet” a cui facevano riferimento le guardie quando prelevavano coloro che crollavano durante le marce sulla neve (vedi racconto precedente). Chi amministrava il gulag ritenne fosse prudente accertarsi sulla strano fenomeno per non incorrere in una eventuale epidemia che se da un lato  avrebbe alleggerito in modo auspicabile il campo dall’enorme mole di prigionieri, dall’altro non avrebbe fatto distinzione fra russi e non. L’infermeria non era niente di particolare, ma almeno un posto in cui la temperatura era costantemente sopra lo zero ed il trattamento riservato poteva somigliare ad un accudimento, se aggiungiamo che nella sua convalescenza gli fu assegnato il ruolo di inserviente alle cucine… fu come mettere un topo nel deposito del parmigiano, vabbè… non era proprio parmigiano ma qualche patata sbollentata da estrarre dalle brodaglie e le tagliole che dovette evitare furono tante, ma alla fine, per assurdo il grasso di pecora gli permise di trascorrere un paio di mesi di relativa tranquillità per potersi rimettere, circostanza che molto probabilmente gli salvò la vita e che gli diede quella necessaria energia per affrontare i mesi a venire.

La bambina incredula e alzò la testa, il rumore era cupo e assordante, le voci delle persone e persino la sua erano impercettibili benchè gridate, coperte da quel roboare assurdo. La luce del giorno sulla fattoria era oscurato dal passaggio di oltre cento bombardieri del Bomber Command. Lei non lo sapeva cosa fossero e di chi, ancora oggi il suo ricordo è falsato nella percezione, infatti mia madre è convinta che si trattasse di una domenica mattina, particolare legato ad un riferimento ben preciso che poi vedremo, ma grazie alla ricostruzione storica, abbiamo scoperto che era un giovedì mattina ed il Bomber Command era ritenuto “L’esercito dell’apocalisse”.
L’enorme stormo in ordinata formazione di bombardieri passò lento sulla fattoria, perdurando per alcuni interminabili minuti, ma proseguì il suo volo.
I contadini nella fattoria non avevano mai visto qualcosa di simile, la reazione delle persone in situazioni anomale, è assolutamente imprevedibile. Per istinto e senza mettersi d’accordo, tutti, compreso la bambini, corsero verso il punto più alto della fattoria per seguire visivamente il volo di quello stormo d’acciaio, salirono velocemente le scalette della torre silos e poi in cima ad essa dove c’era (e c’è) la piccionaia. Da lì seguirono quell’insolito “spettacolo”, il rombo ed il tremolio andava diminuendo con l’allontanarsi degli aerei all’orizzonte, ma il suolo ricominciò a tremare quando tutti videro cadere al di sotto dello stormo, una strana pioggia di “olive nere”, qualcuno di più anziano nella piccionaia, pur non avendo mai visto niente del genere, affermò con decisione “Sono Bombe!”.

Il ragazzo in infermeria continuava a dedicarsi ai suoi traffici pro sopravvivenza, nel trattamento giornaliero era prevista la distribuzione di due sigarette a persona, alcuni (fra cui mio padre) barattavano le sigarette con mezza razione di pane giornaliera, se eri fortunato ti poteva anche capitare di barattare con una razione intera di pane. Ma chi erano quei pazzi che rinunciavano al pane? Qui bisogna precisare che la “Armir”, il complessivo corpo di spedizione italiano nella Campagna di Russia, era parte integrante della famosa “Operazione Barbarossa” a guida tedesca ma assemblata con svariate nazionalità di militari accorpati al Terzo Reich.
Secondo il racconto di mio padre, coloro che più frequentemente barattavano il loro pane con le sigarette, erano i prigionieri tedeschi, di solito i più depressi e rassegnati e che preferivano lasciarsi andare fumando le ultime sigarette. Anche in questo caso, eventuali moralismi li lasciamo ai moralisti.
Tra i sensi da dover acuire per poter sopravvivere, c’era lo spirito di osservazione, per questo il ragazzo centellinava dilazionando nel tempo i morsi sul pane, il suo stomaco era stato devastato e ne aveva visti morire tanti dopo aver ingoiato avidamente il pane barattato con attacchi di dissenteria, ne dedusse che quegli stomaci disabituati alla digestione, andavano trattati con delicatezza. Spesso capitava che chi aveva ricevuto il pane dal baratto, morisse mentre l’altro stava fumando la sua sigaretta.

Ma cosa videro la mia madre bambina e gli altri dalla piccionaia? A loro il giorno dopo arrivò la notizia del bombardamento di Cancello Arnone, un paesino poco distante da Nocelleto (paese di mia madre), lei ha falsato il suo ricordo ed è convinta che fosse una domenica mattina perché lo associa al fatto vero che al momento del bombardamento, la chiesa fosse gremita di fedeli. Ma non era di domenica, era un giovedì, un giovedì ben preciso, era il 9 settembre del 1943!
La tragedia, la beffa, la farsa, il grottesco…. La guerra non fa a meno di niente.
La sera precedente, a Cancello Arnone come in tutta l’Italia, si era diffusa la notizia della firma dell’armistizio, ci furono festa, abbracci e lacrime di elicità fra le persone, molti sfollati già in nottata cominciarono a tornare a casa.
Il mattino seguente d’istinto la popolazione si recò in chiesa per pregare e ringraziare il Signore perché “la guerra era finita”. La chiesa si riempì all’inverosimile e molti fedeli seguivano la funzione dai gradini non trovando posto all’interno, all’improvviso dalla casa del fascio si sente il sibilo dell’allarme aereo, ci volle qualche attimo in più per metabolizzare quello che stava accadendo, nessuno se lo aspettava in quella mattinata lì! Il sibilo della sirena fu presto coperto dal rombo degli aerei. Solo una parte di chi era già per strada riuscì a raggiungere le case anti schegge, ma quando due bombe caddero colpendo il luogo di culto, la chiesa era pressoché  gremita. 
L’obbiettivo dichiarato del bombardamento fu il ponte sul fiume Volturno che attraversa il paese, ma insieme a lui crollò la chiesa e praticamente il cento per cento dell’abitato, Cancello Arnone fu letteralmente raso al suolo. 104 le vittime ufficiali oltre a centinaia di feriti fra cui (ovviamente) donne, bambini e anziani.
Lo stesso stormo quel giorno proseguì il volo bombardando Capua e Sarno facendo pressoché  lo stesso numero di vittime in ognuno degli obbiettivi. Quantificare in “pressoché” un numero di vite umane è assurdo, ma si sta raccontando l’assurdità e per questo il termine è passato inosservato, non vi sentite in colpa.
Lo stormo era formato da oltre cento bombardieri B-17 del Bomber Command, quella parte dell’aviazione britannica, poi coadiuvata da quella alleata, formata da oltre mille bombardieri, che ad un certo punto della guerra fu prettamente dedicata alla nuova specialità della casa, i “Bombardamenti a tappeto”.
In quello stesso giorno, in quelle stesse ore, un altro stormo composto da 240 (duecentoquaranta) B-25 e B-26, bombardò Potenza, Avellino, Auletta, Scanzano Ionico, Eboli, Battipaglia, Formia e Gaeta.
Quel tragico giorno riservò altri episodi che ne completarono il grottesco significato de “il giorno dopo l’armistizio”, ma ne parleremo in un racconto a parte in settimana.
Nel frattempo allego l’elenco dei bombardamenti su suolo italiano limitati al dopo 8 settembre 1943, cioè da quando molti credettero che la guerra fosse finita. Rimarrete…. Sorpresi.

 

Gennaro GB Ricciardiello





 


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