I Due Papi, la forza della Chiesa che si rinnova nonostante il clero: la recensione del poeta-scrittore Enzo Salatiello
Sabato sera ho visto il
film “I due papi”, dalla regia di Fernando Ferreira Meirelles, regista e sceneggiatore
brasiliano già autore del film candidato al Premio Oscar: “La città di Dio”. “I due papi” è interpretato da un
impareggiabile Anthony Hopkins e un superbo Jonathan Pryce, rispettivamente nel ruolo di Benedetto XVI e
di Francesco. Quest’ultimo, suo versatile e brillante interprete,
straordinariamente somigliante al pontefice attuale. Di Hopkins non c’è nulla
da dire, chi non lo conosce? Il film, della durata di due ore e cinque minuti,
girato tra Villa Mondragone, Villa Farnese e la consueta Reggia di Caserta, con
alcuni esterni tra le strade di Buenos Aires, prende una piega “immaginaria” dal momento dell’aprile
2005, giorni del conclave che eleggerà Ratzinger. Il regista immagina un
dialogo molto stretto e serrato tra i due pontefici. Il cardinale Bergoglio,
colto da una crisi di fiducia nelle sfere alte della Curia romana, decide di
dimettersi e vola da Buenos Aires a Roma, i due s’intrattengono a Castel
Gandolfo e qui vengono fuori le grandi differenze sistemiche tra i due uomini:
uno, tedesco, teologo, illustre professore, per certi versi nemico del
relativismo, l’altro, prete e vescovo di borgate povere dell’Argentina dei
generali, fortemente provato, in modo anche pesantemente personale dalla
tragedia della dittatura di Videla. Senso di colpa e perdono, sono i punti che
li distanziano, ma anche le piccole cose, Benedetto conosce raffinati autori di
musica classica e ne esegue i brani al pianoforte, Bergoglio è un ultras della
squadra di calcio argentina del San Lorenzo. Il tedesco si lamenta di non
piacere alla gente, Bergoglio è calato fin troppo nell’arena feroce del popolo
povero e indigente, ne conosce i dolori e le difficoltà. Il primo viene da una lunga carriera
diplomatica e dottrinale nel cuore del Vaticano, Bergoglio è rimasto un prete
di strada e di periferia. Ma pian piano, la straordinaria intelligenza dei due
comincia a produrre un fiume di confronti positivi a ritmo serrato (complimenti
allo sceneggiatore Anthony McCarten, autore de La teoria del tutto)
che porta Ratzinger a maturare le dimissioni da ogni incarico amministrativo di
vescovo di Roma. Da che Bergoglio voleva rassegnare le dimissioni di vescovo
per tornare a fare il prete a possibile candidato di Ratzinger alla sua
successione, ci passa lo spazio di un paio di pomeriggi. Pian piano, le visioni
di una Chiesa più rigida e arroccata contro le sfide del terzo millennio e
quella di riforme, necessarie e vitali alla stessa, vengono limate fino a
propiziare tra i due un’intesa molto salda. Le scene della Cappella Sistina,
vuota, che ospita i due uomini che finiscono con il confessarsi a vicenda i
rispettivi propositi più fermi e poi, in un secondo momento a confessarsi in
modo canonico, sono la chiave del film. Ormai Ratzinger è convinto di poter
lasciare, immerso nel potere papale, afferma di “non sentire più la voce di Dio da qualche tempo”, ma che alla fine
l’ha riascoltata tramite quella di Bergoglio. Sarà lui a guidare la lotta alle
nuove sfide. Sono questi i giorni dei veleni e degli scandali, portati alla
luce dalle inchieste del bravissimo giornalista Gianluigi Nuzzi, Benedetto è
stanco, capisce che quella non è la Chiesa che riuscirebbe a guidare, che il
tempo delle virtù teologali (Fede, speranza e carità) saranno mutuati da una ben
più energica e vigorosa azione pastorale di un prete con “muscoli e Spirito”.
Il film è una continua narrazione immaginata dagli autori, ma che fornisce al
pubblico (non solo dei fedeli) una possibile chiave delle dimissioni di
Benedetto. Dimissioni che si possono solo ampiamente immaginare ma che non ci è
dato analizzare efficacemente perché Benedetto non ne ha mai rivelato il
movente preciso, com’è nel suo costume. Non mancano scene divertenti e un po’
grottesche come quella della pizza consumata tra i due nella cappella Sistina
in procinto di aprirsi ai turisti e quell’altra, francamente superflua per
l’economia della narrazione: Bergoglio che tenta di sciogliere il carattere del
tedesco provando con lui due passi di tango nel cortile del Vaticano. Il film
termina con l’elezione di Bergoglio che rifiuta la mazzetta di velluto rosso
foderata di ermellino e le scarpe anch’esse rosse, esclamando. “Il carnevale è finito!”.
Ne è passato di tempo dalla notte in cui
elessero Pio XII il quale indossò pantofole tempestate di gemme e che usciva
portato a spalla sulla sedia gestatoria. Tuttavia, a ogni papa, l’epoca sua ma,
ci sono papi che l’epoca la piegano a loro uso e consumo, vediamo cosa farà il
prete di borgata Jorge Maio Bergoglio.
Enzo Salatiello