“Ma chi di noi si sottoporrebbe ad un vaccino che potrebbe rivelarsi un
cavallo di Troia, oltretutto di dubbia efficacia? L’immunologia, invece,
presuppone una visione olistica della malattia e che, proprio nella sua
complessità di sistema, potrebbe aprire più opportunità”
Dal Dott. Pietro Gagliardi (abita a Marano ma è molto
conosciuto nei Comuni del comprensorio giuglianese e dell'agro aversano),
otorinolaringoiatra, dirigente medico presso l’Ospedale San Giuseppe Moscati di
Aversa, riceviamo e pubblichiamo
“C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che
entra la luce.” Anthem (Leonard
Cohen)
Tema
di conversazione attuale: «Hai udito di quel farmaco? In Australia funziona. E
di quell’altro in Giappone? Meglio ancora. E i test in Francia? Straordinari».
Cosi sopravviviamo nell’attesa compulsiva e angosciante
per la pastiglia o l’iniezione che metterà ko il virus. Ma, tra le speranze di
noi tutti e il prodotto finale, c’è di mezzo una lunga catena di
sperimentazioni: l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), assieme all’agenzia
europea del farmaco, sta valutando circa 30 farmaci e 35 vaccini, e la lista di
molecole e sostanze continua ad allungarsi. Si naviga a vista. E quello che
vale oggi domani è in forse. Tuttavia non possiamo non evidenziare che le
malattie infettive nel mondo occidentale son quasi del tutto scomparse con lo
sviluppo degli antibiotici, però, a tutto questo grande sforzo, è rimasto fuori
il virus. Ma, a guardare bene, c’è sempre una crepa che lascia entrare una luce,
laddove la speranza sembra perdere di significato.
Le leggi della scienza non distinguono tra
passato e futuro.
(Stephen Hawking)
Già
Ippocrate affermava che, per
curare un individuo ammalato, bisogna provocare in lui, attraverso precise e
specifiche sostanze, una malattia simile a quella che egli sta vivendo. La
svolta importante inizia però nella seconda metà dell’ottocento quando prima
con Pasteur da una parte e Koch dall’altra iniziarono ad occuparsi di malattie
infettive. Nel 1890, Emil Von Berhing e
Shibasaburo Kitasato, dimostrarono per la prima volta che il sangue (in
particolare il siero) di animali vaccinati contro il tetano, era in grado di
conferire resistenza se trasferito in animali non immuni e contagiati dal
batterio responsabile del tetano e che quindi non si ammalavano. II sangue
doveva quindi contenere sostanze capaci di combattere l’infezione
neutralizzando le tossine batteriche, pertanto tali sostanze vennero definite “antitossine”. Per la prima volta si ebbe la
dimostrazione che il sangue poteva contenere sostanze protettive nei confronti
delle infezioni, anche se non era ancora
chiaro che queste “antitossine” erano in realtà anticorpi. Sull’onda di questa esperienza, nei
decenni seguenti, la pratica si consolidò e il plasma umano ed animale venne
somministrato sia per prevenire, sia per curare molte altre malattie infettive
come il morbillo, la poliomielite, l’epatite. Con tale metodologia si approntò un sistema terapeutico detto di “
immunità passiva”.
“Il male che guarisce il
male fa da medicina”. Publilio Siro.
L'immunizzazione passiva è somministrata, ancora
oggi, a soggetti a rischio di botulismo, tetano, difterite, epatite, morbillo e
rabbia, etc. Gli anticorpi possono essere utilizzati per una
immunizzazione di massa. L'immunizzazione è immediata, ma con efficacia breve
nel tempo, in quanto, per vie naturali, gli anticorpi vengono eliminati e non
vi sono cellule B che li riproducono e quindi il loro effetto scompare.
Ragione, osservazione ed esperienza: la
Santissima Trinità della Scienza. (Robert Green Ingersoll)
Perché Anthony
Fauci dice che potrebbero volerci 18 mesi per produrre un vaccino sicuro e
perfettamente funzionante? Perché la sicurezza, prima ancora della validità,
dev’essere dimostrata al di là di ogni dubbio. Ma chi di
noi si sottoporrebbe ad un vaccino che potrebbe rivelarsi un cavallo di Troia,
oltretutto di dubbia efficacia? Allora perché puntare tutto sul vaccino con
la prospettiva reale che potrebbe non realizzarsi e che se anche fosse possibile
produrlo potrebbe non funzionare in tutti i continenti e in tutta la
popolazione allo stesso modo, per le milioni di mutazioni che nel frattempo il
virus avrebbe accumulato oltretutto quasi certamente depotenziandolo nella sua virulenza.
Per quale motivo le grandi holding
farmaceutiche mondiali non puntano le proprie
risorse scientifiche e biotecnologiche sulla realizzazione di globuline
iperimmuni?
Potrebbe rilevarsi
un ottima soluzione per gestire un’emergenza di non poco conto prima che sia
pronto un vaccino idoneo, estraendo e purificando gli anticorpi
direttamente dal plasma di pazienti che hanno sviluppato l’immunità. Si
potrebbe somministrare la ormai consolidata immunizzazione passiva a tutta la popolazione.
Ma quali
potrebbero essere gli effetti in positivo a breve termine se questa metodologia
fosse approfondita ed eventualmente applicata in pieno periodo pandemico da
covid 19? Molteplici:
v Innanzitutto,
sicuramente quello di recuperare tempo sul trattamento specifico della
patologia.
v Offrire protezione a breve termine o ridurre
la gravità della malattia; memoria
immunologica a breve termine.
v Aiutare le persone
che hanno un problema ereditario riguardante il funzionamento degli anticorpi o
coloro che stanno facendo un trattamento per alcuni tipi di tumore (come la
leucemia).
v Una netta riduzione della letalità del virus.
v Diminuire la capacità del sistema immunitario
di reagire contro tessuti e organi dell'ospite.
v La sicura
scomparsa della pandemia nel breve periodo per immunizzazione di massa.
“Curate l’anima se volete curare il corpo”. Platone
In
conclusione chiediamoci perché c’è tanta
confusione nel mondo scientifico: perché ci sono tante terapie per il covid-19
e nessuna ha una sua accertata validità. All’inizio della pandemia,
ricordiamoci, si guardava solo l’aspetto emergente della malattia, il sintomo
polmonite. Poi si è visto che l’infezione nella sua evoluzione clinico- patogenetica era più complessa, coinvolgeva più organi. In
quest’era tecnologica, abbiamo dimenticato che proprio l’immunologia presuppone
una visione olistica della malattia e che proprio nella sua complessità di
sistema potrebbe aprire più opportunità non necessariamente legate allo
sviluppo di un vaccino. In una visione postmoderna di una medicina d’organo super
specialistica, per cui chi cura il rene non cura il polmone e cosi via, abbiamo
dato spazio alla malattia, più che al malato, al sintomo dimenticando la persona.
Dott. Pietro
Gagliardi