Calvizzano. Il genio incompreso “Spellecchione”, una vita da emarginato



Dallo storico Giuseppe Pezone riceviamo e, volentieri, pubblichiamo

Caro Mimmo, chiedo ospitalità sul tuo sito per iniziare una serie di articoletti su persone che per il loro lavoro o per altro erano diventati dei veri e propri personaggi
Mi corre l’obbligo morale di iniziare con Francesco Davide, ebanista , al quale fu affibbiato un nomignolo assai dispregiativo, che non voglio nemmeno qui ripetere. Ultimo dei figli, perse la mamma che da tempo soffriva di una malattia che la faceva svenire. Su questo fatto un suo   familiare racconta che Franco, benché piccoletto, quando la mamma aveva quelle crisi che la facevano svenire, cercava di sorreggerla finendo con il precipitare a terra con lei e a volte si faceva male. Il padre, convolato a seconde nozze, spinto forse dalla moglie, affidò Franco ad un collegio a Napoli gestito da preti. Lì frequentò, sicuramente, le scuole medie inferiori e, molto probabilmente, alcuni anni del ginnasio. Poi, presso un noto ebanista di Napoli, che i preti del collegio conoscevano, imparò quel mestiere. Da ragazzo feci la sua conoscenza a casa di una mia zia che affidò a lui il restauro di alcuni mobili d’epoca. Francesco era una persona assai semplice, apparentemente introversa e pensierosa, per poi rilevarsi assai loquace e affabile se gli si dava buona confidenza. A distanza di anni, posso immaginare che il suo carattere fu molto segnato dalla morte della mamma e dal fatto che dovette lasciare la sua famiglia per essere rinchiuso in un collegio, quando era ancora un fanciullo. Mia zia, mossa da tenerezza, gli preparava da mangiare e lui, dopo aver pranzato, si concedeva pochi minuti di relax con l’enigmistica. Fu così che scoprimmo che era molto bravo con i cruciverba: un vero campione. Era un po’particolare anche nell’abbigliamento e nella cura sua persona. Indossava, a volte, dei vestiti che non sembravano proprio della sua taglia, ma leggermente più grandi. Per capirci, quelli che a volte si ricevono in dono perché dismessi da qualcun altro, però ancora in buono stato, oppure comprati per pochi soldi in un mercatino dell’usato. Portava i capelli più lunghi rispetto a quella che era la moda dell’epoca (anni ’60 ) e la barba non è che la radeva tutti i giorni. Di statura un po’ bassa, a me risultava simpatico, forse anche perché suscitava quella tenerezza tipica delle persone che la vita le ha costrette a vivere in solitudine. Non disdegnava un buon bicchiere di vino, forse anche due, ma che male c’era? Purtroppo queste sue caratteristiche furono la ragione per cui alcuni iniziarono quotidianamente e pubblicamente a deriderlo, a offenderlo e, forse, qualche volta fu addirittura malmenato. In realtà possiamo dire che la colpa di Franco era quella di apparire “diverso”.  Questa assurda gogna durò parecchio tempo tra la indifferenza generale, e portò Franco ad uno stato di tensione che penso lo fece precipitare in un grave stato depressivo. Ricordo i suoi occhi smarriti, quando alcune persone si accanivano a volte ferocemente contro, accusandolo di tutto e offendendolo pesantemente. In quei momenti di grande ed evidente sofferenza, bisbigliava delle cose incomprensibili. A volte l’uomo in branco esprime il peggio di se stesso. Sono convinto che tutti quelli che si accanivano contro di lui, al solo desiderio, a modo loro di divertirsi, se avessero pensato per un momento alla condizione di solitudine e forse di indigenza di quell’uomo non si sarebbero comportati così come si comportarono. E’ giusto annotare che un suo fratello cercò di aiutarlo per quelle che erano le sue possibilità. Una sera, purtroppo, fu investito da una macchina (voglio sperare per sua imperizia), ma non riferì a nessuno dell’accaduto, nemmeno ai suoi familiari. Oramai psicologicamente si era, come si usa dire, “lasciato andare”. Da allora iniziò un rapido deterioramento delle sue già precarie condizioni si salute e dopo poco finì. A me piace ricordarlo, quando sereno, seduto sulla solita panchina metallica in piazza, Franco ingannava il tempo a compilare i cruciverba, prima che iniziasse quel suo calvario. Ora rivedo quegli stessi occhi smarriti negli immigrati, quando arrivano esausti e disperati sulle nostre coste. L’attualità rischia di farci diventare più indifferenti verso gli emarginati, verso quelli che in maniera impietosa vengono definiti “gli ultimi”. Corriamo sempre più in avanti, dimenticando chi, per sua sventura, sta indietro. Ma non sarebbe meglio se rallentassimo per dare una mano a chi sta indietro tirandoli affianco a noi? Il sorriso di chi riceve un aiuto è il più bello dei sorrisi.
Grato come sempre Mimmo, se mi userai la cortesia di pubblicare questo articoletto. Ti chiedo inoltre, di non menzionare nemmeno tu il soprannome che affibbiarono al povero Franco, tanto si capirà subito chi è il personaggio descritto.

Peppino Pezone
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Caro Peppe, innanzitutto sono sempre io a ringraziare te per i tuoi “articoloni” (altro che articoletti), sicuro di fare cosa gradita anche ai numerosi lettori che mi fermano per strada per riferirmi di apprezzare tantissimo i tuoi aneddoti, le tue storie, perché, oltre a descriverle in maniera semplice e perfetta, sono intrise di umanità. Quella stessa umanità che traspira, insieme al sudore, dai pori della tua pelle di gran signore. Questa volta, però, non ho rispettato la tua volontà, cioè quella di non menzionare il soprannome che affibbiarono al povero Franco. Ti chiedo scusa di questa mia forzatura, ma non potevo lasciare i nostri lettori con il dubbio su chi potesse essere realmente il personaggio da te descritto, nella cui storia c’è di tutto: solitudine, sofferenza, dramma della casa, alcoolismo, emarginazione e chi più ne ha più ne metta. Una storia che dovrebbe far riflettere un po’tutti noi, per evitare il moltiplicarsi di nuovi “Spellichioni”. D’altronde, non bisogna mai dimenticare che si può sprofondare nel buio da un giorno all’altro, in particolar modo in questo tipo di società, dove il materialismo sfrenato di cui oggi siamo vittime, la vita frenetica che conduciamo non ci consente di dedicare nemmeno un minuto a persone come Francesco, ormai diventato un simbolo per i calvizzanesi, l’altra faccia di una medaglia che nasconde la parte peggiore di noi. D’altronde anche il nostro concittadino Michele Ciccarelli descrive Francesco Davide con questo soprannome nella sua splendida poesia (sotto riportata) che gli ha dedicato nel suo libro.
Inoltre, se questo serve a rassicurarti, un parente stretto di Francesco Davide, da me interpellato, mi ha detto che non ci vede nulla di male chiamare suo cugino Spellicchione, poiché tutti lo conoscevano con questo nomignolo.

Mimmo Rosiello


                                                             Spellecchione”
di Michele Ciccarelli

Non ho nessuno che mi rimbocchi le coperte, amico.

Cerco solo qualche spicciolo per mangiare.

Quando la piazza è vuota e sembra un’anima dolente, percorro l’immaginario tracciato dei mei pensieri.

E’ da un pezzo che busso alla tua porta, amico, perché sono certo della tua bontà!

Una e due e tre malinconie e quattro balordi che scagliano pietre e dicono: - Va’ a morire –

Sono così stanco, ho un sonno lasciato a metà, nella notte paurosa…

-I cani lambirono l’acqua del mio costato reclamando la tana –

In questo preciso istante potrei anche sparire, nessun dolore ci sarebbe per me.

Questi versi dedicati a Spellecchione, scritti il 26 febbraio 1997, sono immortalati a pagina 27 del libro di poesie di Michele Ciccarelli, prete calvizzanese.
Ciccarelli così definisce Spellecchione. “Franco, un barbone che si aggirava per le vie di Calvizzano. Spesso veniva da me per un panino”.

Francesco Davide, figlio di Giuseppe e Maria Cacciapuoti, nasce a Qualiano il primo febbraio 1936.  Sua madre muore nel 1944 e suo padre, il 29 marzo del 1945, si risposa con Filomena Cavallo. Nel 1948, l’intera famiglia si trasferisce da Qualiano a Calvizzano. Francesco, dopo una vita di stenti ed emarginazione, muore all’ospedale Cardarelli il 7 aprile 1988, pochi giorni dopo il suo ricovero. Riposa in pace nel cimitero Mugnano-Calvizzano.
Questi dati ci sono stati forniti, dopo un meticoloso lavoro di ricerca cartacea, dalla signora Rosanna Conte dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Calvizzano, diretto da Nello Abbate. Ringraziamo entrambi per la loro disponibilità e gentilezza.
    




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