Curiosando nei vecchi documenti di Marano: i tormenti di un sindaco tra donnine allegre e benpensanti

Le storie che lo storico Giuseppe Barleri inviava al periodico “L’attesa”



Prostitute. Tutto il mondo è paese. Anche a Marano ce ne sono state “di” ogni età e “in” ogni età.
Nel 1659, Carolina Pietraspaccata, meretrice, aveva ottantadue anni quando fu sorpresa a compiere atti di libidine “irripetibili” con Jovanni Battista, marito trentenne di Zofia Di Somma.
E tra i clienti ci sono stati anche monaci e preti. Nel 1753 il notaio Paolo Quarelli annota: “Il signor Andrea Padiglione, affittatore della masseria del Castello (Castello Scilla) riferisce che Caterina la rossa, della Starza, l’ha vista entrare di notte e uscire di mattina dalla stanza dei sacerdoti Don Agostino Grasso e Don Leonardo Tufo che abitano in detto castello della signora duchessa della Guardia…”. Inutile chiedere Caterina “la rossa” cosa facesse in quelle notti con i due preti. Di certo non pregava nessuno dei tre.
In ogni caso, il difficile rapporto di buon vicinato tra prostitute e “morigerate” madri di famiglia è andato avanti sempre in modo traumatico. Nel 1841, la tensione si fece enorme. Quell’anno era iniziato proprio male per il sindaco Gennaro Di Lauro. Non passava giorno senza che da parte di “onesti cittadini, e particolarmente dal signor parroco” non gli pervenissero sdegnate lettere che si concludevano regolarmente con la richiesta di por fine  “ al libertinaggio che in modo particolare si diffonde e fomenta per opera specialmente di due famiglie straniere, da qualche tempo qui stabilite, che esercitano pubblicamente e in modo scandaloso il meretricio”.
Insomma, dall’inizio dell’anno due famiglie esercitavano la prostituzione traendone grossi guadagni. E chi rischiava di metterci le penne era lui, il sindaco don Gennaro. Il poveretto sapeva che contro le prostitute non poteva fare nulla e che non c’era alcuna legge da impugnare , perché la prostituzione non era reato. Né poteva mettere, come suggeriva qualche sposa “tradita”, i carabinieri davanti a “quelle” porte per dissuadere gli infuocati clienti. Intanto i mesi passavano e le proteste aumentavano. A don Gennaro la cosa cominciava a dare fastidio. Non poteva fare arrestare le prostitute, ma non voleva nemmeno passare per loro protettore. Del resto nuove elezioni erano alle porte e non voleva rischiare di non essere rieletto per colpa di qualche “donna allegra”. E poi, in giro si raccontava che tra i clienti abituali di quelle due famiglie c’erano anche alcuni suoi assessori. Cosa sarebbe successo se la notizia fosse arrivata alle loro “brave”mogli, tanto “morigerate e timorate di Dio”?
Insomma, occorreva decidere subito, senza continuare a fare il Ponzio Pilato della situazione. E il 5 settembre, finalmente,decise. Quel giorno riunì il Consiglio comunale e, parlando di “evento memorabile” e di “pacificazione generale” riuscì a far approvare all’unanimità una delibera con la quale sembrò aver riportato la pace in paese, reso felice il parroco e restituito i mariti alle giovani spose. Nello stesso tempo sembrava anche aver lasciato liberi i maschi di continuare a frequentare le prostitute, che da quel momento furono “solamente” obbligate a svolgere il loro mestiere in un luogo più appartato.
“…Sebbene intorno al meretricio non esiste speciale legge che proibisce l’esercizio di questo infame mestiere, pur nondimeno diversi espedienti il Governo ha nelle circostanze adottato onde allontanare il più che fosse possibile il pubblico scandalo e la Sifilide, retaggio ordinario di chi a tal vizio si abbandona…Che volendo secondare le mire del Governo si propongono due mezzi. Il Primo, di espellere dal Comun le due famiglie estranee che venuta una da Gragnano, l’altra da Afragola hanno con la loro sfrontatezza non solo demoralizzato la gioventù e propagato il veleno venereo, ma hanno servito d’incentivo diverse donne di imitarle. Il Secondo, non permettere che donne dedite a un tal detestabile traffico siano stabilite in tutte le piazze dell’abitato, ma riunite fossero in un lato di esso soltanto, ove meno avesse luogo lo scandalo pubblico… Pertanto si stabilisce: Primo, doversi espellere dal Comune, le famiglie straniere (madre e figlie) denominate D’Amato e Del Prete, Fusco e Vuolo. Secondo, che tutte le donne che vogliono esercitare il mestiere di meretrice devono abitare nei vicoli superiori della Starza e non altrove. Quelle che non ubbidiscono a tali disposizioni, siano cacciate fuori di casa con la forza”.
Ma non ci furono né esili né deportazioni forzate perché, grazie ai buoni uffici di alcuni assessori (forse “vecchi clienti”), le due famiglie non furono più espulse da Marano; né, del resto, si trovò una sola donna da “deportare” sulla Starza, perché chi faceva la prostituta, ovviamente, non andò mai a dichiararlo al sindaco.     
         


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