Spunti di riflessione. Oggi vi riproponiamo la storia di un personaggio cosmopolita ante litteram apprezzato in tutti i paesi che frequentava: Eugenio cu’ ‘e lente, il cantastorie della scomparsa Piedimonte Alifana
Se lo ricorderanno sicuramente tanti cittadini di Mugnano, Marano,
Calvizzano, Villaricca, Giugliano… che prendevano il treno per raggiungere
Napoli e molti comuni casertani. Gli anni trascorrevano e la fisarmonica, come
un'amante inseparabile, accompagnava il suo vagabondare, assieme alla bombetta,
agli occhiali senza lenti e al piccolo megafono. La sua vita fu
tutto un girovagare senza mete e pregiudizi: vita affascinante e ammirevole,
fatta di interminabili camminate, di paese in paese...
Ricordare l'umanità che frequentava ogni giorno le corse dei treni
della ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife, nonché gli altri mezzi di
trasporto dell'epoca, è sempre motivo di nostalgia, perché è stata quella una
ricchezza andata perduta per sempre...
Tanti aneddoti potremmo scrivere, di numerosi episodi accaduti tra gli
scompartimenti dei convogli della Piedimonte, nel corso dei suoi
oltre sessant'anni di esercizio: come di storie di amicizie, di amori, di
tradimenti, di litigi, ma anche di personaggi curiosi, che sovente si
incontravano a bordo dei treni. Tra questi anche tanti venditori ambulanti e,
naturalmente, di musicisti e cantanti, che si improvvisavano mattatori, per
poter sbarcare il cosiddetto lunario.
Tra i posteggiatori, oggi diremo "artisti di strada", è doveroso
rievocare colui che è unanimamente considerato l'ultimo cantastorie del nostro
territorio, degno erede di quella che fu la "Commedia dell'arte
italiana", parliamo di Eugenio Pragliola, meglio conosciuto con i suoi due
pseudonimi d'arte: "Eugenio cu' 'e lente"... e "Eugenio
Cucciariello".
Eugenio, nacque in Brasile, a Rio de Janeiro, nell'anno 1907, da genitori
giuglianesi, emigranti in quella nazione in cerca di fortuna. Il padre era un
onesto falegname e la madre era casalinga.
Forse il contatto con i fanciulli brasiliani e la cultura carioca,
contribuirono non poco a fare accrescere nel bimbo giuglianese, già vivace di natura,
l'indole della costante allegria, della musica e del canto.
Nel 1915 la famiglia Pragliola, già diventata numerosa di prole, fece
ritorno a Giugliano, perché il genitore, Gennaro, fu richiamato alle armi,
proprio con lo scoppio della prima Guerra Mondiale.
A tredici anni, partecipando alla festa patronale a Sant'Antimo, Eugenio,
rimase folgorato dall'esibizione di un anziano, che accompagnandosi abilmente
con la sua chitarra, improvvisava versi burleschi e ammiccanti, e alla fine
notò come venisse premiato dal pubblico, con numerose monete raccolte nel suo
piattino. Decise subito che quella doveva essere la sua ambiziosa meta,
l'obiettivo delle sue aspirazioni di vita e anche di sopravvivenza... E,
infatti, non tardò a realizzarsi, perché a diciott'anni, con i suoi risparmi,
riuscì a comprare una fisarmonica, che doveva essere come il
"baricentro" della sua nuova vocazione artistica. Doveva poi creare
la maschera e un nome d'arte... ma occorsero altri anni, e pure questo
traguardo fu raggiunto...
Una bombetta ottocentesca costituiva il suo copricapo, degli occhiali
vistosi e senza lenti, erano la sua maschera, e poi un vestito sgualcito e
rattoppato, l'abito. Nacque quella maschera che sarà l'emblema di più
generazioni, lo spassatempo di tanti viaggiatori, che in oltre
mezzo secolo hanno potuto godere e apprezzare le esibizioni con le sue
memorabili filastrocche, cunti, gliommeri e falsetti: erano nato
"Eugenio cu 'e lente".
Fu soprannominato anche con "Eugenio Cucciariello", per
via del nomignolo di gioventù che era stato coniato dai ragazzi giuglianesi,
unitamente agli altri fratelli. Tutto nacque dal fratello maggiore che faceva
di professione il fotografo. Nel suo negozio esponeva foto con primi piani di
teste di persone, e gli scugnizzi, quando si fermavano ad ammirare le vetrine,
esclamavano, dicendo "che belle coccie", ovvero che belle
teste. "Coccia", in vernacolo antico, si riferisce alla testa,
da qui per trasposizione gutturale e semantica, divenne il nomignolo di "Cucciariello".
Dopo alcuni decenni, la sua voce, un tempo squillante, finì per diventare
roca, ma egli riuscì abilmente a rimediare al deficit fonico, aiutandosi un
piccolo megafono portatile: apparecchio diremmo avveniristico, considerando
l'epoca... Furono questi gli emblemi della sua maschera, fino a quando l'età e
soprattutto il fisico glielo permisero, nella sua lunga e avventurosa
esistenza.
Nei primi anni '30, iniziò il suo girovagare per i quartieri di Napoli.
La prima biografia di Eugenio ricorda che l'esordio avvenne in una bettola
del quartiere di San Giovanniello, ovvero nei dintorni di Piazza
Carlo III. Era quello un luogo frequentato da cocchieri, specialmente
appartenenti all'impresa funebre "Bellomunno". Roso dalla atavica
fame e dal freddo, improvvisò nella mischia di quel chiassosa comitiva, la
recita di "Chisti guagliune 'e San Giuvanniello": una
composizione in rima lunga e baciata. Fu il suo primo successo. Fu compensato
con un discreto quantitativo di denaro, che portò a casa come un
trionfatore...! Ci mancava da tre giorni!
Dopo il successo di San Giovanniello, Eugenio, incoraggiato dal
iniziale successo, decise di allargare il raggio di azione delle sue
esibizioni, che dovevano restare popolari e svolte nei luoghi di frequentazioni
all'aperto o sui mezzi di trasporto. Iniziò a girovagare per diversi paesi e
città. Era un continuo susseguirsi di esibizioni, dal mattino fino alla sera
inoltrata. Usciva di buon mattino da casa, con la sua inseparabile fisarmonica,
e senza meta e senza tempo, girovagava, offrendo il frutto delle sue creazioni,
spesso improvvisate, fino ai confini dei paesi dell'hinterland della metropoli.
Fu il tram provinciale, che prendeva al capolinea di Giugliano, il primo
bacino della sua utenza, per finire per concentrarsi nel largo del capolinea di
Piazza Porta Capuana e poi, a seguire, gli altri mezzi di trasporti
provinciali, tram, autobus, ferrovie, tra cui, ovviamente, la nostra
Ferrovia Piedimonte.
Arrivarono anche richieste per cerimonie familiari, come sponsali,
battesimi, serenate di dichiarazione e promesse di matrimonio. Un po' alla
volta il suo personaggio cominciò a diventare popolare e conosciuto, sia dal
popolo di bassa estrazione, che da quello cosiddetto "alto locato".
Fu un personaggio molto noto, tanto che in città erano in tanti a conoscere il
suo motto distico: "Sta arrivanne 'o signore cu 'e lente, 'mmece 'e 'na
lira, me dà una 'e trenta...!"
Gli anni passavano e la sua professione di mattatore ambulante riusciva a
fornirgli quel minimo di sussistenza, sufficiente per portare avanti la sua
famiglia e a sbarcare il cosiddetto lunario. Infatti prese moglie nel 1935, e
la famiglia iniziò a ingrandirsi velocemente... Nacquero dal matrimonio ben
tredici figli, ma solo otto sopravvissero... Non navigò mai nell'oro, anzi...!
Patì duramente le ristrettezze della seconda Guerra Mondiale, quando fu
chiamato alle armi, tra le file della Fanteria; dovette suo malgrado
abbandonare la numerosa famiglia nelle mani della povera moglie.
Poi la guerra finì, ma restarono le sue distruzioni e la la misera e la
fame che ne seguirono, per un gran lasso di tempo...
Riusciva a vivere con il ricavato dei sui spettacoli ed esibizioni, di quel
denaro che il pubblico metteva nel suo cappello, a volte anche copiosamente,
come per ringraziarlo per il momento di spensieratezza e di divertimento
ricevuti. Il suo pubblico di ogni giorno si componeva di lavoratori, di
studenti e di casalinghe, che dai vari paesi dell’entroterra napoletano si
recavano nella metropoli, per le loro attività o compere, utilizzando le
ferrovie, i tram, gli autobus provinciali e cittadini.
Non si riteneva un suonatore ambulante, ma un artista che “asceva p’ ‘a
campata”. Non studiò mai solfeggio musicale, ma fu un autentico
autodidatta; a chi gli chiedeva come riuscisse a saper suonare la fisarmonica,
sorridendo, rispondeva, “io non la suono, la straviso”...
Al capolinea di Napoli delle tramvie provinciali, vicino a Porta Capuana,
divenne "'O bollettino dei prezzi", ovvero l'annunciatore
dei prezzi che i negozianti della zona praticavano per la vendita dei loro
prodotti; un po' come faceva, nei secoli trascorsi, la figura storica del
"pazzariello" nei vicoli di Napoli. Ovviamente lo spettacolo
prevedeva l'alternanza di storielle e aneddoti, rimati e musicati.
Ma lo spettacolo più esilarante avveniva sui mezzi di viaggio, quando
approfittando di curiosità e personaggi che si scorgevano dai finestrini delle
vetture, alla vista dei passeggeri, improvvisava battute e strofette rimate,
piccanti ed esilaranti. Le sue composizioni in versi non erano astratte; erano
sì improvvisate, ma studiate ai luoghi e alle circostanze, infatti non era mai
inopportuno e con una semplice e rapida osservazione, riusciva a selezionare il
tipo di esibizione che più si addiceva al momento, per poter cogliere con
certezza l'approvazione di gran parte del pubblico.
Sia beneditto stu tramme 'e Giugliano,
quanno 'o signore nun è stritto 'e mano,
ma si nun sente e se mena 'ncampana,
faccio acqua 'a pippa stasera e dimane,
si, mmece site carnale e alla mano,
ve trovo 'o posto, v'acconcio 'o divano,
e gghiate commete fino 'a Giugliano.
Cacciata 'a pezza, si no nun ce apparammo,
nun ce ne jammo,
se nghiomma stu tram...!
Gli anni trascorrevano e la fisarmonica, come un'amante inseparabile,
accompagnava il suo vagabondare, assieme alla bombetta, agli occhiali senza
lenti e al piccolo megafono. La sua vita fu tutto un girovagare senza
mete e pregiudizi: vita affascinante e ammirevole, fatta di interminabili
camminate, di paese in paese...
Anche se era illetterato, era dotato di un'intelligenza ed un acume fuori
dal comune, riusciva a memorizzare nomi di personaggi famosi, nomi di città e
di nazioni e saperli utilizzare abilmente in filastrocche e stornelli, che
sapevano tanto di satira politica e sociale, raccontando in modo sarcastico,
curiosità, costumi, vizi, virtù e abitudini della società del tempo.
Alla stessa stregua dei giullari di un tempo, si divertiva nelle sue
improvvisazioni a ridicolizzare termini della lingua colta, intercalando a
versi e a termini della lingua italiana, frasi in dialetto popolare... In tal
moto faceva satira sulla cultura ufficiale e accademica, ergendosi a paladino
del dialetto e dimostrando l'efficacia del mezzo espressivo, ovvero di quanto
fosse errato relegare il dialetto a forme secondarie di comunicazione.
Il contenuto delle sue esibizioni umoristiche, miste a satira sociale, non
scevri dell'uso di termini poco ortodossi e anche scurrili, riuscivano però a
trasmettere contenuti di filosofia di vita, conditi dell'arma di una pungente
ironia, che spesso si concludevano, come una lezione di vita finale.
Nel dopoguerra fece coppia fissa con un altro cantastorie, di nomeGiovanni
'o buffo, anch'egli originario di Giugliano, che gli farà da spalla per
quasi quindici anni. Nella coppia, Eugenio cantava e suonava storielle, come di
solito faceva, mentre Giovanni era il comico che si esibiva in "macchiette
napoletane". Ovviamente nella coppia artistica, Eugenio brillava di luce
propria...
Conobbe e frequentò l'amicizia di molti grandi artisti, come E.A. Mario
(Giovanni Ermete Gaeta), Antonio de Curtis, Nino Taranto, Raffaele Viviani, i
fratelli De Filippo, e tanti altri, fino ad arrivare al musicologo e
compositore Roberto De Simone.
Fu da alcuni di questi, come Raffaele Viviani, lungamente
"corteggiato" e invitato più volte a solcare le tavole del
palcoscenico o a recitare in comparse nei loro film cinematografici ma, vuoi la
sua vocazione a vagabondare e ad esibirsi all'aperto e vuoi anche alla sorte,
non sempre benigna nei confronti del nostro artista, non fu possibile che ciò
si avverasse. Fu uno dei pochi artisti che riuscirono a far ridere il grande
Totò e per questo fu molto apprezzato e stimato dal comico.
Scriveva il redattore del Mattino, Pietro Treccagnoli, in un articolo
sull'edizione del giornale, del 1983, dedicato a Eugenio Pragliola: "...è
il poeta dell'oralità e dell'improvvisazione della macchietta, della parola che
"ci azzecca", e della botta e risposta". Altro articolo sul
Mattino, di Clodomirio Tarsia, così recitava: "(Eugenio) puo'
essere considerato l'erede dei cantori-girovaghi della plebe di cui ci hanno
tramandato notizie frammentarie e nebulose il Del Tufo, il Basile, lo
Sgruttendio e altri poeti del '500".
Gli storici Rossi e D'Errico così definirono il nostro menestrello
giuglianese: "...l'ultimo epigono degli improvvisatori vagabondi di
quella Campania che conobbe i fliaci e gli autokabdali greci, gli
improvvisatori dei fescennini e le maschere dell'Atellana, e poi i comici
dell'arte; di quella campana Napoli che ha visto generazione di umile gente
improvvisante dinanzi a una sporta di pesce, sopra una fetta di melone, dietro
un piatto di cozze."
Eugenio Pragliola, oltre a macchiettista, giullare e posteggiatore, è stato
anche poeta e compositore di canzoni.
Non provvide mai a registrare le sue composizioni, che sono state
interpretate e diffuse negli anni da vari interpreti, spesso mancando di citare
il loro autore.
Fu sempre amato e stimato dai suoi concittadini, e quest'affetto di
simpatia fu ampiamente dimostrato dal popolo di Giugliano, quando con una
colletta pubblica, i giuglianesi riuscirono a restituirgli la cara fisarmonica,
miserevolmente rubata da alcuni nomadi nel circondario di Giugliano.
A lui sono attribuiti i versi di Trapanarella e quelli
della parte finale della celebre Tammurriata nera, opere che furono
i "cavalli di battaglia" della Nuova Compagnia di Canto popolare.
Come pure, a lui sono attribuiti i versi della bella fiaba in musica: 'A
nuvella.
Per quanto riguarda il rapporto di "Eugenio cu 'e lente",
con il quartiere di Piscinola e con gli altri centri del circondario a Nord di
Napoli, sappiamo che egli, oltre a esibirsi durante sponsali e cerimonie
familiari, fu chiamato ripetutamente dal comitato dei festeggiamenti del SS.
Salvatore a condurre la vendita all'asta ('a venneta),
che si svolgeva il lunedì della festa, prima dell'esibizione dei fuochi
pirotecnici. Egli alternava l'annuncio di lotti di prodotti offerti all'asta,
con i suoi cunti e filastrocche.
Ricordo una declamazione che mi è stata raccontata pochi mesi fa: in una
vendita all'asta della festa, annunciò l'arrivo di una "zuppiera di
gnocchi al ragù", offerti al comitato da mia nonna materna, Maria; così
egli declamò: "Tengo stu ruoto 'e gnocche, che vene da 'o furno d''a
masseria 'e Vascio Miano, 'nce 'o manna Mariuccia 'a Rossa, 'a mugliera 'e
Salvatore 'e Marotta...." ! Ovviamente fu venduto ad un prezzo
alto...
Nelle sue esibizioni, Cucciariello usava poi cantare qualche
canzone allegra, dopo di che, immancabile, arrivava il "momento
cruciale" della richiesta:
"Signure e signurine, ledi e milòrde,
aggiate pacienza, cacciate ‘nu sòrde,
pe chi nun tene na lira ‘e spiccio:
c'hanna ascì ‘e bbolle ‘ncopp''o sasiccio!"
Eugenio Pragliola morì poverissimo, nella sua modesta abitazione di
Giugliano, accudito dall'affetto dei suoi familiari ed amici, nel giugno
dell'anno 1989.
Consegniamo oggi alla storia della Piedimonte e del
quartiere di Piscinola, nonché dell'intero territorio dell'Area Nord di Napoli,
la maschera e il poeta, che ha allietato con le sue esilaranti esibizioni tante
generazioni passate, perché i giovani, che non l'hanno conosciuto, possano
coltivarne la memoria, sperando nella nascita futura di altri artisti, degni
continuatori di quella nobile e antichissima arte popolare: del "Mattatore
di strada".
La biografia e le opere di Eugenio Pragliola sono state tratte dal bel
libro di Domenico Maisto: "Eugenio Cuccianiello, vita e versi di un
vagabondo", Giugliano ed. 1989, a cui si rimanda l'approfondimento e
la lettura, al lettore interessato.
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la composizione di questo post, concorrono alla libera diffusione della
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Fonte Piscinola Blog di Salvatore Fioretto