Armando
Diaz s’innamorò di Sara, nipote (figlia della figlia Maria)
dell’illustre calvizzanese, Giuseppe Maria Mirabelli, al quale il re Umberto I°
di Savoia conferì, nel 1892, il titolo di Conte. Galeotto fu un rinomato lido
di Portici, dove la borghesia napoletana era sovente trascorrere i giorni
d’estate. La famiglia di lei non era per niente entusiasta di questa
unione, poiché, per la figlia, auspicavano un partito migliore. Diaz
aveva 12 anni in più di Sarah, quando chiese la sua mano alla famiglia De
Rosa-Mirabelli. Dopo due anni di fidanzamento, il matrimonio venne celebrato
nella chiesa di Santa Maria La Nova, quando Sara aveva appena 21 anni.
All’indomani del fatidico sì, la coppia si trasferì a Roma, dove ebbe tre
figli: Marcello, Anna e Irene. La carriera del giovane capitano diventò tutto
un crescendo. Nel 1911 tornò dalla campagna di Tripoli con la medaglia
d’argento, ottenuta dopo il ferimento nella battaglia di Zanzur al comando del
ventunesimo reggimento. In seguito alla disfatta del generale Cadorna a
Caporetto, all’ardimentoso Diaz venne affidato il Comando supremo delle forze
armate italiane. Sarah era orgogliosa di suo marito Armando e lui apprezzava i
consigli di sua moglie che, spesso, gli suggeriva. La vita che i due dovettero
affrontare non fu certo facile, poiché il generale era quasi sempre lontano da
casa e continuamente in pericolo. Fra i due, però, vi era una intensa
corrispondenza, un bisogno imprescindibile dell’anima: li teneva uniti il filo
del telefono da campo. Spesso capitò che i coniugi Diaz, per scaricarsi di
dosso la tensione dei momenti difficili, trascorressero i caldi giorni
dell’estate a Calvizzano, nella casa del nonno di Sarah, Giuseppe Mirabelli,
lontano dai fasti della vita mondana. Il nostro piccolo paesello di allora,
composto da poche migliaia di anime, offriva la quiete che il generale
desiderava e la salubrità della vegetazione circostante. Vinta la prima guerra
mondiale, il generale Diaz, su richiesta del podestà Domenico Mirabelli, cugino
di Sara, per completare il monumento ai caduti calvizzanesi, regalò al nostro
paese un cannone sottratto al nemico austriaco. Il generale si spense nella sua
casa romana nel 1928, a causa di una polmonite. Sarah, invece, visse per altri
23 anni, “nel ricordo di suo marito e tra i cimeli di guerra del generale”,
come scrisse il cronista de il Mattino, Donato Martucci, quella domenica del
1951, all’indomani della dipartita della duchessa della Vittoria, Sara De
Rosa-Mirabelli.
In occasione della morte di Donna Sara Diaz, Duchessa della Vittoria,
il “Mattino” le dedicò una pagina intera
La sera del 15 marzo donna Sara Diaz, Duchessa della Vittoria, fu colpita
da un attacco cardiaco e si abbatté sul cuscino come morta. Le figlie Irene e
Anna ritennero che la madre fosse partita per sempre, ma dopo una mezz’ora ella
rinvenne e chiese un bicchiere di latte. Sorrise alle figlie e disse “è
venuta, ma se se n’è andata: ritornerà dopo che avrò visto Marcello”.
Il figlio Marcello giunse in fretta da Napoli; ventiquattro ore dopo, la
inesorabile falciatrice ritornò precisa e puntuale accanto a quel letto.
A 76 anni, nella stessa casa dove rese l’anima al cielo il suo Armando, è
così scomparsa la Duchessa della Vittoria. Fu una signora napoletana di grandi
virtù. Era figlia di un avvocato, Federico De Rosa, e nipote di un giurista
insigne, il conte Mirabelli che fu primo presidente della Corte di
Cassazione(…) Dopo la morte del generale Diaz, Sara aveva dedicato tutta se
stessa ai figli. Di amicizie ne aveva molte, ma non era amante delle visite e
delle feste, né del rumore della notorietà. Era stata l’ideale compagna di un
grande soldato, e anche quando la gloria intonava le sue squille, intorno al
nome del Maresciallo, ella preferiva ritirarsi un poco timida. Soleva
dire”Armando, la voce sei tu: io non sono nulla”.
Fu nel 1911 che si trovò in mezzo al tripudio popolare, quando Armando
rientrò da Tripoli con una medaglia di argento conquistata sul campo. Era stato
colpito alla battaglia di Zanzur, mentre comandava il 21° reggimento di
Fanteria. Sara lo aspettava allo sbarco, e venne anch’ella salutata con entusiasmo
frenetico dalla folla napoletana (…) Scomparso Armando, Sara volle rimanere in
quella casa ( a Roma) che era piena della voce di lui. Raccolse in una stanza
tutti i ricordi di guerra del Duca e trascorse la maggior parte delle sue
giornate in mezzo a quelle cose care(…). In quei 23 anni, donna Sara ha così
vissuto, dominata dal ricordo del suo Armando (morì nel 1928). Era amata dagli
umili e dai poveri, si era interessata molto al soccorso dei ciechi di guerra.
Un giorno del 1948 ritagliò da un giornale romano l’annuncio funebre di una
signora che era nata De Rosa, ma lei lo mise in una cassaforte e chiese ai
figli che gli facessero uno identico quando il giorno fosse venuto. Voleva che
l’annuncio venisse dato soltanto a tumulazione avvenuta e che i funerali
fossero fatti in forma intima.