Il naufragio dell’Italia e il
piroscafo “Britannia”
In
questi giorni avete notato il fragore intorno alla discussione relativa alla
riforma del trattato europeo del MES? (Meccanismo
di stabilità economica) previsto dal Trattato di Lisbona”. Questo organismo
è un Fondo per la stabilità economica dei Paesi dell’Area euro”. Quest’organo
funziona come una banca, con i suoi tassi di interesse e condizioni, un Paese
in difficoltà chiede un aiuto e questi interviene. Nulla a che vedere con la
solidarietà! L’articolo 35 del MES recita:
“Nell'interesse del MES, il
presidente del consiglio dei governatori, i governatori e i governatori
supplenti, gli amministratori, gli amministratori supplenti, nonché il
direttore generale e gli altri membri del personale godono dell’immunità di
giurisdizione per gli atti da loro compiuti nell'esercizio ufficiale delle loro
funzioni e godono dell’inviolabilità per tutti gli atti scritti e documenti
ufficiali redatti”.
Una
cosa inaudita e inaccettabile. A suo tempo, l’approvazione di tale istituto
finanziario (siamo nel settembre del 2012) subì un intoppo perché la Germania
volle interrogare la propria Corte Costituzionale affinché non vi fossero dubbi
su un possibile conflitto con il proprio ordinamento costituzionale e che, infatti,
deliberò in tal modo: “purché vengano
applicate alcune limitazioni, in favore della sua compatibilità con il sistema costituzionale tedesco”.
Quindi,
il problema esiste? Eccome se esiste! E l’Italia? Partiamo da un po’ più
indietro, nel 1945, il nostro Paese era uno Stato azzerato e occupato dagli
Alleati vincitori del secondo conflitto mondiale. Al di là delle parate e delle
strette di mano a favore di telecamera, eravamo sottomessi a un regime di
controllo politico-militare. La parola d’ordine era di tener sotto controllo
l’economia, la politica e le linee programmatiche di politica estera italiane.
Nel frattempo però l’Italia cresceva e siccome gli americani avevano puntato
sulla Germania per la ripresa economica dell’Europa, impegnando capitali
colossali e impiantandovi a Colonia la catena di montaggio della Ford, non
avevano previsto due cose: la nascita del più grande partito comunista
dell’Occidente libero e una crescita importante della dimensione economica e
industriale italiana. Enrico Mattei creò l’Eni da vecchi istituti anteguerra.
Fu il più grande apparato industriale del settore energetico del mondo per un
Paese non naturalmente produttore di petrolio. Si vararono giganteschi
investimenti, la costruzione delle autostrade, la rinascita del settore
cantieristico e manifatturiero, poi giunse il celebre “Boom economico” culminato nella seconda metà degli anni ’60.
Trainato dal settore automobilistico nord centrico, seppure, di questo sviluppo
non ne beneficiò il mezzogiorno italiano, anzi, ne provocò una forte ondata
migratoria verso le aree produttive, i macrovalori nazionali ne ebbero grossi
vantaggi. Insomma, negli anni ’80, con un po’ di fiatone, raggiungemmo il terzo
posto nel mondo come potenza economica e il quinto a livello finanziario. La Gran
Bretagna ebbe molta paura e passò all’azione, non si poteva tollerare un simile
risultato in una nazione “poco affidabile” al contrario della Germania Federale
con la sua proverbiale “obbedienza e
disciplina”. Uomini come Aldo Moro ed Enrico Mattei, minacciavano il
mercato petrolifero americano con la loro politica terzomondista e filoaraba, i
sindacati e i partiti di sinistra italiani mettevano in crisi il controllo
straniero sul Paese. Che fare? Tolti di mezzo (scusate l’espressione brutale ma
di cosa si trattò se non di questo?) Mattei e Moro, bisognava smantellare il “Sistema Italia”. Il 2 giugno del 1992
(Annus Horribilis della nostra economia), il panfilo di proprietà della regina
inglese, “Britannia” attraccò nel porto di Civitavecchia e vi salirono a bordo
Mario Draghi, Giuliano Amato, (li conoscete?), Lorenzo Pallesi, presidente di
INA Assitalia, il presidente dell’ENI Gabriele Cagliari, Innocenzo Cipolletta,
direttore generale di Confindustria, Luigi Spaventa, economista, il banchiere
Giovanni Bazoli. Insieme agli italiani c’erano banchieri ed economisti
stranieri. Discussero di privatizzazioni italiane! E come per incanto: il
sistema pubblico italiano, industriale, finanziario e terziario, andava venduto,
andavano messi in discussione i rapporti e le strategie di politica economica
ispirati a una conduzione statale. Tutto il mondo, Germania compresa, ha questo
modello, forse chi più e chi meno ma mai si era assistito a un attacco proditorio
e violento al concetto di impresa pubblica come in quel periodo e infatti i
risultati furono questi: un decreto del 1992 n. 333 ha trasformato in SpA le aziende di Stato IRI, ENI, INA ed ENEL; l'Ente Ferrovie dello Stato (già ente
pubblico economico istituito con la legge 17 maggio 1985 n. 210) è stato trasformato in società
per azioni in forza della deliberazione C.I.P.E. del 12 agosto 1992. Il 30
dicembre 1993 con delibera del Consiglio dei
ministri, si realizzò la dismissione totale della quota detenuta
dell'Iri nel Credito Italiano e di quella detenuta dall'Eni
nel Nuovo Pignone, (fonderia di Stato). Nello stesso
periodo furono quotate in borsa con trasformazione in enti privati di AGIP e
SNAM. Furono privatizzate, le Poste Italiane, le banche, moltissimi istituti di
cultura. Tutto questo in base a un “bisogno
di risanamento”. Lo Stato italiano aveva dimenticato di colpo come si
risana e si ristruttura un ente? Anche Alitalia ha conosciuto la sua “Via
crucis” che dura tuttora! Il grande patrimonio italiano fu costruito grazie a
un enorme sforzo collettivo realizzato in un momento strategico ormai
irripetibile! Non avremo mai più le condizioni favorevoli per un tale
obiettivo. Una foresta pluviale, se la si abbatte, non è detto che rinasca
ancora, perché non vi sono più le condizioni ideali. Capirete che con questo
stato di cose, l’Italia è entrata a pieno titolo nell’Euro, azzoppata, cieca, e
debilitata, poi è stata la volta della grande distribuzione fino a non possedere
quasi più nulla, il sistema siderurgico è passato a gruppi svizzero-tedeschi,
l’energia è in mano ai francesi, (paghiamo a caro prezzo più della metà del
quantitativo energetico). L’azzeramento non di una classe dirigente politica
ma, di un intero sistema di partiti, ha provocato un vuoto spaventoso di
competenze in questo campo, politici che non sono in grado di affrontare
nemmeno il viaggio verso Bruxelles per stabilire le cose necessarie per una
difesa degl’interessi nazionali, hanno fatto il resto e oggi siamo sottomessi a
istituzioni mai elette da nessuno che fanno quel che vogliono con Paesi deboli
come Italia e Grecia. I più esposti a tutto questo, sono i comuni e in maggior
misura quelli del Mezzogiorno italiano, sindaci, consiglieri e candidati cosa
ne sanno? A proposito di privatizzazioni, A monaco di Baviera, esiste la più
grande (tremila posti a sedere) importante birreria del mondo, fondata nel
1589, è pubblica! Di proprietà dello Stato della Baviera! Tutto è possibile,
nulla è impossibile con gli uomini giusti!
Enzo Salatiello