Marano, per mancanza di fondi della Soprintendenza si ributtò sotto terra il tesoro dissepolto di “Città Giardino”
A novembre 1997, alla
prima traversa Città Giardino furono riportati alla luce dai tecnici della
Soprintendenza di Napoli importanti reperti archeologici. Furono rinvenute
diverse cisterne, una tomba del 2° secolo a.C. e riaffiorarono alcuni
cunicoli e resti di una villa di epoca
romana che, nel tempo, è stata via via adattata e utilizzata fino al quarto
secolo d.C. Furono, però, sepolti di nuovo, impietosamente. La Soprintendenza,
in mancanza di fondi, non poté
proseguire gli scavi, per cui riseppellì tutte le vestigia. Ma l’Archeoclub,
presieduta dal compianto Carlo Palermo, sempre vigile sul territorio maranese e
pronto nella salvaguardia e valorizzazione delle aree archeologiche del
territorio, insorse deciso: “Il reinterro
– dichiarò Palermo al giornale L’attesa in un articolo a firma del direttore
dell’epoca Raffaele Romano – è utile solo
a preservare i reperti dagli agenti atmosferici e non certo dai tombaroli, già
segnalati in zona. Piuttosto – aggiunse – urge recintare l’area, acquisirla al
patrimonio comunale e istituire un opportuno servizio di vigilanza,
coinvolgendo forze dell’ordine, lavoratori socialmente utili, giovani impegnati
nel servizio militare alternativo e volontario”.
Secondo Palermo, la
strategia conservativa adottata dalla Sovrintendenza era “culturalmente e politicamente aberrante” poiché precludeva un’eccezionale
possibilità di studiare le radici storiche della città e spreca una
straordinaria “occasione occupazionale
legata alla valorizzazione dei Beni culturali” .
Ormai è evidente che
sotto i nostri piedi, da Quarto ai Camaldoli, si celano inestimabili tesori di
una preesistenza romana che, se adeguatamente valorizzati, potrebbero
alimentare un indotto economico di proporzioni notevoli.
“I tempi e le condizioni – sottolineò Palermo – per la creazione del parco archeologico sono ormai maturi e la cronica
mancanza di fondi ad hoc non può essere più invocata per coprire ataviche
carenze di iniziative politiche e programmatiche”.
In quel periodo, cioè
circa ventidue anni fa, anche gli alunni della scuola media Darmon,
opportunamente sollecitati dai docenti, scrissero quaranta lettere-appello inviate
poi al sindaco dell’epoca Bertini, alla Sovrintendenza e agli organi di
informazione per sollecitare interventi. Eppure, nonostante la mobilitazione,
nelle sedi istituzionali fecero orecchie da mercanti, si latitò, ci si defilò
oppure si cercò di strumentalizzare la questione soltanto per utilitaristiche
sponsorizzazioni politiche. E allora in molti si insinuò un’angosciante
conclusione: l’attuale democrazia consente il diritto a tutti di parlare e
denunciare, ma spesso non c’è nessuno che ascolta.