Iscrizione
presente sull’architrave della Congrega dell’Assunta.
Testo originale in
latino epigrafico:
EXTRUCTA JAM
PRIMUM ÆDE VIRGINI IN CŒLUM ASSUMPTÆ SACRA AD ECCLESIAM SANCTÆ MARIÆ OMNIUM
GRATIARUM SUB ANNO MDCXX QUA DEINDE PER IGNEM DISJECTA IN PERVIGILIO DOMINICÆ
NATIVITATIS MDCXCVI NOVAM DENIQUE HIC ANNO MDCCCXVIII IN MELIOREM FORMAM
REDIGERE STUDUERUNT.[1]
Traduzione
italiana in lingua corrente:
EDIFICATA UN
TEMPO UNA CAPPELLA DEDICATA A MARIA VERGINE ASSUNTA IN CIELO PRESSO LA CHIESA
DI MARIA SANTISSIMA DI TUTTE LE GRAZIE INTORNO ALL’ANNO 1620 ED ESSENDO ESSA
ANDATA DISTRUTTA A SEGUITO DI UN INCENDIO NEL GIORNO DELLA VIGILIA DELLA
NATIVITÀ DEL SIGNORE DELL’ANNO 1696, I CONFRATELLI (della Congrega) DECISERO DI
EDIFICARE QUI UNA NUOVA CAPPELLA A PROPRIE SPESE NEL 1701 E SI IMPEGNARONO A RENDERLA
PIÙ BELLA NELL’ASPETTO ESTERIORE NELL’ANNO 1818[2].
Questa
iscrizione in latino epigrafico è presente ancora oggi, benché annerita dal
tempo e dallo smog, sulla bella lapide di marmo posta in capo alla porta che rappresenta
l’ingresso principale per i fedeli diretti verso l’interno della Chiesa della
Congrega dell’Assunta[3],
costruita a poche decine di metri di distanza da quella primitiva, ospitata
nella Chiesa-madre di Santa Maria delle Grazie, che svolge effettivamente, e
fin dalla seconda metà del XVI secolo, le funzioni di Tempio centrale del Paese,
ospitando, da oltre quattro secoli, la Parrocchia del Santo Patrono, intitolata
a San Giacomo Apostolo Maggiore.
La
presenza della Congrega risulta attestata già agli inizi del XVI secolo[4],
quando un gruppo di fedeli si riuniva in una piccola Chiesa, in realtà, una
semplice Cappella, edificata nella parte centrale del borgo e dedicata alla Madonna. Infatti, quando, durante la Santa
Visita Pastorale compiuta tra il 16 e 17 agosto 1542 dal Vescovo di Napoli,
Cardinale Francesco Carafa, a Calvizzano, fu accertato che l’antica sede parrocchiale
di San Giacomo, che sorgeva, come d’abitudine presso gli antichi, alla periferia
del borgo, lungo la strada che collegava il paese con Marano e Mugnano e nota
ancora oggi come “Via di Santo Jacolo” o “Via di Santo Jacono”, cioè “Via di San
Giacomo”[5],
non offriva più adeguate condizioni di sicurezza per lo svolgimento delle Sacre
Funzioni e del culto, si rese necessario trasferire il titolo parrocchiale in
un’altra sede, con maggiori garanzie di affidabilità. Dagli Atti scritti di
quel remoto evento risulta che il Presule, allora, andò ad ispezionare una
Chiesetta, abbastanza centrale rispetto al centro abitato e, soprattutto, più
sicura staticamente ed in grado di garantire la conservazione e l’inviolabilità
delle Sacre Specie. Tale Santa Visita consentì di verificare che questo
Tempietto, dedicato a Maria, onorata
col titolo di Annunziata[6],
offriva le condizioni ottimali per uno spostamento in tempi ravvicinati, pur
essendo poi necessari dei lavori di ampliamento, per renderla effettivamente adeguata
allo scopo. Cominciò, così, una plurisecolare azione di ingrandimento, abbellimento
ed arricchimento della Chiesa-madre, con lavori che sarebbero durati parecchi
decenni e rifiniti del tutto solo tre secoli e mezzo dopo, addirittura nella
seconda metà dell’Ottocento.
La “Confratanza”[7],
originariamente, si richiamava alla venerazione mariana di un gruppo che si
riuniva a pregare la Vergine sotto
il titolo di Maria, Madre della Grazia,
cioè di Cristo stesso, e perciò dispensatrice
di Grazie; presto, tuttavia, con la costruzione della più ampia Chiesa
dedicata, questa sì, a Santa Maria delle
Grazie, l’associazione fra i laici finì per distinguersi da quella che era
l’Opera laicale che stava provvedendo ai lavori di costruzione e di
amministrazione del nuovo tempio di Santa Maria delle Grazie.
L’aggregazione
di fedeli, che già operava unitariamente da tempo, scelse allora di riconoscersi
col nome di “Congrega dell’Assunta”[8].
Accertate le
conseguenze devastanti dell’incendio che, la vigilia di Natale del 1696, aveva ridotto
in cenere e reso impraticabile l’Oratorio, dove fino ad allora, si riunivano i
“Fratelli”, fu giocoforza costruire una nuova sede, che consentisse loro di
riunirsi, di amministrare cespiti specifici, di far celebrare riti destinati ai
confratelli, seppure aperti alla popolazione in occasioni particolari.
Ecco allora che
gli aderenti alla Congrega dell’Assunta si diedero un ordinamento che stabiliva
regole, privilegi ed oneri, si autotassarono, scelsero un gruppo dirigente (i
“Priori”, i “Primi fra i Fratelli”, i responsabili dell’Associazione),
trovarono un piccolo appezzamento di terreno abbastanza vicino alla
Chiesa-madre parrocchiale ed avviarono presto la costruzione della Chiesa dell’Assunta.
Questa risulta
già eretta nelle strutture nel 1701 e consacrata ufficialmente al culto il 21
ottobre 1703.
Dovette essere,
all’inizio, molto spartana: era costituita da una sola navata, con l’abside in
fondo al lungo locale, che si concludeva con un semplice altare di pietra, addossato
alla parete perimetrale, così da imporre al sacerdote, secondo i canoni architettonici,
ma anche rituali, vigenti all’epoca, di condurre l’azione liturgica voltando le
spalle ai fedeli. Questo primitivo altare per la celebrazione della Santa Messa
fu obbligato, per ragioni economiche, ad attendere il 1792 per essere
trasformato, una prima volta, con l’abbellimento di marmi, pur rimanendo
nell’identica posizione. L’ammissione ufficiale del valore dell’opera e la
gratitudine per l’impegno profuso dai Priori, la cui carica era comunque periodica
ed elettiva[9], portò
ad un solenne riconoscimento: il 17 agosto dell’anno 1813, una Bolla
papale dichiarava quell’altare “privilegiato perpetuo”. Nel 1886 la Chiesa
della Congrega assunse l’aspetto che ancora oggi conserva, con lo spostamento
in avanti di alcuni metri dell’altare, così da staccarlo dal muro, abbellendolo
con marmi policromi. In seguito all’introduzione del nuovo rito della
celebrazione della Santa Messa, alla metà degli anni Settanta del Novecento,
con il Sacerdote che rivolge il volto verso il popolo di Dio, fu creato un secondo
altare, non particolarmente spazioso ed un po’ ridotto, per consentire un più
agevole passaggio attorno ad esso durante le azioni liturgiche e per
raggiungere più facilmente la sacrestia. Quest’ultima, fin dall’inizio, rimase ubicata
in un ridotto corpo di fabbrica sulla destra, guardando l’altare, in
corrispondenza speculare con la porticina di accesso secondaria, citata più
sopra. Tale Sacrestia costituiva, in realtà, parte integrante di una minuscola Chiesa
dedicata a San Cristoforo, che risaliva ad un’epoca antecedente il 1542. Essa,
tenuta aperta al culto grazie ad un piccolo legato, lascito di un’epoca ancora più
antica, rimase, a metà del Seicento, senza rendite ed ormai ridotta in
condizioni non più dignitose, diroccata e quasi cadente com’era, al punto da
rappresentare un immediato pericolo per l’incolumità del popolo, per cui fu definitivamente
abbandonata a se stessa nel 1677. Un tentativo di ripristino per la riapertura
fu fatto nel 1704, ma presto ripresero le infiltrazioni d’acqua, così da
ritornare pericolante nel 1885, quando il Consiglio Comunale di Calvizzano, con
un’Ordinanza datata 25 Maggio, per motivi di sicurezza pubblica, ordinò la
demolizione della sua tettoia e la puntellatura delle pareti, senza tuttavia ricostruirla
né ridestinarla all’uso. I Fratelli della Congrega, in vista della necessità di
offrire maggiori spazi alla Chiesa dell’Assunta, sottoponendosi ad una spesa
non indifferente per l’epoca (duecento lire) ne domandarono l’uso e ne
rilevarono l’acquisizione dall’Amministrazione Comunale cittadina, che risultava
sua proprietaria, e con tale somma intese recuperare almeno le spese vive
sostenute per la demolizione delle parti pericolanti. La Congrega acquisì, in
tal modo, una sorta di “ius patronatus”,
il diritto all’uso, più che la proprietà reale, aggregando all’edificio
principale tale piccola dipendenza, che conferiva e tuttora assicura maggiore
autonomia di spazio nel corpo centrale della Chiesa[10].
Fu rimossa, in
occasione dei lavori effettuati per realizzare l’altare “basilicale”, la balaustra in marmo, che separava, ormai in modo
eccessivamente costringente, la zona destinata ai fedeli da quella dei Ministri
officianti, presente dalla fine dell’Ottocento, quando era stata arricchita di
marmi intarsiati, mentre erano già stati rimossi e sostituiti i vecchi mattoni
di cotto rosso[11] del pavimento,
con mattonelle marmorizzate, messe in posa quando, in una drastica
trasformazione ambientale, si eliminarono gli antichi scranni, a schiera, di
legno, che rivestivano, per poco più di un terzo, le due pareti laterali, nell’area
più vicina alla porta principale, lungo la navata centrale. Essi erano
riservati ai Fratelli della Congrega, con posti definiti, tanto che
presentavano una “tasca” con alzata, sempre lignea, per riporvi libri personali
ed altro materiale devozionale[12].
Un pulpito di
legno, con colonne in finta decorazione marmorizzata, cui si accedeva mediante
una minuscola scala a chiocciola esterna, consentiva di effettuare prediche ed
allocuzioni, in un’epoca in cui mancava ancora l’amplificazione elettronica della
voce nel locale.
Rifatto il
pavimento, eliminati gli scranni fissi, introdotta la tecnologia di amplificazione
della voce mediante microfoni ed altoparlanti, “girato” l’altare, non fu
ritenuta ulteriormente necessaria né utile la presenza del pulpito, che,
pertanto, venne rimosso del tutto, non avendo, ad ogni modo, particolare valore
né significato artistico e tantomeno liturgico/pratico, in considerazione
dell’opportunità di accrescere la disponibilità di spazio per i fedeli.
Sulla parete
sovrastante l’antico altare in pietra fu creata ab antiquo una nicchia che ospitò presto un’espressiva immagine di
Maria Assunta in cielo, avente ai piedi piccoli Angeli a sostenerla, in
atteggiamento orante[13].
Ai due lati di
essa, dopo la trasformazione dell’altare primitivo, in due edicole lignee,
trovarono ospitalità le belle statue di Sant’Antonio da Padova e di San
Giuseppe, Padre putativo di Gesù, entrambe arricchite dall’immagine del
Redentore Bambino, in scala di grandezza[14].
Lungo la navata
centrale, originariamente e per un lungo trascorrere di tempo, ci fu unicamente
una nicchia, poco discosta dall’altezza della balaustra, sul lato sinistro, in cornu Evangelii: essa accoglieva la
statua di San Ciro Eremita Medico e Martire, la cui devozione locale è stata,
come rimane tuttora, vivissima presso il popolo calvizzanese, probabilmente
anche per i legami tenuti localmente nei secoli con l’Ordine dei Gesuiti[15].
Al Santo, invocato da sempre per il conforto ed il soccorso degli ammalati, il
popolo di Calvizzano ha sempre riservato una devozione speciale: a lui vengono
attribuite intercessioni per guarigioni e grazie, e ciò è ben attestato dagli ex-voto e dagli altri oggetti di valore
a Lui donati negli ultimi secoli, che sono stati sempre unicamente esposti in
occasione della ricorrenza della Sua festa annuale e delle processioni per le
vie del Paese.
Le altre edicole
devozionali create nel tempo (tranne le due nicchie destinate ad accogliere le
statue di Sant’Antonio e di San Giuseppe, rimosse dalla parete sovrastante l’altare
maggiore) sono state realizzate progressivamente e senza un particolare pregio
artistico qui specificamente rilevabile. Così come sono non di particolare valore
storico/artistico/culturale le immagini di pittori dai nomi non celebri né
realizzate con tecnica notevole, che attualmente abbelliscono, all’altezza dei
finestroni, le pareti laterali della navata centrale. Sono semplici
rappresentazioni devozionali, legate a tradizioni locali (i quattro Evangelisti,
Matteo, Marco, Luca e Giovanni; San Giacomo Apostolo, San Gennaro, San Michele
Arcangelo, San Raffaele Arcangelo). Ai due lati del portone d’ingresso
campeggiano, nello stesso stile delle immagini qui appena descritte, le icone
di San Vincenzo Ferreri e Santa Teresa del Bambino Gesù. Sull’arco posto quale
copertura del cupolino e sovrastante l’altare storico, c’è una scritta centrale,
che ricorda che la Chiesa fu restaurata dai Priori nel 1989, con i nomi dei responsabili
pro tempore. C’è anche la firma/sigla del pittore Salvatore Alfè, che restituì vivacità
di colori alle immagini in quell’anno (“1989”). Sulle due metope che occupano
gli spazi in alto, in direzione dell’altare, due Angeli: uno con turibolo oscillante,
l’altro con una Particola scintillante. Anche le immagini che accompagnano lo
sguardo del fedele che, dall’ingresso, va verso l’altare rappresentano scene
“parlanti”: al centro c’è un’icona dipinta “a fresco” e sviluppata in
lunghezza, della Vergine Maria Assunta nel Cielo, con gli Angeli che la
sostengono, mentre gli Apostoli osservano meravigliati e turbati la scena,
trattenendo fra le mani qualche Suo indumento terreno[16].
Ci sono, poi, lungo la navata centrale, altre due immagini, poste una a capo della
precedente e rivolta verso l’altare (Maria, sorpresa nella sua semplicità verginale,
che riceve l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele, presente una Colomba, lo Spirito
Santo, in alto), l’altra, alla base, rivolta verso l’ingresso, con la solenne incoronazione
della Vergine Assunta in Cielo da parte del Figlio, alla presenza del Padre e
sotto la sfolgorante luce della Terza Persona della Santissima Trinità,
rappresentata, secondo una sperimentata tradizione, come una colomba dalle ali
spiegate.
La statua centrale
dell’Assunta, che attira lo sguardo di chi entra in Chiesa, e forse ancor di
più quello di chi, semplicemente, passa davanti alla porta spalancata lungo l’attuale
Via Conte Mirabelli, così come, nel remoto passato, si faceva lungo la “Via Maestra”, è circondata da una scena
paradisiaca, con Angioletti danzanti festosamente.
Le colonne, gli
archi e altri spazi disponibili nell’edificio sono generalmente abbelliti e
coperti da festoni floreali, che hanno perduto il loro effetto “a grottesca”, per assumere un
significato di gioiosa memoria del profumo che emana Maria, “Vergine del Sì”.
Un piccolo Coro,
realizzato in legno, è posto sul portone d’ingresso e, da esso, l’organista,
seguendo con lo sguardo l’azione liturgica, accompagnava, un tempo, puntualmente,
le funzioni e guidava i canti dell’assemblea. In realtà, è sempre mancato l’organo
a canne, sostituito da una essenziale pianola, che riusciva, in ogni caso, a
rispondere ai bisogni, vista la superficie limitata dell’edificio.
Accanto
all’ingresso, un minuscolo ambiente consente ancora oggi di suonare le caratteristiche
campane, allocate in una ridottissima torre campanaria, richiamanti il popolo
di Dio a raccolta per la Santa Messa e le altre funzioni.
Ecco quanto
scriveva, a questo proposito, nel suo volume su Calvizzano il Professor Don
Raffaele Galiero: <>[17].
Le immagini qui
descritte dal professore Galiero sono scomparse, particolarmente per il tardivo
rifacimento del soffitto esterno, le cui tegole spesso erano sconnesse e consentivano
all’acqua piovana di penetrare all’interno, provocando ripetuti danni. Come è
stato più sopra accennato, la più recente ridipintura con pulitura delle icone
rappresentate sul soffitto e sulle pareti, risale a qualche decennio fa, precisamente
al 1989, e vi si dedicò, già avanti negli anni, un artista contemporaneo del
circondario, non altrimenti noto per fama né per rinomanza particolare:
Salvatore Alfè.
Non è possibile
congedare queste povere notizie storiche e cronachistiche, la cui ricerca e la
cui stesura sono state dettate unicamente dall’affetto per un “luogo del cuore”
in chi, da sempre, anche per tradizione familiare, è stato abituato ad ammirare
e a frequentare la Congrega dell’Assunta, senza una speciale annotazione per la
bella immagine, seppur ingenua nella rappresentazione iconica, realizzata in
mattonelle policrome (“riggiole
napoletane”), situata sulla facciata della Chiesa, al di sopra della porta
d’ingresso e a coronamento illustrativo della sottostante lapide marmorea descritta
all’inizio di queste pagine. In essa c’è la presentazione di Maria Assunta in Cielo che sembra
volteggiare sulle nuvole, circondata da una corona di Angeli che la sollevano
e la rendono leggera, col capo
illuminato dalle tradizionali dodici stelle, mentre rivolge lo sguardo verso il
basso, verso la povera umanità. Qui, ai lati, uno a sinistra e l’altro a
destra, due Confratelli della Congrega, configurati in una movenza di
implorazione, indossano il tipico abbigliamento che li distingueva e li caratterizzava:
in modo particolare, quando accompagnavano un defunto, già iscritto alla Confraternita,
durante le esequie ed i funerali, fino al Camposanto, manifestando, perfino
scenograficamente, il senso di appartenenza ad un gruppo e ad un costume esistenziale
ritenuto identitario, al punto da non rendere più necessario mostrare il volto,
coperto da un ampio cappuccio bianco, che lasciava libere unicamente le fessure
per gli occhi, certamente con l’intento di significare la loro fiducia
nell’abbandono filiale fra braccia di Maria Assunta in Cielo, che, nell’immagine,
le stende in tutta la loro ampiezza, per accogliere i fedeli: particolarmente
quelli che si affidano a Lei.
Gruppo di ricerca parrocchiale: prof. Luigi
Trinchillo, don Ciro (parroco chiesa Santa Maria delle Grazie, meglio
conosciuta come San Giacomo), Maria Luisa Sabatino (architetto), Lina Feola
(impiegata)
[1]
DISJECTA da intendere come DISIECTA, cioè andata distrutta. Lo stesso discorso
va fatto per JAM per IAM. Da notare anche che il vocabolo DOMINICÆ appare
corretto direttamente sul marmo da parte dello scalpellino, dal momento che si
scorge con evidenza in sotto/scrittura il termine DOMINICE, senza il necessario
dittongo Æ.
[2] “Costruita già prima una Cappella, sacra all’Assunta in
Cielo, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie nel 1620 ed essendo questa
andata distrutta a causa dell’incendio la vigilia del Natale (1696), i Fratelli
pensarono di edificare qui una nuova Chiesa a proprie spese nel 1701, riducendola
in forma migliore nel 1818”. Questo il testo integrale proposto nel libro del
1931 del primo vero storico calvizzanese, il compianto Professore Don Raffaele
Galiero (“Calvizzano
dalle remote origini al IX anno del Littorio”, Stabilimento Tipografico
Cav. Pasquale Rocco, San Giovanni a Teduccio, 1931, a pagina 109).
[3]
In realtà c’è, da sempre, un’altra porticina secondaria che affaccia
all’interno di una proprietà condominiale, un vicoletto a fondo cieco,
utilizzata quale uscita di sicurezza e per usi pratici e/o di pulizia, oltre
che per consentire un’aerazione migliore, in caso di notevole afflusso di
fedeli e visitatori, soprattutto d’estate, lungo la navata centrale.
[4] Il dato è attestato dalle
relazioni scritte conclusive delle Sante Visite che il Vescovo di Napoli
effettuava periodicamente nei centri di pertinenza della diocesi, per
verificare l’andamento della cura delle anime ed il rispetto delle norme
canoniche. Un apposito gruppo di Visitatori, al seguito del Presule, ogni
volta, redigeva ed aggiornava anche lo stato dell’economia, dei benefici, degli
appannaggi legati a lasciti per la celebrazione delle Sante Messe, prendendo
nota della presenza di oggettistica sacra, di reliquie riconosciute, validando la
tenuta ottimale dei registri, ecc. In pratica, era una forma di controllo
dell’inventario, ma soprattutto una verifica sull’applicazione, in periferia,
delle disposizioni emanate dai Superiori in materia di liturgia, rito,
conformità di comportamento del clero e del popolo di Dio. Fu il Concilio di
Trento (1545-1563) a rendere obbligatorie e vincolanti queste disposizioni,
fino ad allora affidate alla disponibilità dei singoli parroci e Vescovi. Un
esempio per tutti: molta attenzione veniva riservata alle modalità di
conservazione delle Sacre Specie, sia dal punto di vista della sicurezza che
dell’igiene.
[5] Risalente a circa un
secolo prima dell’anno Mille.
[6] In realtà, il testo della
relazione dei funzionari che stilarono il verbale di quella Santa Visita non
riporta esplicitamente il titolo mariano dell’Annunziata, ma è accertato che tale Chiesetta era, all’epoca, l’unica collocata nel Paese ed in quella
posizione strategicamente centrale.
[7] Con questo termine ormai
desueto (“Confratanza”, ovvero una
voce più ridondante e meno comune di “Confraternita”),
si indicava un’associazione di laici governata da una regola e da uno statuto
interno, entrambi elaborati dagli stessi “confratelli” aderenti. Essa era
dotata di personalità giuridica riconosciuta dalle Autorità ecclesiastiche e
civili, dal momento che aveva per fine l’elevazione spirituale degli iscritti,
mediante pratiche di pietà, di carità, di culto, ed agiva come “supporto
laico”, teso a provvedere alla manutenzione ordinaria, alla cura straordinaria
e ai necessari finanziamenti per le funzioni organizzative devozionali,
soprattutto esterne. Ad esempio: manifestazioni periodiche dei “confratelli”
laici, organizzazione di processioni, celebrazioni riservate al chiuso e
all’aperto, in occasione di ricorrenze particolari, locali o generali. Quasi
sempre tali associazioni erano costituite con un formale decreto dell’Autorità
religiosa, trasmesso anche a quella civile, per garanzia e trasparenza. A
Calvizzano, i “Fratelli” avevano addirittura un abito che li distingueva, in
particolari occasioni e circostanze, quali, ad esempio, i funerali degli
iscritti, soprattutto se indigenti, cui provvedeva la Confratanza stessa con
piccole quote volontarie accumulate nel tempo, facendosi completamente carico
di tutta la cerimonia. Questo, nel caso di iscritti bisognosi e/o in difficoltà
economica, garantiva esequie dignitose, pur se estremamente sobrie. Accadeva,
così, che la bara del trasporto del feretro al Camposanto fosse utilizzata più
volte e sostituita da un’altra, essenziale e meno pregiata, con la quale
avveniva la singola inumazione. Il termine lessicale moderno che meglio esprime
questo tipo di associazione e lo ricorda da vicino è proprio “Congrega”.
[8] Da considerare la
straordinaria particolarità della scelta del titolo mariano in epoca così
antica presso il nostro paese: infatti, solo dalla metà del XX secolo il
Pontefice Pio XII proclamerà dogmaticamente tale verità di fede; eppure, la religiosità
popolare da sempre attribuiva a Maria questa denominazione, che La rende prima fra tutte le creature, per singolare privilegio ed in virtù del
ruolo da Lei avuto nella Redenzione.
[9] Molto spesso tale carica
passava, quasi per cooptazione, di padre in figlio, così da garantire
continuità ed operatività alla Congrega.
[10] Utilizzo l’antica formula
che mi sembra più appropriata nello specifico, secondo la norma istitutiva
approvata dal papa Alessandro III (1159-1181), che concesse, a coloro che si
interessavano di restaurare chiese, conventi “et similia”, il cosiddetto “jus
spirituali annexum”, per favorirne la conservazione e proteggere tali
edifici nel tempo, in cambio di benefici, quasi esclusivamente spirituali, per
coloro che lo detenevano. Aboliti, in seguito, i diritti della feudalità privata,
il diritto di patronato fu esteso
alle Comunità parrocchiali e alle Congreghe che lo richiedevano, anche mediante
convenzioni specifiche con le Diocesi. In ogni caso, lo jus patronatus è ormai ridotto a puro privilegio nominale.
L’attuale legislazione, infatti, sia laica che ecclesiastica, vigente a partire,
prevalentemente, dagli inizi del XX secolo, lo ha quasi del tutto reso disusato
e sorpassato. E, tuttavia, il riferimento all’assegnazione, da parte
dell’Autorità civile alla Congrega dell’Assunta della annessa
Chiesetta/Cappella un tempo dedicata a San Cristoforo, titolo non trasferito
altrove, per consentire la realizzazione della Sacrestia, col semplice rimborso
delle spese vive sostenute per la “messa in sicurezza” del suolo, rende, nel
nostro caso, credibile che si sia trattato di una concessione perpetua d’uso, più che di una vera e propria forma di
alienazione definitiva.
[11] Belli ma un po’ troppo
consumati dall’uso e con evidenti sbrecciature, che attestavano i danni subiti
nel tempo.
[12] Chi scrive i presenti
appunti ricorda di aver visto questi scranni ancora negli anni Sessanta del
‘900, divenuti ormai preda di tarli e con libri ridotti in trucioli,
probabilmente più dai topi che da un uso intenso e protratto nel tempo.
[13] La bella icona della
Vergine Assunta in Cielo fu donata, all’inizio del XVIII secolo, probabilmente
nel 1718, da Giovanni Velli, un fedele devoto della Madonna e benestante
mecenate del tempo, imparentato, per legame matrimoniale, con la Famiglia
Mirabelli. Di tale personaggio, purtroppo, si è persa, a livello locale, la
memoria storica corrente, mentre la ricevuta del versamento effettuato, tramite
il Banco di Napoli, a favore dell’artista che realizzò l’opera, esiste tuttora.
[14] Di questi due Santi si
conservano delle preziose reliquie, debitamente autenticate nel 1712, come attestato
dagli Atti certificati della Santa Visita svolta in quell’anno dal Cardinale L.
Ruffo Scilla.
[15] Da notare che la statua
raffigurante San Ciro Eremita Medico e Martire, quella di Sant’Antonio da
Padova e quella di San Giuseppe (come vari altri oggetti sacri e di uso
liturgico, appartenenti al patrimonio storico della Congrega, ad esempio, due
antichi Ostensori) sono attualmente ospitate nella Chiesa parrocchiale di Santa
Maria delle Grazie, trasferitevi per consentire la continuità della fruizione
della loro vista e della devozione loro destinata da parte dei fedeli, ma
soprattutto per preservarle da non inverosimili pericoli di furto e di dispersione
e per meglio conservarle, in vista della (si auspica) prossima riapertura al
culto della Chiesa dell’Assunta, una volta risolte le problematiche legate
all’agibilità e alla sicurezza statica dell’edificio e degli altri ambienti
annessi.
[16] La scena riprende in modo
semplicissimo, quasi copia conforme, la stessa icona raffigurata lungo la
navata centrale della nostra Chiesa di Santa Maria delle Grazie: naturalmente,
la tela del Malinconico è un vero capolavoro, inquadrabile nell’ambito dello
stile caravaggesco puro, qui, invece, ci troviamo di fronte non solo ad un
tardo rifacimento, ma, addirittura, ad un rifacimento elementare, al quale, in
nessun caso, si può attribuire un valore raffinato né un’ispirazione artistica
elegante, ma solo una valenza devozionale.
[17] Rev. Don Raffaele
Galiero: “Calvizzano dalle remote origini
al IX anno del Littorio”, Stabilimento Tipografico Cav. Pasquale Rocco, San
Giovanni a Teduccio, 1931. Il testo riportato è alle pagine 109-110.