Era il 23 dicembre del 1985, io, un mio cugino L. e gli amici, P., G. e R.
(le iniziali sono autentiche, però lascio a loro la libertà e la possibilità di
confermare questa cosa, o restare nell’anonimato, voglio fare appello a uno di
loro, P. che legge assiduamente il tuo bel blog di chiedergli di confermare
tutto se vuole. Dicevo, andammo a passare una serata tra i negozi di Napoli,
era Natale e la grande capitale era bellissima e affollatissima. Sul fare delle
21,00, avendo fame, comprammo un panettone che finì sbranato tra le nostre
fauci come una povera gazzella tra leoni. Poco dopo, riprendemmo la macchina
parcheggiata davanti al teatro San Carlo, una “Alfetta 2000” turbodiesel. E
andammo verso la riviera per immetterci attraverso Fuorigrotta, sulla tangenziale
per poi dirigerci sulla Strada Statale che portava verso Qualiano. A mio cugino
venne la bella idea di uscire a Monteruscello, allora come oggi il paese era
piuttosto monotono e fuorviante a causa di un assetto urbano omogeneo e
ripetitivo. Ci perdemmo lungo una strada larga e illuminata, mio cugino fece
retromarcia in una stradina secondaria per poi riprendere la strada in senso
contrario: andammo troppo indietro, e ci ritrovammo immersi in un fitto banco
di nebbia, da quelle parti fino a Quarto e Pianura è normale. Ritornammo sulla
strada e ci accorgemmo di averla persa, non eravamo più sulla strada di prima!
Gli amici protestarono: “Enzo finiscila di distrarre L. che ci perdiamo!”. Io
non davo peso a loro, ma mi concentravo sulla strada. La radio in macchina fino
a quel momento mandava musica italiana, avevamo staccato la cassetta, “il
nastro” come si chiamava all’epoca. Stufi di ascoltare da quattro ore i
“SUPERTRAMP”. Ma la radio da quel momento si disturbò e non ricavammo più
nemmeno le notizie del traffico, niente! La radio ammutolì. Vagammo per
parecchio, più di un’ora: erano ormai passate le 22,00. Gli amici tentavano con
l’ingegno e la pazienza di trovare una soluzione, macchè! Persi in una campagna
che sembrava la “Foresta nera” franco-tedesca! P. era il più volitivo e assiduo
suggeritore di soluzioni, è sempre stato un vulcano attivo, conoscendolo dalle
elementari, sapevo che si stava più intrigando che preoccupando. Gli altri,
fumavano, ridevano e parlavano tra loro. A un certo punto dissi a mio cugino:
“Fermati! C’è uno lì che può aiutarci.”
Abbassai il finestrino, il vecchio era nella nebbia fino alla vita, nessuno
di noi ricorda che era vestito in modo consueto, forse una lunga camicia o
giaccone bianco. Era fermo su un viottolo stretto che iniziava con due pilastri
in pietra di tufo tipici delle masserie che si trovano in Campania. Dietro, un
lungo prato accarezzato appena dalla nebbia, “’O zì, buonasera. Ce simmo persi,
ce dicite pè Qualiano! Addò avimma piglià ‘a strada?”, dissi dalla macchina. Il
vecchio non rispose. Mi girai in macchina e guardai P. “Ma mi ha capito o no?”
P. non mi rispose. “Venimmo a Napule, arò stamme ccà? Ce sentite?”. Mio cugino
fece per andare, ma lo bloccai, il vecchio disse: “Guagliù, ‘e strade so
assaje! Primma cà pigliate a vostra, ce vo tiempo ancora.” Nessuno di noi capì
quella frase sconclusionata. Mi rigirai verso l’abitacolo dell’auto e dissi
agli altri: “È pazzo.” Da dietro sentii: “Si, ‘a capa ‘e chisto nun è bbona.
Jammuncenne!” Era G. mi rigirai verso il vecchio e non c’era più! Era vecchio
sul serio, non poteva aver corso o fatto un balzo per nascondersi, tutti ci
guardammo attoniti. Cercammo con lo sguardo senza scendere dalla macchina.
Stemmo ancora qualche minuto lì a guardarci e a quel punto l’inquietudine ci
prese. Mio cugino cominciò a vagare senza logica. Intorno scorgevamo qualche
casa ma mai illuminazione o segno di qualcuna. La radio era muta. Intento, non
ricordo come, ero passato indietro e davanti c’era G. eravamo tutti frastornati
tanto che G. sporse il braccio fuori dal finestrino e con un fazzolettino cercò
di pulire il parabrezza umido. “Ma che fai? Ci sono i tergicristalli!”.
Ridemmo, ma l’inquietudine e anche un po’ di paura ormai ci aveva preso. Dopo
una decina di minuti ritrovammo la strada larga e illuminata. La radio
ricominciò. Rivedemmo case con luci fuori, cani che abbaiavano e così uno di
noi guardò l’orologio, ci sembrò che il tempo fosse rallentato, a tutti noi
venne di pensare questa cosa, in effetti, erano le 22,30. Avevamo vagato per
quasi due ore. Dopo, a uno di noi, dovemmo accompagnarlo fin sulla porta.
Qualche giorno dopo, io e mio cugino tornammo sul posto: del viottolo con i due
pilastri, niente. Chiedemmo a qualcuno in qualche masseria. Niente. Nessuno ci
seppe delucidare. Sostammo sulla soglia del PARANORMALE? Fummo sul confine tra
la dimensione spaziotemporale propria della Meccanica newtoniana? Avevamo
sconfinato verso il mondo della Percezione extrasensoriale. Del resto, la
realtà che codifichiamo è solo una proiezione della mente per adattarsi al
mondo “costruito e non quello rivelato”. Ma, per fortuna, la nostra casa è
un’altra. Non era ancora giunto il momento di prendere la “Strada?”. “Guagliù,
‘e strade so assaje! Primma cà pigliate a vostra, ce vo tiempo ancora”. Quelle
parole, mi risuonarono in testa tutta la notte e succede ancora. Scusate la
lunghezza, ma dovevo essere preciso.
Enzo Salatiello