L’ammiraglio Francesco Caracciolo non fu catturato nel Palazzo Ducale

L’eroe della Rivoluzione napoletana del 1799, secondo la ricostruzione dello storico e scrittore don Giacomo Di Maria,  fu fatto prigioniero mentre si nascondeva in un appartamento di via Case Nuove, attuale via Carlo Levi. Questo vero guerriero e autentico patriota della rivoluzione napoletana, un po’ anche “figlio” di questa città, andrebbe studiato nelle scuole, soprattutto in quelle calvizzanesi  

Il posto all'interno del Palazzo ducale dove alcuni storici ritengono sia stato tenuto prigioniero Caracciolo

Il Palazzo di via Case Nuove indicato dallo storico Di Maria dove fu catturato Caracciolo 


Fuga di Francesco Caracciolo a Calvizzano

Dopo la battaglia del 13 giugno del 1799 al ponte della Maddalena, persero la speranza di vittoria, i due amici (Caracciolo e un altro ribelle), non potendo andare oltre per via mare, perché il golfo di Napoli ormai era bloccato dalle navi portoghesi, raggiunsero Mergellina, dove stava ubicata la casa del Caracciolo: sostarono giusto il tempo di rifocillarsi, anche perché la città era in mano ai lazzari, ed era estremamente pericoloso per loro soffermarsi in quel luogo a tutti conosciuto.
Dovevano allontanarsi da Napoli, per raggiungere il mare nei pressi di Castel di Volturno, dove c’era un amico ad attenderli per portarli in salvo. Allora, per superare l’ostacolo, per via terra si recarono dapprima a Posillipo, e poi attraversando i campi e i fitti boschi della collina dei Camaldoli, scesero nel Casale di Marano nella zona denominata Trefola, dove per loro fortuna incontrarono un vecchio e caro amico, il Rev. D. Ignazio Dentice, a sua volta coinvolto nella rivoluzione. Il Dentice si mostrò cordialissimo, ospitandoli nella sua cinquecentesca masseria lontano dai trambusti. Vi sostarono per qualche giorno. Purtroppo il Dentice doveva tagliare anche lui la corda, perché già i gendarmi erano sulle sue tracce, così si lasciarono con un triste auspicio.
I due fuggiaschi attraverso la masseria detta delli “Caraccioli” prima e la strada detta dei “morti” (via Elia, nella zona tra le attuali via Aldo Moro e via Nenni) poi, raggiunsero Calvizzano, andando a dimorare nella casa di Antonio Chiapparo sita in via Case Nuove (oggi via Carlo Levi, nei pressi del Comune).
L’incarico di scovare e arrestare il Caracciolo fu dato a Scipione La Marra, colonnello della gendarmeria e persona di fiducia della regina. Nel frattempo, per un malore sopraggiunto al Chiapparo, dovettero bloccare i piani di fuga: il poveretto soffriva di gotta.
Si crearono varie ipotesi sulla fuga e arresto del Caracciolo, il più attendibile è Colletta che affermava: “L’ammiraglio Caracciolo fu preso per il tradimento di un servo, da “remoto asilo”. E da queste parole si ispirarono gli storici, nonché gli artisti che vollero tramandare su tela quell’episodio.
Molti scrittori – si legge nel libro di Di Maria – crearono dei racconti per niente veritieri, non è da sottovalutare che all’epoca dei fatti il Casale di Calvizzano contava appena 2.500 abitanti, dato il momento particolare, sicuramente furono intravisti, e chi non conosceva “Caracciolo”!
“Ci teniamo a precisare – scrive lo storico - che Francesco Caracciolo non si recò mai nel Palazzo Ducale di Calvizzano. Primo: perché il cugino Giuseppe Maria Pescara, nel mese di giugno si trovava a Palermo. Secondo: il caseggiato con annessa masseria (l’attuale palazzo ducale) restò chiuso. Terzo: Giuseppe Pescara di Diano, duca di Calvizzano fu uno dell’accademia promotrice della raccolta per l’universale trionfo di sua Maestà regnante”
La sera tra il 28 e 29 giugno, Scipione La Marra catturò in via Case Nuove l’ammiraglio Francesco Caracciolo e lo portò ai Granili di Napoli. Dopo fu condotto sulla nave dell’ammiraglio Orazio Nelson, il Foudroyant. La condanna a morte fu eseguita il 30 giugno per impiccagione e il corpo dell’ammiraglio rimase appeso a un pennone della Minerva e quindi gettato in mare; l’esecuzione di Caracciolo, resta una vergogna sulla prestigiosa personalità dell’ammiraglio Nelson. Le esequie dell’eroe della rivoluzione napoletana furono celebrate nella chiesa di Santa Maria della Catena, nel quartiere napoletano di Santa Lucia, dove un epitaffio, posto nel 1881, lo ricorda.
    
La condanna a morte di Caracciolo era già stata decisa in precedenza – scrive Di Maria- La regina aveva scritto a tutti i suoi corrispondenti che lo considerava il più nocivo di tutti i ribelli. Quando venne a sapere che il Caracciolo non era tra quelli dei castelli, scrisse: “Mi dispiace molto della fuga di Caracciolo, perché ritengo che un pirata come lui, al largo, potrebbe mettere in pericolo la sacra persona del re, e perciò vorrei che a questo traditore venisse tolta la possibilità di fare del male”.

Chi era Caracciolo?


Francesco Caracciolo nacque a Napoli il 18 gennaio 1752 da Michele dei Caracciolo di Brienza, creato duca da Carlo di Borbone nel 1738, e da Vittoria Pescara di Diano, figlia del duca di Calvizzano (sua madre è nata ed è vissuta per diversi anni nel palazzo ducale di fronte al Comune).
Dopo una brillante carriera militare, nonostante fosse un nobile (Duca del Regno delle Due Sicilie retto Da Ferdinando IV), diventò rivoltoso repubblicano, sposando la causa della rivoluzione napoletana del 1799. Fu attratto dalle ideologie egualitarie propagandate dalla Francia rivoluzionaria. Uno dei pochi a rendergli onore, fu Alexandre Dumas nel suo capolavoro “La Sanfelice”, descrivendo Caracciolo come una delle figure più nobili, coraggiose e capaci che animarono le vicende della Repubblica napoletana del 1799. Pertanto Caracciolo che, secondo Cuoco, da solo valeva un’intera flotta, dalla penna di Dumas viene trasformato nell’archetipo dell’eroe tragico.          

Questo vero eroe e autentico patriota della rivoluzione napoletana del 1799, a nostro avviso, andrebbe studiato nelle scuole, in particolar modo in quelle calvizzanesi.

A Calvizzano un po’ di giacobinismo non guasterebbe

In una città appiattita come la nostra, dove la crescita (in tutti i sensi) si è completamente arrestata, un po’ di giacobinismo non guasterebbe, anzi servirebbe a svegliarla dal torpore in cui è caduta da anni. Il giacobinismo a cui ci riferiamo, naturalmente va inteso come programma di una democrazia radicale, fondata sulla partecipazione alla vita politica e sociale. Qui, purtroppo, chi propone nuove idee o  usa lo strumento della critica per cercare di migliorare la città, viene visto come un alieno da “abbattere” a tutti i costi. Nel contempo, non è da escludere che l'assillo di chi detiene le redini del comando, per non essere disturbato nella sue manovre (non sempre lineari e trasparenti), potrebbe essere quello della vendetta a tutti i costi nei confronti del suo ipotetico nemico. Non è così che, comunque, una Comunità progredisce.  Una mini rivoluzione, dunque, per il ripristino della democrazia e della trasparenza, così come si cercò di fare ai tempi della Repubblica partenopea, occorrerebbe anche dalle nostre parti? Ma chi è il  Caracciolo della situazione?         


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