 |
La struttura di via Camillo Guerra |
In viaggio nella struttura gestita dalla
Congregazione religiosa “Figlie della Carità”
Per i malati di Aids la speranza abita
al civico 28 di via Camillo Guerra. Alla fine di una stradina, in
una zona di confine tra Marano e Napoli, c’è la Casa Famiglia “Sisto Riario Sforza”, opera segno della Caritas della Diocesi di Napoli,
gestita dalle Congregazione religiosa “Figlie
della Carità”. La responsabile, suor Marisa
Picrella (da circa due anni ha sostituito suor Giovanna Pantaleo, pugliese
della provincia di Brindisi) insieme ad altre tre sorelle, in sintonia con la
mission delle Figlie della Carità, “dedicano la loro vita a Dio e di servirlo
nella persona dei poveri”. Da circa 14 anni accolgono persone sieropositive
affette da HIV/AIDS, offrendo a ognuno la possibilità di migliorare la loro
vita. La Casa Famiglia ha una ricettività di 10 persone che vi stazionano 24
ore su 24. Non è un luogo chiuso, anzi è sempre stato aperto al
territorio, alla parrocchia e alle scuole. Nel fornire l’assistenza ai
pazienti, le suore sono affiancate da un gruppo di volontari e da 6 educatori:
un’equipe motivata e qualificata. Nella struttura, oltre alle cure mediche e
infermieristiche (con il contributo dell’equipe domiciliare dell’Ospedale
Cotugno), ci si preoccupa di sostenere i residenti a livello psicologico, per
farli accogliere serenamente la malattia e qualche volta anche la morte. I
ragazzi, ospiti della casa, partecipano a laboratori artistico-creativi (taglio
e cucito), a gruppi di auto-aiuto, a cineforum, a visite guidate nei luoghi
d’interesse socio-culturale, fanno fitness.
Come vi finanziate?
“Attraverso
i fondi nazionali previsti per l’HIV – chiarisce suor Marisa – fondi regionali e tanta Provvidenza”.
Insomma, continua il lavoro in trincea
delle “Figlie di San Vincenzo” (fondatore, insieme a Santa Luisa de Marillac
della Congregazione Figlie della Carità, ndr) al servizio degli altri, dei
disagiati e dei più bisognosi, ma soprattutto di venire incontro a una delle
più critiche povertà del nostro tempo: la tossicodipendenza.
Aids: non se ne parla
più, ma il contagio da virus HIV è sempre in agguato
La causa dell’HIV è un virus che
appartiene alla famiglia dei retrovirus. La cellule più colpite e distrutte
sono i linfociti T (appartengono alla famiglia dei globuli bianchi) cellule
fondamentali nell’aiutare il sistema immunitario a riconoscere e rispondere a
diversi agenti patogeni. L’AIDS è una malattia ma, nel contempo, anche un
fenomeno sociale, politico, religioso e sessuale oltre che sanitario. E’ una
patologia capace di confondere le coscienze e cambiare il modo di guardarci
l’un l’altro. Dopo che il virus è penetrato nell’organismo attraverso una delle
tre modalità di contagio (sangue infetto, rapporti sessuali non protetti con
una persona sieropositiva o trasmissione verticale da madre in figlio durante
la gravidanza, il parto o l’allattamento al seno), una persona diventa
sieropositiva. Le persone che risultano positive al test (praticabile in tutti
i laboratori di analisi) vengono indirizzate a un ambulatorio di malattie
infettive, per essere prese in carico da specialisti del settore, in grado di
controllare l’evoluzione della malattia e di iniziare le terapie più opportune.
La condizione di sieropositività permette di vivere anche per anni senza alcun
sintomo e accorgersi del contagio solo al manifestarsi di una o più infezioni
cosiddette opportunistiche, cioè causate da germi che normalmente non riescono
a infettare le persone sane, ma soltanto persone con un sistema immunitario
fortemente compromesso. Ad oggi da HIV non si guarisce. Il virus può solo
essere tenuto sotto controllo, cioè curato. Rispetto ai primi anni, le terapie
hanno modificato l’evoluzione dell’infezione, permettendo una riduzione della
mortalità. La terapia antiretrovirale non è facile da seguire. Come tutte le
terapie croniche (che non hanno termine) richiede attenzione nel rispettare gli
orari di assunzione dei farmaci, la vicinanza o meno ai pasti o a certi cibi.
Tale terapia con molta frequenza genera nei primi mesi effetti collaterali per
cui, a volte, c’è bisogno di sospendere il farmaco e una modifica nello schema
della cura.