Riaffiorano
nella mente di Peppe Pezone,
appassionato di storia locale, particolari
del passato
Nei giorni scorsi, passando per la piazza, ho notato
che era in corso la demolizione del palazzo, all’angolo che sale su via Roma. Il fabbricato, che a piano
terra ospitava il bar “Centrale”, per quelli della mia generazione era noto
come “ ‘o bar e on Giacumin”. Nella piazza, all’epoca
dei miei ricordi c’era sia questo bar che quello che noi chiamavamo “’o
bar e Pietr ”. Per la verità, da tempo avevo in mente di dedicare una serie di articoli
agli esercizi pubblici di Calvizzano, diciamo “storici” .Questa è l’occasione
giusta per iniziare. Il bar Centrale ha
avuto varie gestioni, però i miei ricordi riguardano appunto il lungo periodo
il cui titolare è stato Giacomo
Carandente, coadiuvato da sua moglie, Aprovitola
Rosa, simpatica e assai garbata signora di Pozzuoli .Prevalentemente era
frequentato da persone più in età rispetto all’altro bar, quello di “Pietr ‘o
barrist” il cui titolare era D’Ambra Pietro, frequentato
prevalentemente da studenti e giovani sportivi
appassionati di calcio. Io e i miei amici, nel tardo pomeriggio, specialmente
nel periodo invernale ci ritrovavamo in piazza, per poi organizzare spesso un gioco con le carte napoletane, proprio nel bar Centrale. Un
gioco che chiamavamo “ il tresette a perdere”, la cui posta
in palio era una consumazione al bar. Don Giacomino, per quella che era la
consumazione che ci giocavamo, sopportava
il nostro animato vocio e la lunghissima durata delle partite, assolutamente non
per convenienza, ma per bontà rendendosi conto che eravamo dei giovani
squattrinati. Ricordo che appena dopo l’ingresso del bar, a sinistra c’era il
classico flipper, dove spesso letteralmente si “esibiva” un nostro amico, Enzo Traettino e, talvolta, un ragazzo
che chiamavamo “ ‘U Maranes”, due
campioni del flipper, che, puntualmente, vincevano un premio che chiamavamo “ ‘a
butteglia”.
Non ho mai saputo effettivamente in cosa consistesse questo premio, anche
perché non l’ho mai vinto. Sia Giacumin
che la moglie erano con i clienti
pazienti e cortesi. Principalmente
lei accoglieva e serviva i clienti con un sorriso verace e non di
circostanza. Ricordo con particolare
piacere quando d’estate dei contadini del paese, nel tardo pomeriggio , si
concedevano qualche ora in piazza,per giocarsi in uno dei due bar un caffè.
Spesso accanto al bar di Giacumin, all’inizio di via Roma sostava un pescatore di telline che vendeva freschissime telline e a volte in
primavera si vendevano fave
fresche. Ricordo pure che dei giovani di Calvizzano, in questo bar giocavano a un gioco che non ricordo precisamente come si chiamasse
, ma ricordo che consisteva nel bere bottiglie
di birra con una tecnica particolare e in base a una modalità a seconda se nel gioco si era “padrone” “ o sotto”.
Straordinario era il numero di birre bevute, restando perfettamente lucidi. Il
bar a Calvizzano, come in ogni punto di questo Paese, è stato l’unico luogo di aggregazione, di distrazione
ove si passavano le serate. Quasi sempre
si innescavano estenuanti discussioni
politiche o sportive, dove l’ideale politico o la squadra del cuore si
difendevano con passione. Oggi alcuni, con l’odiosa sufficienza di chi si erge
ad intellettuale, usano in senso dispregiativo
qualificarle l’assunto del proprio contraddittore, come “discussioni
o chiacchiere da bar”. Personalmente preferisco le accese genuine discussioni da bar alle solite lagne dei professionisti delle chiacchiere, pronti a
cambiar casacca e bandiera per puntualmente salire sul carro dei vincitori.
Peppino
Pezone