La rivoluzione che non c’è


Ma come è attuale quest’articolo post elezioni che pubblicammo a giugno 2013. All’epoca, però, come immagine di copertina mettemmo Papa Francesco, con l’auspicio che pure dalle nostre parti sarebbe accaduta una mini rivoluzione. Non sortì alcun effetto, anzi scoppiò il putiferio: arrivarono oltre 50 commenti, tra cui quello di Antonio Mauriello, presidente del Consiglio comunale, oggi candidato sindaco in pectore alle prossime amministrative: “Mi sembra veramente di pessimo gusto – scrisse Mauriello - associare l'immagine del Santo Padre a commenti che NULLA hanno a che vedere con il credo Cattolico ed offendono, gratuitamente, i candidati presenti nelle diverse liste ed ancor più i Cittadini di Calvizzano.
Purtroppo, dobbiamo constatare, ancora una volta, la strumentalizzazione nel campo dell'informazione che certi "personaggi" hanno praticato in campagna elettorale e continuano, speriamo ancora per poco, a praticare ancora oggi”.
 Noi siamo ancora qui, ma l’autorevole esponente politico locale  la pensa ancora allo stesso modo?

Ecco l’articolo datato 2 giugno 2013      

Da un’analisi più approfondita del risultato elettorale, al di là di chi ha vinto (al quale facciamo gli auguri di buon governo) e di coloro che hanno perso (per i quali si spera facciano un’efficace opposizione), emerge un dato incontrovertibile: Calvizzano è un paese totalmente da rifondare. Prima civilmente e culturalmente e, poi, politicamente. Insomma, occorre quella rivoluzione che non c’è, ma che non c’è mai stata e che, per il momento, resta solo un sogno di pochi. Da queste parti, purtroppo, il voto continua a non essere considerato uno strumento di democrazia, ma un semplice optional. A pochi importa se il prescelto da votare ha sempre governato male, riducendo il paese allo sbando; se non ha mai aperto bocca in consiglio comunale; se non conosce la differenza tra una delibera e una determina; se è abituato a fare continui salti della quaglia, passando con nonchalance dai banchi dell’opposizione a quelli della maggioranza; se ha compiuto gesti politici eclatanti (come, ad esempio, quello di gettarsi nelle braccia dell’avversario di sempre pur di vincere le elezioni); se è chiacchierato sotto tutti i punti di vista e conserva qualche scheletro nell’armadio.
Io voto Tizio perché me lo ha detto suo zio, un potente molto rispettato a…”.
Quest’anno voto Caio: mi ha assicurato che mio figlio andrà a lavorare nell’impresa di un suo caro amico”.
Io aggia vutat a Sempronio, chill è o nipot carnal e mio marito e nun c’putev dicer no!”
Ma quello è uno spregiudicato: lo sanno tutti.
Non importa: Ognuno s’ vot o mariuol suoie”.
Queste sono solo alcune delle più significative frasi che si sono ascoltate, a detta di molti, durante questa campagna elettorale fatta di veleni e accuse al vetriolo e che non hanno bisogno di essere commentate. Per non parlare dei fenomeni di malcostume: probabile compravendita di voti; distribuzione pacchi alimentari e buoni spesa, come avveniva ai tempi di Lauro; lavori che sarebbero stati effettuati gratis da imprese il cui titolare sponsorizzava un suo parente candidato;  rassicurazioni sui concorsi che verranno.
Dove c’è terreno fertile per una subcultura dominante, purtroppo accade di tutto. Cosa fare per cambiare rotta? Bisogna ripartire da zero, per creare i presupposti di una vera rivoluzione culturale. Per raggiungere l’obiettivo, serve l’apporto di tutte le persone di buona volontà  che sentono questo bisogno primario. Occorre, dunque, un lavoro certosino che duri 365 giorni all’anno e non  solo i due-tre mesi che precedono le elezioni. C’è bisogno di un lavoro di ascolto del territorio che servirà, poi, a tradurre in progetto le proposte più interessanti e utili. Cosa che dovrebbero fare i partiti, che, però, da queste parti non esistono più, neanche quelli che vanno per la maggiore in campo nazionale. Quindi ben vengano associazioni e movimenti che hanno voglia di fare. Dulcis in fundo,  serve, comunque, una buona dose di coraggio per attuare tutte le forme pacifiche di proteste immaginabili, capaci di apportare un ritorno utile alla città.   

           


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