Il culto dei “fujenti”, i devoti della Madonna
dell’Arco, è ancora vivo e si è rinnovato anche quest’anno, lo scorso primo
aprile, lunedì in Albis. Alle tre di notte, sfidando le insidie del tempo,
circa novanta fedelissimi, sono partiti dalla sede storica di Corso Mirabelli,
per recarsi a piedi al Santuario della Madonna dell’Arco, a portare la loro
testimonianza di fede, guidati dall’instancabile organizzatore, nonché leader
carismatico, Salvatore Simioli. L’associazione locale della Madonna dell’Arco
ha più di cento anni di storia e ha sempre potuto contare su un numero folto di
iscritti, di gran lunga aumentati in questi ultimi tempi, grazie all’impegno sia
di Simioli che del presidente Raffaele Visconti, entrati a far parte
dell’organizzazione solo da 4-5 anni.
“Vorrei – dice
Simioli – solo sottolineare l’umiltà di questa gente che segue le nostre
manifestazioni che facciamo solo a Calvizzano, poiché non andiamo in altri
posti, nonostante ci chiamino in continuazione”.
Se le manifestazioni
hanno una buona riuscita, gran parte del merito va anche alla ditta D.C.R. che
cura l’allestimento delle bandiere (quest’anno ne sono state impegnate 40, di
cui dieci a spalle, come si dice in gergo tradizionale). Adesso un po’ di
storia.
La devozione, secondo
le testimonianze del tempo, nasce da un episodio avvenuto verso la metà del XV
secolo. In un campo, posto al confine tra l’attuale Pomigliano D’Arco e Madonna
dell’Arco (frazione di Santa Anastasia), sorgeva un antico acquedotto romano, i
cui archi hanno poi dato nome alla località. Era il lunedì in albis del 1450,
alcuni giovani stavano giocando a bocce in un campetto; sotto uno degli archi
era affrescato un dipinto con l’immagine della Madonna con il Bambino. Nello
svolgersi della partita, un giocatore sbagliò il colpo decisivo perdendo la gara:
la palla finiva contro un vecchio tiglio, i cui rami ricoprivano in parte il
muro affrescato. Al colmo dell’ira, il giovane riprese la palla e,
bestemmiando, la scagliò violentemente contro l’immagine sacra, colpendola sul
volto, che prese a sanguinare. La notizia della Madonna ferita si diffuse nella
zona, arrivando fino al conte di Sarno, un nobile del luogo che, cavalcando il
furore del popolo, imbastì un processo contro il giovane bestemmiatore,
condannandolo all’impiccagione. La sentenza fu subito eseguita e il giovane
venne impiccato al tiglio vicino all’edicola, che, però, due ore dopo, ancora
con il corpo penzolante, rinsecchì sotto lo sguardo della folla sbigottita.
Anche nel 1590 la Madonna compì un altro miracolo. La signora Aurelia Del Prete,
conosciuta come donna dai facili costumi,
dopo aver inveito duramente contro l’immagine della Vergine, vide
staccarsi i piedi, che sono tuttora conservati in una sala del santuario. Da
questo celebre episodio trae origine la parola “fujente” (il termine in
napoletano indica coloro che corrono), proprio perché fino a pochi anni fa era
diffusissima l’usanza di compiere il pellegrinaggio verso il santuario della
“Vergine dolente” completamente scalzi, in particolare compiendo di corsa
l’ultimo tratto del percorso. Il rito dei fujenti è stato caratterizzato fino
al 1930 da alcune forme di autopunizione, anche abbastanza macabre, come
l’usanza di procedere fino al santuario in ginocchio o strisciando con la
lingua per terra. Certi comportamenti vanno scomparendo, ma altri resistono
ancora oggi; crisi epilettiche e svenimenti, dovuti allo stress provocato dal
lungo tragitto, non possono essere controllati, anche se gli stessi sintomi
patologici spesso colpiscono, come confermano molti fedeli, anche i devoti che giungono
al santuario con auto o pullman organizzati. Mistero della fede. Le modalità
del rito dei fujenti si tramandano da padre in figlio da secoli. Tutto comincia
alle prime ore del mattino del lunedì di Pasquetta. I devoti, prima che sorga
il sole, si dirigono verso le loro chiese di riferimento, dove ascoltano la
messa e attendono la benedizione prima della partenza verso Sant’Anastasia. I
pellegrini vestono ritualmente di bianco, simbolo di purezza, e portano
sull’abito una fascia azzurra, il colore della Madonna, chiamata spesso proprio
“Mamma celeste”. Nel santuario prende vita la tradizionale “caduta”, capace di
attrarre l’attenzione di fotografi e giornalisti di tutto il mondo. Prostrarsi
ai piedi della Madonna è il momento topico della giornata: al segnale del “capo
paranza” i fujenti si lanciano faccia a terra e vi rimangono fino a quando un
fischio non comunica l’ordine di rialzarsi. Nelle strade è una grande festa.
All’interno di ogni squadra ognuno ha un proprio ruolo: ci sono i capisquadra, i capitrono, i
portabandiere, le voci, i musicisti, i ballerini. Sulle note delle
“tammurriate” i fujenti portano in giro i loro toselli, piccoli palchi che
reggono una costruzione votiva; alcuni innalzano le bandiere della Madonna e
altri sono impegnati nella “questua”, cioè la raccolta dei fondi. Il gonfalone
di ogni associazione accompagna e precede le paranze in tutte le
manifestazioni.