Sin da piccolo sono
venuto a conoscenza di questa particolare attività, in quanto una famiglia di
pescatori, abitava nello stesso palazzo-cortile, in via Molino, dove
risiedevano i familiari di mio padre.
Lui si chiamava Raffaele Pezzurro
Lui si chiamava Raffaele Pezzurro
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Raffaele Pezzurro |
e sua moglie Emilia Salvo, che veniva
però chiamata Meliella, una grande lavoratrice con occhi azzurri
bellissimi, tanto che nella mia infantile fantasia pensavo avessero un nesso
con il mare, visto il loro lavoro.
Raffaele e i figli, quando
tornavano dalla pesca, visibilmente stanchi, riversavano il pescato
su un tavolo e le donne della famiglia, con delle calze alle mani per
proteggersi dai morsetti dei granchi di mare, selezionavano le telline, buttando
via i gusci vuoti.
D'estate, quando andavo al mare,
ancora fanciullo, volevo imitarli e tra la sabbia
cercavo le telline. Mia madre, per accontentarmi, enché quelle
che ero riuscito a prendere fossero piccole, alla sera le cucinava con gli
spaghetti a mio padre, quando tornava da lavoro. A distanza di anni penso che
mio padre, per non deludermi, mentre le mangiava, esprimeva
apprezzamenti, affermando che sentiva il sapore del mare.
Il mestiere dei pescatori di telline era
praticato da parecchi calvizzanesi anche se il nostro paese non è
vicinissimo al mare. Il lavoro dei pescatori di telline era molto duro, forse
il più duro tra quelli all'epoca praticati. Ogni mattina, per tutto l'anno, i
nostri pescatori uscivano di casa verso le tre. Prima di raggiungere il mare, inizialmente
con le biciclette, si recavano in piazza a osservare sia la direzione della
bandieruola sulla punta del campanile sia la fase lunare, per rendersi
conto delle condizioni del mare: in particolare, se c'era l'alta o la
bassa marea. I pescatori preferivano la bassa marea perché per loro era più
facile raggiungere le secche ove era particolarmente pescoso il ciglio interno,
ovvero quello opposto la riva.
Naturalmente, si recavano a pescare
anche se il mare era agitato.
Purtroppo, proprio a causa delle
avverse condizioni del mare, il giovane Luigi Pezzurro (figlio di Raffaele),
particolarmente abile e coraggioso, perse la sua giovane vita tra le onde.
Dopo aver pescato, per diverse ore,
vendevano le telline già lungo strada del ritorno e, con i vestiti ancora
umidi, rientravano. E’ quindi facilmente comprensibile perché molti
pescatori di telline si ammalavano anche gravemente.
Mentre scrivo questa missiva li
immagino quando pescavano, spesso da soli, in quella immensità del mare, con le
onde che lambivano il loro volto, e provo tanta tenerezza.
Affondavano il loro caratteristico attrezzo nella sabbia con quel tipico passo indietreggiante: quante aspettative riponevano nel mare, sperando in una buona pesca!.
Claudio Baglioni nella canzone "Avrai", dedicata al suo unico figlio Giovanni, a un certo punto fa riferimento proprio ai pescatori di telline. Con questa canzone il noto cantautore fa una serie di allusioni e metafore beneauguranti per il figlio, appena nato, cercando, nel contempo, di prepararlo alle gioie ed alle asprezze della vita. Con grande intensità poetica, riferendosi ai pescatori di telline che in mare da soli scavando nella sabbia cercando il tipico mollusco, vuole alludere a chi di sera probabilmente con animo triste, raccogliendosi nella sua intimità e guardandosi nel proprio io, cerca la forza per andare avanti e superare quel momento.
Se un giorno, signor direttore, il mare dovesse raccontare la sua storia, non dimenticherà i pescatori di telline.
Affondavano il loro caratteristico attrezzo nella sabbia con quel tipico passo indietreggiante: quante aspettative riponevano nel mare, sperando in una buona pesca!.
Claudio Baglioni nella canzone "Avrai", dedicata al suo unico figlio Giovanni, a un certo punto fa riferimento proprio ai pescatori di telline. Con questa canzone il noto cantautore fa una serie di allusioni e metafore beneauguranti per il figlio, appena nato, cercando, nel contempo, di prepararlo alle gioie ed alle asprezze della vita. Con grande intensità poetica, riferendosi ai pescatori di telline che in mare da soli scavando nella sabbia cercando il tipico mollusco, vuole alludere a chi di sera probabilmente con animo triste, raccogliendosi nella sua intimità e guardandosi nel proprio io, cerca la forza per andare avanti e superare quel momento.
Se un giorno, signor direttore, il mare dovesse raccontare la sua storia, non dimenticherà i pescatori di telline.
Lui sicuramente non lo farà.
Tornando alla mia Calvizzano, nel corso
della mia ricerca ho appreso, con gran stupore, che i nostri pescatori non si
limitarono a pescare nel mare a noi vicino, ma si spostarono addirittura in
altre regioni; nel Molise, in Abruzzo, in Basilicata, in Calabria, nel Lazio ed
in Toscana. Il primo a spingersi fuori regione, per la precisione a Metaponto,
amena località sullo Jonio lucano, fu proprio Raffaele Pezzurro, di cui
ho già parlato. Andò laggiù, su suggerimento di un suo amico, tale Giacomo
Arduo, originario di Qualiano, che abitava a Metaponto. Effettivamente
Raffaele si rese subito conto che quel posto era assai pescoso e le
telline erano di buona qualità. Durante il suo soggiorno a Metaponto insegnò la
pesca delle telline ad un tarantino diventato suo amico che non conosceva
affatto quel tipo di pesca. Si suppone che questi a sua volta la insegnò ad
altri tarantini che si portarono a pescare a Metaponto, favoriti anche
dalla vicinanza.
Quel mare tanto pescoso, era però assai
infido a causa della malaria. Erano, infatti, gli anni ’40 e l’imponente
azione di bonifica voluta dal Duce dei vasti territori malsani del paese, non
era ancora arrivata nelle regioni meridionali. Quella terribile malattia in
Basilicata flagellò la popolazione locale ià afflitta da un’atavica
povertà. Di tale problema parla ampiamente Carlo Levi nel suo bellissimo
romanzo autobiografico “Cristo si è fermato a Eboli “.
Raffaele, per contenere le spese di
soggiorno, spesso era costretto a dormire sulla spiaggia, all’aperto, dopo aver
pescato per l’intera giornata. Ignaro, probabilmente, del grave pericolo che
correva, si esponeva alle micidiali punture delle zanzare anofele. Purtroppo, a
pochi metri da dove lui pescava, praticamente tra la spiaggia e la ferrovia,
c’era la zona più paludosa, la più malsana di Metaponto. Fu così che si ammalò
di malaria, morendo alcuni anni dopo, poco più che cinquantenne.
Raffaele è stato sicuramente il pescatore di telline più bravo di
Calvizzano e la sua fama andò ben oltre i confini del nostro paese.
Si racconta che un pescatore di telline di Mondragone, anch’egli assai abile,
chiamato “Terremoto”, era intenzionato a sfidarlo, ma un giorno, vedendolo
pescare a Licola, si convinse che sarebbe stato inutile,
riconoscendo che Raffaele era effettivamente il più bravo. E ’giusto ricordare
che Raffaele, fuori regione, pescò pure a Ostia e in Abruzzo, a
Pescara.
Un altro calvizzanese che ha pescato per
parecchio tempo a Metaponto è stato Antonio Di Biase,
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Antonio Di Biase |
soprannominato
“Totonno 'e capinera”, portato li proprio da Raffaele Pezzurro che gli aveva
insegnato quel mestiere. Nel frattempo, però, la bonifica aveva risanato
quei luoghi rendendoli addirittura fertili. Il pescato di Metaponto
veniva portato quotidianamente a spalla in sacchi da 40 kg dai pescatori
stessi, fino alla locale stazione ferroviaria, da dove, via treno, arrivava
alla stazione di Sant’Antimo. Anche il compianto Raffaele Paolone
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Raffaele Paolone |
Questo particolare mestiere, vive oggi
una grave crisi a causa di una recente direttiva restrittiva emanata dall'Unione
europea. La pesca delle telline, anche se eseguita manualmente con il tipico
rastrello, così come altri tipi di pesca eseguiti con reti a maglie strette è
ritenuta dannosa per l’ecosistema marino. A tale normativa si oppose, per
quel che poté, dato il ristretto margine di operatività, l’allora ministro
Galan, ottenendo una parziale deroga.
Al termine di questo mio scritto sui
nostri pescatori di telline, sento di dover ringraziare i figli di Raffaele
Pezzurro, Antonio e Maria, e Antonio Di Biase. Con sincera ospitalità mi hanno
accolto a casa loro, facendomi dono dei loro ricordi. Sui loro volti ho scorto
l’emozione e, a volte, la commozione nel rivivere momenti particolari
della loro vita.
Molto toccante è stato il ricordo da
parte di Antonio e di Maria del padre Raffaele e del loro fratello Luigi, morto
giovanissimo in mare.
Porterò i loro nomi, i loro volti, i
loro racconti, per sempre nel mio cuore.
Giuseppe Pezone