Don Peppino Cerullo, uno dei parroci di Calvizzano più amati del recente passato: un filiale omaggio ad un Pastore credibile



Prof. Luigi Trinchillo, coordinatore Equipe Ricerca parrocchia San Giacomo, al quale abbiamo chiesto una relazione sull’amato prelato: “era giusto offrire un quadro a tutto tondo di un personaggio che il popolo di Calvizzano sicuramente ancora ricorda con simpatia e con affetto” 

“Di profonda spiritualità, di buona cultura teologica e classica e di consistente pastorale, atta all’oggi, non disgiunta dal dato consegnato, racchiusa nel celebre “vetera novis augere et perficere”[1]. Sua Eccellenza Ciriaco Scanzillo, nell’omelia, præsente cadavere, domenica 6 febbraio, nella Chiesa gremitissima di popolo orante, con 50 sacerdoti concelebranti, ha adattato al defunto Parroco il testo biblico “Zelus domus comedit me”[2]: zelo non solo per la Chiesa-Tempio, ha detto S.E., ma molto più per la Chiesa-Comunità di salvezza e Comunione fraterna”[3].
Le parole di Monsignore Pasquale Orlando “fotografano” egregiamente la figura di uno dei nostri Parroci più amati del recente passato, Don Giuseppe Cerullo, da tutti conosciuto con il più confidenziale “Don Peppino”[4].
Dei defunti, soprattutto se ricordati dopo oltre un quarto di secolo dalla scomparsa, abitualmente si parla bene, trascurando anche qualche piccola loro umana debolezza: di Don Peppino, non credo possa esserci chi, fra i calvizzanesi, possa non rammentarsene con simpatia e con affetto sincero.
Questo accade non solo perché il Parroco si mostrava sempre pronto e disponibile ad intervenire, in qualsiasi evenienza, dando il massimo delle sue forze, ma anche per il modo di proporsi e di fornire l’intervento, mai altezzoso, rendendo esplicita la sua funzione richiamata nel titolo di ‘colui che somministra (la Parola e il Pane Eucaristico)’[5].
La sua azione pastorale si concentrò in particolare nell’applicazione di tutte quelle norme che, negli anni che seguirono immediatamente la conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, si imposero per rendere operative le deliberazioni di quel Sacro Consesso: dalla sistemazione dignitosa, seppur provvisoria, dell’altare basilicale nella Chiesa Parrocchiale di Santa Maria delle Grazie, agli interventi per una diffusione capillare della lettura e dello studio delle Sacre Scritture in lingua corrente, con corsi dedicati e l’adesione a tutte le iniziative che, a livello diocesano e/o decanale, venivano avviate. Ricordo di aver partecipato ad una serie di incontri con un missionario dei Padri Bianchi, che allora disponevano di una Casa a Marano, posta all’incrocio fra Via Baracca e il piazzale antistante l’antica Chiesa dello Spirito Santo. Padre Pino, questo era il nome del religioso, settimanalmente, portava avanti una lettura esegetica e commentata della Bibbia, dai primi rudimenti fino ai testi e agli episodi richiamati nella liturgia della Parola, che, in quella fase post-conciliare, era raccomandata all’attenzione di tutta la Chiesa. Occorre rammentare che, fino alla Sacrosanctum Concilium del 4 dicembre 1963, i testi sacri erano conosciuti poco, soprattutto a causa della tradizionale abitudine di presentarli in lingua latina, per l’idea che, in tale lingua, se ne assicurasse e conservasse meglio la trasmissione ecumenica cattolica. Quando Padre Pino, il cui carisma e la cui aspirazione erano quelli di recarsi in Africa, poté realizzare tale suo progetto vocazionale, il Parroco volle che si continuasse l’esperienza, facendo intervenire un altro confratello, Padre Giuseppe, dell’Ordine dei Frati Minori Francescani Rinnovati, che vivevano ed operavano nell’area di Via Scampia, in vagoni ferroviari dismessi, ricevuti in dono dalle Ferrovie dello Stato. Come si può dedurre, entrambe le voci erano di testimoni e non di semplici “professori” o esperti, per una oculata scelta di Don Peppino, memore dell’indicazione di Papa Giovanni XXIII e poi di Paolo VI, che il mondo contemporaneo ha bisogno di testimoni, e non di esperti o di maestri.   
La celebrazione dei Sacramenti cominciò a distinguersi, con il Parroco Don Peppino, per il costante accompagnamento catechetico e divulgativo dei “segni”, per dare finalmente la possibilità a tutto il popolo di Dio di partecipare con cognizione di causa a quei riti cui, in precedenza, assisteva certamente con rispetto, ma probabilmente senza coinvolgimento reale.
Don Peppino, con semplicità convinta e mai banale, educava, guidava, organizzava, instancabile nelle riunioni protratte degli aderenti ai vari “rami” della nostra Associazione di Azione Cattolica, assicurando responsabili maturi e formati ed offrendo ospitalità e mezzi anche per la redazione di un giornalino parrocchiale. Vero operaio nella Vigna del Signore, sapeva indirizzare senza prevaricare, consigliare senza angariare, dirigere caricando anche su di sé il peso dell’azione pratica affidata agli altri.
Fu una sua precisa scelta arricchire la nostra Chiesa-madre delle splendide formelle bronzee delle 14 “Stazioni” della Via Crucis, realizzate da uno scultore che lavorava con metodi artigianali. Per assicurarsi tale pregevole opera, il Parroco investì una parte non secondaria della somma ricevuta per il trattamento di fine rapporto di lavoro, quando fu collocato in pensione, dopo avere svolto per anni il ruolo di docente di IRC nelle scuole statali.
E che dire di una fiducia senza limiti che Don Peppino nutriva nell’azione della Provvidenza, che, a suo giudizio, non l’abbandonava mai, quando avviava qualche iniziativa per risolvere un problema a favore della Comunità ecclesiale e/o per abbellire i locali e i luoghi di culto di pertinenza parrocchiale? Ne ebbi personale conferma in più di un’occasione; mi piace qui ricordare, quando, a pochi giorni dal completamento di un lavoro oneroso in Chiesa, realizzato in gran parte “a credito”, fece rifare l’impianto acustico e sonoro lungo tutta la navata centrale, con gli altoparlanti posizionati opportunamente nei punti strategici, onde permettere a tutto il popolo di Dio di ascoltare nitidamente quanto pronunciato all’altare, e, soprattutto, dall’ambone. Alla riflessione dello scrivente che, forse, si sarebbe potuto attendere per realizzare questo progetto di innovazione, in considerazione della scarsa disponibilità di risorse economiche e finanziarie, il Parroco ribatté di non essere preoccupato per la nuova spesa da sostenere, perché la Provvidenza avrebbe di sicuro fatto la sua parte. E così avvenne: alcuni fedeli fecero delle donazioni impreviste e straordinarie, che coprirono abbondantemente la spesa sostenuta.
Don Peppino aveva indubbiamente ricevuto dal Signore un dono speciale, tutto suo: riusciva a identificare le qualità che ciascun fedele poteva mettere al servizio di tutti. Riprendendo il testo della pagellina-ricordo preparata per la commemorazione tenuta in Parrocchia ad un mese dalla dipartita, io stesso scrivevo: “Aveva il raro dono di scoprire il carisma di ciascuno e, una volta individuatolo, da buon Pastore, non si dava pace finché non l’avesse messo al servizio del bene della Comunità”. A tanti anni di distanza, se interrogato, ripeterei l’identica opinione, che rispondeva ad una reale impressione da cui si veniva colti, se messi al suo cospetto. Non a caso, all’epoca, tanti nuovi collaboratori (catechisti, educatori, laici impegnati, ecc.) si avvicinarono alla Parrocchia, per offrire il proprio contributo, che, in qualche caso, dura tuttora.
Nel nuovo clima in cui un organismo operativo allora rinnovato, per la prima volta attuava un’effettiva ed intensa collaborazione fra Parroco e laici, chiamati nel Consiglio Pastorale Parrocchiale, che sollevavano il Presule dal doversi occupare di ogni aspetto organizzativo e pratico, Don Peppino scelse con intuito il responsabile della cura degli affari economici e quelli dei tre centri che, operativamente, intervenivano per rendere tangibili i doni battesimali, di tipo sacerdotale/liturgico, regale/di servizio, profetico/dell’Annuncio. Una collaborazione che era efficacemente operativa, nel pieno accordo e nel rispetto dei ruoli cui lo Spirito aveva chiamato ciascuno. Oggi quest’organizzazione della vita parrocchiale potrebbe sembrarci “scontata” e di “normale” quotidianità, dal momento che la vediamo nella pratica comune, laddove, quarant’anni fa, si era nella fase poco più che sperimentale, in cui tutto doveva essere inventato e sottoposto a verifica, per dare i migliori risultati.
Quando Sua Eminenza il Cardinale Corrado Ursi, Arcivescovo Metropolita di Napoli, nella seconda metà degli anni Settanta, indisse la maggiore assemblea della Chiesa Diocesana Partenopea del Novecento, tendente ad attuare ed applicare in modo vivo il nuovo spirito ecclesiale derivante dai documenti del Vaticano II e dagli interventi pontifici e della CEI, organizzando il XXX Sinodo della Chiesa Napoletana, il nostro Parroco fu tra coloro che seppero dare un contributo davvero innovativo e completo. Egli scelse con oculatezza e nominò convinto un gruppo di laici incaricati di studiare i documenti con i quali Sua Eminenza guidava sistematicamente le varie fasi sinodali: parrocchiale, decanale, centrale/diocesana. Un lavoro davvero notevole, che, partendo dallo studio del territorio parrocchiale, giunse a stabilire punti-cardine della nostra Chiesa locale, già proiettata verso il Terzo Millennio[6], ancor’oggi attuali e da tenere in conto, perché essi diedero il tono al nuovo volto della Comunità dei credenti della nostra Diocesi, nel contesto del mondo laico contemporaneo. Ricordo personalmente l’ansia pastorale che sosteneva Don Peppino, sempre attento alle raccomandazioni dell’Ufficio Sinodale Diocesano. Parlo per esperienza diretta e personale, dal momento che il Parroco volle che il Coordinatore di quel gruppo e responsabile dei rapporti a tutti i livelli (di parrocchia, di decanato e di diocesi) fosse lo scrivente. Che avessimo operato al meglio delle nostre possibilità, ci fu riconosciuto dallo stesso Cardinale Ursi, in una visita pastorale svolta qui a Calvizzano, immediatamente dopo la chiusura dei lavori di quel Sinodo, le cui deliberazioni sono operativamente ancora in vigore, anche se, nel frattempo, sulla Cattedra della Diocesi Partenopea si sono succeduti S.E. il Cardinale Michele Giordano e S.E. il Cardinale Crescenzio Sepe. A giudizio dello scrivente, per la buona riuscita di quell’evento furono determinanti non solo il ruolo, ma anche la disponibilità e l’impegno di Don Peppino. E ciò non sembra piccolo merito…
Il suo rapporto con il denaro fu decisamente adeguato a quel sano controllo che deve essere considerato corretto per un rappresentante della Chiesa: sarebbe piaciuto di sicuro a Papa Francesco, da questo punto di vista! Oltre ad essere sempre disponibile ad intervenire a favore di coloro che versavano in stato di necessità e si rivolgevano alla Parrocchia, era pronto ad ogni spesa per l’accoglienza ed il buon funzionamento delle associazioni e dei gruppi parrocchiali, e probabilmente anche questo lo portò ad avere in tasca appena qualche migliaia di lire per le spese personali, al momento della improvvisa scomparsa.
Era quasi impossibile camminare per la strada del nostro paese a fianco di Don Peppino, senza fermarsi innumerevoli volte, vuoi perché egli incontrava qualcuno al quale chiedeva notizie personali e familiari, vuoi perché erano i concittadini stessi a rivolgersi a lui nella semplicità di un rapporto colloquiale.
Troppo ottimistico il ritratto qui proposto a ricordo di Don Peppino? Non credo, e sono convinto che tanti fra quelli che ebbero il piacere di conoscerlo, sarebbero disposti a condividerlo tranquillamente e a sottoscriverlo, senza indulgere al fascino della memoria, che rende ogni cosa più dolce ed accettabile.
È giusto, quindi, non dimenticare un personaggio come Don Peppino, che seppe vivere la sua vocazione sacerdotale in modo coerente e conforme alle attese del popolo di Dio, ricordandolo alle nuove generazioni, perché la nostra Calvizzano ha saputo esprimere in lui una persona tanto disponibile.
A maggior ragione, perché fu un Sacerdote retto ed un Parroco credibile.           

Calvizzano 20 febbraio 2020

Luigi Trinchillo    




[1] “Unire le antiche tradizioni alla nuove forme, e portarle a compimento”.
[2] Il versetto completo cui si fa qui riferimento è rivelatore: “Quoniam zelus domus tuae comedit me, et opprobria exprobantium tibi ceciderunt super me”. “Perché lo zelo per la tua casa mi ha divorato e gli oltraggi di quanti ti insultano sono caduti su di me” (Salmo 68, 10). Esso è richiamato anche nel Vangelo di Giovanni: “Recordati sunt vero discipuli eius quia scriptum est: ‘Zelus domus tuae comedit me’”. “Si ricordarono i suoi discepoli che sta scritto: ‘L’amore per la tua casa è come un fuoco che mi consuma’” (Gv 2, 17).
[3] È il testo integrale e puntuale, ripreso dal foglietto commemorativo distribuito ai fedeli nel corso della Santa Messa celebrata in occasione del Trigesimo della scomparsa di Don Peppino, il 5 marzo 1994.
[4] I dati anagrafici possono aiutarci, come al solito, a calare nel contesto storico momenti particolari delle vicende umane, personali e collettive. Ecco allora quelli essenziali relativi a Don Peppino Cerullo: nacque il 29 maggio 1926 e tornò alla Casa del Padre, che lo aveva chiamato a Sé, il 5 febbraio 1994. La sua vicenda umana si svolse quasi completamente a Calvizzano. Fu ordinato sacerdote il 2 aprile 1949 e cominciò immediatamente a collaborare con il Parroco pro tempore della nostra Parrocchia, Don Antonio Di Sabato, ricoprendo la funzione di Viceparroco fino al 1966. In quell’anno, Sua Eminenza il Cardinale Corrado Ursi lo inviò nella sua ‘terra di missione’, a Secondigliano, nella Parrocchia intitolata a “Cristo Re” del Rione Berlingieri. Rientrò nel nostro Paese nel 1975, fra il rimpianto dei suoi precedenti filiani, che gli rinnovarono sempre un’affettuosa fiducia, con la presenza nei momenti-chiave della sua attività successiva, fino all’improvvisa e del tutto imprevedibile scomparsa, verificatasi nella notte tra il primo venerdì ed il sabato del mese di febbraio 1994.
[5] È questo, infatti, il significato originario del termine greco da cui deriva il titolo attribuito al responsabile della Chiesa a livello locale/parrocchiale.
[6] Si era giunti, frattanto, quasi a metà degli anni Ottanta.

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