Storia di Marano, il grande Peppe Barleri (ripetiamo il nostro appello: dedicategli una strada) “sfornò” altri due libri poco prima di morire: “Castel Belvedere” e “Donna Caterina Mandrie y Manriquez”
Foto Angelo Marra |
L’articolo che il giornale “L’attesa” gli
dedicò all’epoca
Il primo libro: “Castel Belvedere”,
sponsorizzato da Teresa Giaccio
Peppe Barleri, sempre infaticabile tra atti e
documenti ingialliti dal tempo, ha partorito altri due libri sulla storia della
sua amata Marano, in cui continua ad andare a caccia di particolari inediti e
aneddoti gustosi. Nel volume Castel Belvedere (sponsorizzato da Teresa Giaccio,
oggi consigliere di minoranza di Fratelli d’Italia. Ndr), ricostruisce passo
dopo passo la storia del maniero, fatto erigere a Marano a partire dal 1227
dall’imperatore Federico II di Svevia: prima le spese ingenti per costruirlo
con spreco di denaro pubblico; poi, via via, la distruzione in una sommossa di
popolo, vessato dalle tasse; la ricostruzione imposta da Carlo D’Angiò ai
rivoltosi stessi; l’alternarsi di feudatari e signorotti nel corso dei secoli;
l’abbandono ai primi del ‘900 e il progressivo degrado; infine i tentativi di
recupero e salvaguardia, rimasti sempre sul piano delle intenzioni. “In
fondo – scrive l’autore nella prefazione – il castello identifica
simbolicamente Marano con il suo orgoglio ferito e la sua attuale resa al
cemento”.
Il secondo libro: “Donna Catarina Mandrie
y Manriquez”, pubblicato grazie alla sponsorizzazione dell’ex direttore del
centro Aktis, Gianfranco Scoppa (buonanima, uomo dal grande cuore: era sempre
pronto a sponsorizzare eventi culturali)
Palazzo Baronale in una foto del 1946 inviataci da Nicola De Rosa |
Il libro apre uno squarcio su Marano all’epoca della dominazione spagnola. Nel ‘600 – spiega Barleri nella prefazione – Marano era un ricco feudo con abbondanti raccolti che fu concesso dal re Filippo IV alla sua amante Caterina, soprannominata “Reginella” per aver fatto un figlio con il re”. A quel tempo era invalso l’uso di vendere casali e borgate ai privati cittadini, per ricavare il denaro necessario a finanziare le guerre e il lusso sfrenato della corte di Madrid. Il 16 novembre 1630, il potente don Girolamo de Sangro, principe di San Severo dimorante a Napoli, stava per aggiudicarsi il casale di Marano (“completo – si legge nel documento notarile scovato da Barleri – di vassalli, masserie, …otri, vigne, forno montagne, alberi, terre…servitù,…usi, …boschi,…boschi, erbaggi, pascoli,…querce, castagni,…fiumi, paludi pantani, mulini, con il Banco della Giustizia…”) a una pubblica asta svoltasi al Maschio Angioino. Quando già si era consumata la candela che scandiva il tempo massimo per l’offerta successiva, fuori tempo arrivò l’offerta del marchese don Antonio Manriquez, che acquistava su richiesta di sua figlia Catarina, ma in realtà era prestanome per conto del re: il vicerè non potè far altro che riaccendere la candela, e Marano fu aggiudicata in modo poco lecito alla “Reginella”, con il titolo di principessa. Nel 1647, però, la rivolta di Masaniello si estese anche a Marano: il popolo si ribellò e diede l’assalto al palazzo della principessa, identificata come il simbolo dello strapotere affamatorio degli Spagnoli. Donna Catarina risiedeva nel palazzo baronale, meglio noto ai maranesi come “palazzo a’ spuntatora”: sorgeva accanto al vecchio edificio “Amanzio”, ma ormai è stato abbattuto. Da altri documenti d’epoca, apprendiamo che nella rivolta finirono incendiati perfino i mobili, ma tre anni dopo la principessa si fece ripagare dei danni subiti con i relativi interessi.
Raffaele Romano
Altre foto
Ingresso del Palazzo baronale |
Palazzo in fase di abbattimento: si vede una parte dell'edificio scuola Amanzio |