Ecco
un ampio documento fotografico: è il modo migliore per descrivere una delle più
imponenti e riuscite manifestazioni fatte a Calvizzano
Il coro composto da ragazzi dell'Istituto Polo |
Due dei 4 vigili in servizio |
Altri due vigili con il comandante Vitantonio Marchesano: nonostante l'imponenza della manifestazione hanno diretto bene il traffico e le operazioni di ordine pubblico |
Il presidente del Consiglio d'Istituto Salvatore Cuomo |
Il Comandante della locale stazione dei carabinieri, maresciallo Carmelo Firetto, insieme a don Paolo, viceparroco della chiesa San Giacomo Apostolo |
Alcuni rappresentanti dell'amministrazione comunale: non abbiamo visto quelli dell'opposizione |
Accensione delle lanterne contenenti i messaggi di pace scritti dai ragazzi delle elementari e delle medie |
Hanno portato i loro messaggi di pace:
Ibrahim
Khader: capo della comunità islamica a nord di Napoli
“E’
un dovere di tutti partecipare, quando si tratta di difendere il concetto di
pace e giustizia, valori preziosi che tutti condividiamo. Sentirci uniti con
ciò che ci circonda è il modo migliore per esprimere il nostro amore per noi
stessi e per gli altri che si traduce in convivenza pacifica e serena. In
questi tempi in cui la follia del terrorismo e l’aggressione contro l’essere
umano innocente, senza alcuna distinzione o credo, sembrano, giorno dopo
giorno, aver raggiunto il suo apice e noi della comunità islamica dichiariamo la
nostra severa condanna al terrorismo e all’aggressione contro vite umane
innocenti, da qualsiasi parte provenga, dicendo sì alla vita, no alla morte e
all’orrore. A proposito di vita umana, il Corano recita: Chiunque uccida un essere umano è
come se uccidesse tutta l’umanità. Chiunque salvi una vita umana è come se
salvasse l’intera umanità”.
La
diversità è ricchezza
“Gli uomini sono tutti uguali, tutti derivanti dallo
stesso principio creativo – ha continuato Khader. Le differenze che esistono sono
una ricchezza di culture e religioni diverse. La diversità è ricchezza. Io
credo che per trovare punti d’incontro e di unione ci sia bisogno di individuare
e di valorizzare tutti i punti che esistono in comune. Bisogna lavorare su
questo, desiderosi di imparare qualcosa. E’ molto bella la parola pace, è un
dolce suono, una parola fresca, delizia per le orecchie e allieta il cuore,
perché il nome pace è uno dei nomi di Dio. La pace rimanda ai concetti di
tolleranza, di prosperità, di stabilità. Tutte le religioni esortano alla pace.
La pace è il bene più prezioso per l’umanità, ma, purtroppo, se ne comprende l’immenso
valore solo quando questo bene viene perduto.
La pace è senz’altro il bene più grande a cui l’umanità possa aspirare,
ma è stata tante volte negata da conflitti e guerre, che hanno portato al
genere umano grandi sofferenze, poiché il mezzo preferito per risolvere le
controversie è la guerra. Il concetto di pace rimanda a quello di giustizia.
Senza la giustizia non può esistere la pace che si attua attraverso il dialogo
e la comprensione dell’altro. Tutti noi siamo qui per dare una risposta di
pace, siamo qui per dare un contributo personale e, allo stesso tempo, una
risposta alla violenza e al terrorismo, perché crediamo che solo attraverso il
dialogo, la partecipazione, la conoscenza e l’accettazione dell’altro, la pace
possa essere raggiunta.
Il ruolo della scuola
“L’istruzione, quindi, - ha concluso Khader –
riveste un ruolo di fondamentale importanza. La scuola di ogni ordine e grado
ha una precisa responsabilità di formare le nuove generazioni al dialogo
multietnico culturale per un futuro di pace, dove tutti siamo uguali, tutti
siamo chiamati a una responsabilità personale e collettiva. Tutti dobbiamo educare i nostri figli all’amore
e al rispetto degli altri. Le moschee, le chiese, le famiglie, le scuole,
le istituzioni, i media, tutti siamo coinvolti, ciascuno con il proprio ruolo,
ciascuno secondo le proprie possibilità e competenze. Tutti dobbiamo lavorare per un mondo più giusto, per un mondo di pace.
Il
parroco don Ciro
“Questa iniziativa, ciascuna con il suo specifico
taglio, pone in evidenza il grande valore dell’intuizione avuta da Giovanni Paolo II quando circa 25 anni
fa ad Assisi convocava tutti i leaders delle religioni mondiali per una corale
testimonianza di pace. Quell’incontro servì a chiarire, senza possibilità di
equivoco, che la religione non può che
essere foriera di pace e ne mostra l’attualità alla luce degli stessi
eventi occorsi in questo ventennio e della situazione in cui versa al presente
l’umanità. Sembrava che il processo di “globalizzazione” si sarebbe svolto all’insegna
di un pacifico confronto tra popoli e culture, nel quadro di un condiviso
diritto internazionale, ispirato al rispetto delle esigenze della verità, della
giustizia, della solidarietà. Purtroppo, questo segno di pace non si è
avverato. Anzi, il terzo millennio si è aperto con scenari di terrorismo e di
violenza che non accennano a dissolversi. Il fatto, poi, che i confronti armati
si svolgano oggi, soprattutto sullo sfondo delle tensioni geo-politiche
esistenti in molte regioni, può favorire l’impressione che non solo le
diversità culturali, ma le stesse differenze religiose costituiscano motivi di
instabilità o di minaccia per le prospettive di pace.
Proprio sotto questo profilo, l’iniziativa promossa
venticinque anni or sono da Giovanni Paolo II assume il carattere di una
puntuale profezia. E come ha insegnato il Concilio Vaticano II nella
dichiarazione “Nostra Aetate” sulle relazioni della Chiesa con le religioni non
cristiane, “Non possiamo invocare Dio
come Padre di tutti, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli” . Nonostante
le differenze che caratterizzano i vari cammini religiosi, il riconoscimento
dell’esistenza di Dio, a cui gli uomini possono pervenire anche solo partendo
dall’esperienza del creato, non può non disporre i credenti a considerare gli
esseri umani come fratelli. A nessuno è
dunque lecito assumere il motivo della differenza religiosa come presupposto o
pretesto di un atteggiamento bellicoso verso gli altri esseri umani. Siamo, infatti, consapevoli di quanto il
cammino verso questo fondamentale bene della pace sia difficile e talvolta
umanamente disperato. La pace è un valore in cui confluiscono tante componenti.
Per costruirla, sono certo importanti le vie di ordine culturale, politico,
economico. In primo luogo, però, la pace ve costruita nei cuori. Il mondo non può
più attendere: è ora di iniziare ad essere i beati di Gesù, perché operatori di
pace e non più oratori di pace”.
Don Ciro ha concluso il suo intervento con uno scritto
di Madre Teresa di Calcutta
“se persone di poco conto facessero cose di
poco conto in luoghi di poco conto il mondo cambierebbe…”
L’abbraccio
fra don Ciro e il capo della comunità islamica
Per costruire la
pace la nostra comunità e l’Europa devono essere aperti all’immigrazione
“I tragici fatti
di Parigi e dell'undici settembre 2001 al World Trade Center (WTC) hanno
mostrato un terrorismo diverso da quello "abituale"
palestinese e hanno fatto prendere coscienza agli occidentali
dell'internazionalizzazione della questione islamica.
Non bisogna accettare però lo scontro di civiltà.
L'impegno
comune, dell'Occidente e del mondo Arabo, deve essere quindi incentrato sulla
necessità di conoscere, per capire quello che unisce e per non farsi prendere
troppo da quello che divide.
Per noi la
vicinanza con l'Islam si è fatta maggiore proprio a seguito dell'immigrazione,
anche se dobbiamo constatare come l'immigrazione faccia oggi paura.
Eppure,
proprio in senso opposto va, e deve andare il nostro messaggio di questa sera: per
costruire la pace, la nostra comunità e l'Europa devono essere aperti all’immigrazione.
Una
comunità democratica, come la nostra, deve aprire agli immigrati la porta a due
ante dei diritti e dei doveri, pur mantenendo il diritto di esigere l'adesione
ai suoi ordinamenti civili e politici.
L'Islam deve
vivere la propria entità spirituale con la modestia dell'affermazione e con la
tolleranza, altrimenti il rischio della paura dell'lslam e del rifiuto totale
dello stesso Islam è inevitabile.
A noi,
calvizzanesi, napoletani, italiani, europei spetta il compito di operare una
scelta precisa in favore di un Islam che non imponga e non ci imponga i suoi
valori e le sue esigenze.
Per questo è
necessario praticare a tutti i livelli il dialogo, l’arte dell’incontro umano”.
La
grande protagonista: la preside Armida Scarpa, colei che ha voluto fortemente la manifestazione
Con
le lacrime agli occhi, la dirigente scolastica, Armida Scarpa, ha concluso gli
interventi, leggendo il post scritto su facebook del giornalista francese
Antoine Leris che ha perso la moglie al Bataclan, la sala concerti di Parigi,
teatro della mattanza jihadista
“Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale,
l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio.
Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo
Dio per il quale uccidete ciecamente ci ha fatti a sua immagine, ogni
pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore.
Allora no non vi farò questo regalo di odiarvi.
Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quelli che siete. Voi
vorreste che io avessi paura, che guardassi i miei concittadini con diffidenza,
che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia
persa.
L’ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e
giorni d’attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando
m’innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato
dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di corta durata. So che
lei accompagnerà i nostri giorni e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime
libere nel quale voi non entrerete mai.
Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più
forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo
andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha solo 17 mesi, farà
merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno e per tutta
la sua vita questo petit garcon vi farà l’affronto di essere libero e felice.
Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio”.