“Scintille sotto cenere calda”, è il secondo libro del poeta-giornalista Stefano Rinaldi: verrà presentato il 27 settembre al teatro Alfieri di Marano
Poesia
della solitudine e del quotidiano
Il
libro di poesie che Stefano Rinaldi presenterà,
il 27 settembre alle 18 al teatro Alfieri di Marano, non è l’autocompiacimento di tanti spericolati
del verseggiare, convinti che basti spezzare la prosa dei sentimenti in
arbitrari versi, per elevarsi automaticamente al di sopra degli altri.
“Scintille
sotto cenere calda” è il secondo libro di Rinaldi. Il primo, “Impronte
di inconsistenza tra graffi di pensieri”, è stato di carattere antologico, partito
fin dai primi versi scritti, da tredicenne, sulla catastrofe del Vajont: alcune
liriche hanno attinto dalla cronaca per pervaderla di universalità; altre,
ancora, hanno preluso inconsapevolmente a quelle composte per questo successivo
libro.
La
raccolta che viene ora presentata è invece più organica. Il parto è stato il
frutto di una gestazione di nove mesi esatti, suscitata dall’incontro-scontro
dell’animo con la mente. In verità, tutto è stato ispirato da un sogno, che il
poeta ha fatto poi diventato il prologo del libro.
«In questo volume – ci spiega
Rinaldi - traspare una poesia che
qualcuno ha definito cerebrale. D’altra parte non poteva essere altrimenti: è necessariamente
introspettiva. Ma, in fondo, descrive un’ordinaria storia di emozioni e
riflessioni. Segue le orme della filosofia applicata, nel senso che fa i conti
con le cose reali, per essere utile strumento di consapevolezza, soprattutto del
rapporto con noi stessi, con la nostra mente, con le nostre fragilità».
«Nei miei versi – continua il
poeta -, le movenze di malinconia e
drammaticità somigliano molto a quelle del film “Le cose che verranno” del
2016. Il filo conduttore è il ragionamento filosofico. La protagonista, sessantenne insegnante di filosofia,
viene abbandonata dal marito, è lontana dai due figli, perde anche la mamma ed
è “licenziata” dalla sua casa editrice… In questo processo di sottrazione, vive
nell’incapacità di reagire, sembra accettare passivamente quello che le accade,
in contrasto con le teorie che ha sempre cercato di insegnare. Le capita ciò
che capita a tanti di noi: per tutta un’esistenza cerchiamo la verità e la libertà
ma, quando finalmente arrivano, non sappiamo reinventarci una nuova vita: ci
tocca fare i conti con una solitudine difficile da colmare, magari perché siamo
avanti con gli anni».
Già,
la maledetta solitudine è un po’ il destino dei sopravvissuti fra tante
macerie, quando si ritrovano ancora coperti dai calcinacci dell’ultimo crollo
subito. «Il “panta rei” di Eraclito – prosegue
l’autore - domina sugli avvenimenti:
tutto scorre, siamo impotenti dinanzi al tempo, ci resta solo la lotta
attraverso desideri e speranze. Eppure, mentre la quotidianità si sgretola davanti
ai nostri occhi, quanto più cerchiamo di ricucirne i pezzi, più sembra sfuggirci
di mano. Può arrivare in nostro soccorso la filosofia applicata, nata in
Germania, che non fornisce nessuna diagnosi o terapia: accompagna invece in un
percorso di riflessione sulla realtà e sulle criticità».
«Il mio libro, come il film, - conclude Stefano
- non ha una “fine”. È destinato a
continuare dentro i lettori. In fondo non è suo compito cogliere una verità
assoluta. “Scintille sotto cenere calda” rappresenta una forma di dialogo con
il lettore, partendo dall’ipotesi che il vero nemico non siano le avversità,
gli altri. L’antagonista più nocivo lo coviamo dentro di noi: è la nostra
mente, quella che dovrebbe soccorrerci e che invece spesso ci fa affondare
ancora di più. Ci trasmette l’ansia, le notti insonni, i malesseri. Perché proietta
i nostri pensieri in un futuro pregno di preoccupazioni e non ci fa cogliere la
voce rassicurante della nostra presenza nel “qui e ora”: il semplice respiro,
che tanto diamo per scontato. Basta sentirlo, osservarlo e, nel fare questo,
lentamente domiamo la nostra mente, costringendola a restare zitta, giusto il
tempo di farci recuperare equilibrio, calma, rilassamento».
Come
già nel primo volume, alle poesie sono affiancate fascinose foto in bianco e
nero, che amplificano la portata dei versi, spesso sviluppando un discorso più
ampio, che conduce oltre. Sono scatti del poeta e, stavolta, anche dello zio, Gianni de Felice, una star indiscussa
del glorioso giornalismo sportivo, oltre che valente scrittore ed eccellente fotoreporter.
La
prefazione è di Raffaele Romano,
Dirigente scolastico. Sue sono anche le annotazioni che aiutano a entrare o a
uscire dai versi, secondo i gusti di ciascuno.
Il
volume è in vendita al prezzo “politico” di 5 euro, a Marano, presso la libreria Romano (corso Umberto I n.
120) e in una delle sopravvissute rivendite di giornali: la storica edicola che
si trova nel palazzo del corso Umberto I n. 50.
Bio
Ma
chi è Stefano Rinaldi? E’ un maranese autoctono, 68 anni, sposato, due figli,
ex impiegato del Comune di Marano: una laurea in legge mai sfruttata, perché
non ha più creduto nelle potenzialità di un impegno nelle forze dell’ordine. Ha
lavorato al Comune di Marano: ha sempre odiato i lecchini e i ruffiani, forse
per questo motivo non ha fatto carriera.
Un decano del giornalismo periodico, che ha sempre predicato la purezza del
linguaggio. Insieme al prof. Raffaele
Romano (bravo linguista e raffinato intellettuale), altro appassionato della
carta stampata, ha dato vita ininterrottamente, per più di dieci anni, al
mensile “IdeaCittà”, poi ha continuato per altri vent’anni, insieme al
giornalista Mimmo Rosiello, con il periodico “L’attesa” (diretto prima da
Angela Mallardo, poi da Raffaele Romano e,
negli ultimi sette anni, da Mimmo Rosiello), due testate che hanno meritato il
credito di tantissimi lettori affezionati e competenti.