“Il Sabato del Villaggio”, un’alternativa plurale per uscire dalla palude

Articolo (scritto dal giornalista Marcello Curzio per evidenziare i mali endemici di Melito, la città dove vive da anni) nel quale viene descritto uno scenario che presenta molte affinità con Calvizzano, dove si starebbero riorganizzando, per riproporsi all'elettorato, gli stessi soggetti che hanno contribuito ad affossare la città


A tutt’oggi, nella politica locale, il bilancio di chi gode del mandato di rappresentanza è magro. La necessità di far valere l’identità è stata sostituita dallo spurio criterio dell’appartenenza per il conseguimento del potere. Da qui la nascita di leadership mediocri e l’affermazione di un ceto politico che si impone per quantità e non certo per qualità. Ecco perché permane (e ritorna) il vizio del trasformismo che si intreccia con il clientelismo. L’importante è non badare alla qualità dei soggetti da impegnare, ma alla quantità dei consensi da raccattare. Un chiaro esempio di queste dinamiche si ha oggi nella nostra cittadina. C’è, infatti, chi per assicurarsi il consenso porta avanti un sistema molto spiccio che è quello di imbarcare tutti quelli che gli si presentano davanti. E così ci si ritrova con voltagabbana che, pur di ottenere qualche mancia, sono disposti anche a vendere la propria dignità. Poco importa se chi si pone in questa condizione è già stato responsabile del fallimento politico o amministrativo recente e di traguardi mancati.
E così procura disgusto osservare delle immagini di supporters e clientes con la testa in su per rimirare chi dal balcone, evocando antiche suggestioni, teneva a bada una schiera di politicanti tuttofare che, come marionette, annuivano e battevano le mani nell’intensificarsi del tono dell’oratore.
Tutto questo, in verità, non mi scandalizza, mi preoccupa: credo infatti che le prospettive di riconquistare la speranza sono più che sfumate. Premiare o proporre all’elettorato gli stessi soggetti che, avendo avuto responsabilità di governo, hanno finito per deludere le aspettative è come voler ripercorrere una strada notoriamente in procinto di franare.
Oggi il problema vero non è solo quello della denuncia, che comunque è sempre utile e necessaria, ma è di capire da dove ripartire se si vuole estirpare quel cancro malefico che mina il cuore della società melitese. Rileggere il recente e attuale passato è come affidarsi alla malinconia per una città che oggi arranca. Se così è, occorre allora il coraggio della sfida. Il coraggio delle scelte. Che deve vedere protagonisti non più i soliti soggetti, ma coloro i quali sino ad oggi sono rimasti impassibili di fronte allo sfascio che si consuma sotto i loro occhi, quelli che amano criticare più che costruire o aiutare a farlo.
C’è a livello una borghesia parassitaria che non intende concorrere ad affermare il concetto del bene comune. Una classe che più che impegnarsi nel proporre idee di crescita sociale e di sviluppo preferisce accodarsi a chi promette stracci di potere individuale. Ci sono intelligenze di solida esperienza culturale che si tengono lontani dall’impegno civile. Molti professionisti, poi, vedono la politica come presidio di affari e basta. C’è una intera comunità di cittadini che, pur non condividendo le scelte che si fanno, tacciono o si fermano alla critica inconcludente e spesso pettegola. Oggi occorre stanare tra questi i migliori e chiedere loro di scendere in campo. Si mettano insieme esperienze consolidate e nuovo entusiasmo per impegnarsi a favore delle comunità. Non occorre far valere l’appartenenza partitica che ha già perduto il suo orgoglio consumandosi in piccole beghe, ma è urgente riaffermare la solidarietà per gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Forse è un sogno. Ma è il solo modo per uscire dalla palude e dare vita ad una necessaria rivoluzione culturale
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