Marano, nel 2002 l’ex sindaco Bertini fu rinviato a giudizio per corruzione. Poi venne assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”
Bertini,
in un primo momento, era stato accusato anche di associazione a delinquere di
stampo mafioso, ma tale reato era stato già archiviato in sede di indagine
preliminare
Tutta
l’inchiesta parti dalle dichiarazioni di un pentito
Dal
periodico l’attesa di gennaio 2004
L’inchiesta sull’ex sindaco di Marano Mauro Bertini partì
dalle dichiarazioni di un pentito del clan Nuvoletta, Massimo Tipaldi. Era il
30 marzo del 1999, quando un ragazzo in preda alla paura bussa alla porta della
caserma dei carabinieri di Sapri (in provincia di Salerno). Era appena scappato
da Marano e aveva girovagato per l’Italia, dormendo in albergo e facendo
perdere le sue tracce. Poi l’approdo a Sapri, una breve visita al cognato e la
corsa dai carabinieri.
“Mi chiamo
Massimo Tipaldi, sono un camorrista, ho paura. Mi vogliono uccidere, voglio
collaborare”.
Il pentito viene condotto alla sede del Gruppo Napoli
2 di Castello di Cisterna. Qui, prima inizia a parlare e poi prova a scappare
dalla finestra, chiedendo aiuto; poi si
calma e aspetta il magistrato, infine dice di voler andar via. Insomma, è
agitato, confuso, nervoso. Arriva il pubblico ministero Borrelli della Dda per
ascoltarlo. Tra i tanti argomenti, uno riguarda il Primo cittadino di Marano
Bertini. Tipaldi afferma che Bertini è uomo dei Nuvoletta. Inevitabile, a
questo punto, l’apertura dell’inchiesta e l’iscrizione nel registro degli
indagati. Dopo le dichiarazioni del pentito, Bertini viene pedinato
costantemente, perfino nei suoi viaggi a Gambassi Terme, quando va a fare
visita in famiglia. Tutti i suoi telefoni sono messi sotto controllo. Tutto
alla ricerca di qualche elemento che confermi quanto dichiarato dal pentito.
Alla fine dei due anni di approfondita inchiesta, lo stesso pm Borrelli chiude
l’attività investigativa, cancellando l’imputazione di concorso esterno in
associazione camorristica. Dalla radiografia fatta dai carabinieri, Bertini
esce estraneo a ogni tipo di collaborazione con i clan della camorra. L’indagine
condotta dalla procura antimafia viene chiusa con un’archiviazione completa.
Però, durante gli accertamenti e le intercettazioni telefoniche, viene fuori un
episodio che semina qualche dubbio negli inquirenti: Bertini, nel 1999, aveva
chiesto all’imprenditore Gennaro D’Anania (suo vecchio collaboratore nella
Comunità Artigiana, cooperativa di imbianchini) un prestito di 70 milioni
(vecchie lire), per affrontare una crisi finanziaria nella sua azienda. Il
prestito, regolarmente iscritto in bilancio e restituito dopo poco, accende una
lampadina nella testa dei magistrati, anche perché, contemporaneamente, un
parente del D’Anania aveva ottenuto dal Comune di Marano un’autorizzazione
amministrativa (apertura di una sala giochi) e c’era stata la richiesta per l’allestimento
di un gazebo; inoltre al D’Anania era stata chiesta l’eventuale disponibilità a
collaborare col Comune, per la costruzione di una piscina col project
financing. Gli inquirenti, mettendo in relazione gli episodi, ipotizzano una
connessione tra il prestito e le attività amministrative poste in essere dal
sindaco. Poiché quest’ultime sono regolari dal punto di vista procedurale,
ipotizzano il reato di “corruzione” per atti conformi al dovere d’ufficio”.
Viene chiesto, così, al Giudice per le indagini
preliminari di rinviare a giudizio Bertini. Il Giudice per le udienze preliminari,
dopo un’attenta valutazione, ritiene di consentire il processo. La prima seduta
ha inizio il 25 marzo 2003; l’ultima il 29 gennaio 2004 con l’assoluzione di
Bertini.
In
sequenza alcuni articoli riportati all’epoca dal periodico l’attesa