Martedì nell’aula consiliare, presentazione del libro di Enrica Romano



L’autrice del libro di successo "Donna e uomo: due modi di essere umano” edizioni Kimerik, vive a Sant’Arpino, ma ha radici calvizzanesi. Alla manifestazione interverranno: Dott.ssa Rosa Dell'Aversana ( Responsabile U.O.S. Innovazione Organizzativa A.S.L. Napoli 2 Nord);
Dott.Maria Rossetti ( Ginecologa, Sessuologa, Dirigente Medico A.S.L. Napoli 2 Nord )
Raffaele Sivolella, Scrittore. Sarà presente anche l'autrice.

A tu per tu con Enrica, la scrittrice che non smette mai di interrogarsi sul ruolo della donna
 Venire al mondo maschio o femmina non è una variabile irrilevante”, ecco come introduce il suo lavoro sull’etica e l’identità di genere Enrica Romano. In una semplice frase è racchiuso il senso e il valore di questo testo. Una lettura piacevole e interessante su un tema ancora irrisolto e ricco di prospettive spesso contrastanti.

Enrica nasce ad Aversa (CE) l’8/10/1967: il suo papà Franco, figlio di Vittorio Romano e Adele Revenaz, è di Calvizzano. Mediatrice familiare e counselor psicosociale. Laureata in filosofia ad indirizzo psicologico nel 1995, appassionata al cosiddetto “pensiero della differenza”, debutta come scrittrice Famiglia-Vita Caserta” di Succivo (CE) (
www.progettofamiglia.org), a cui destinerà metà del ricavato della vendita del libro. Sposata, madre di tre bambini, vive a S. Arpino (CE).

Dottoressa Romano, ci vuole dire perché questo titolo?
“Donna e uomo sono due modi di essere umano. A partire da un diverso sviluppo psicosessuale, da una differente relazione con le figure genitoriali, essi sviluppano una modalità peculiare di “declinare” la vita, di tessere le relazioni interpersonali, di approcciarsi alla conoscenza e alla scienza, alla sfera etica, sociale, politica. In particolare il titolo rimanda all’ipotesi di un differente “percorso” etico nella donna e nell’uomo, a partire da un diverso sviluppo psicosessuale e da una specifica acquisizione dell’identità di genere, vale a dire la consapevolezza di appartenere ad un sesso”.
Perché ha deciso di trattare il tema dei rapporti uomo-donna? La sua esperienza professionale rappresenta un punto di osservazione privilegiato, qual è il ruolo della donna oggi? Vi è qualcosa di più contemporaneo dei rapporti uomo-donna?
“Negli ultimi 30\40 anni la ricerca nel campo psicologico sembra essere stata toccata da quella riflessione che in campo filosofico si è autodefinita come “pensiero della differenza”, un pensiero che assegna a ciascun sesso una sua specificità. Nel panorama piuttosto scarno che la psicologia presenta in relazione ad una ricerca sulle differenze risalta la posizione della ricercatrice americana C. Gilligan. Il suo libro più noto, “In A Different Voice: Psychological Theory and Women’s Development” (1982), da più parti riconosciuto come una pietra miliare del pensiero della differenza, è stato considerato dalla Harvard University Press come “il piccolo libro che ha dato inizio a una rivoluzione”. C. Gilligan si propone, con il suo contributo, di indagare due diverse modalità di pensiero, di esperienza, di ragionamento e di comportamento morale: un’etica dei diritti e un’etica della responsabilità. La mia esperienza professionale di counselor psicosociale e mediatrice familiare rappresenta un osservatorio privilegiato di un universo di natura prismatica, un caleidoscopio dai mille colori, ricco di sfumature quale quello che può essere il mondo della psicologia individuale, di coppia, relazionale e della famiglia”.
Qual è il ruolo della donna oggi?
“Le donne hanno, nei secoli, demandato agli uomini la formulazione e l’espressione dei giudizi morali. La scissione tra pubblico e privato ha provocato due diverse interpre­tazioni dell’etica: un’etica maschile propria della sfera pubblica e del potere sociale, e un’etica femminile di pertinenza della sfera privata. Anche adesso che la donna in ambito sociale e culturale ha acqui­stato una maggiore consapevolezza di se stessa, anche ora che le donne si sono svincolate dalla passività e dalla reticenza nel campo sessuale, ad esse risulta ancora difficile esprimere giudizi; esse si per­cepiscono ancora come prive di scelta; esse tendono a sottrarsi alle responsabilità che ogni scelta comporta. È come se le donne ancora non si autoriconoscessero il diritto di esprimersi, di asserire affermazioni di ordine morale. Esse sono ancora silenti o comunque balbettanti; vulne­rabili e ancora dipendenti, con una forte paura di perdere l’amore e la protezione che la dipendenza e il compiacimento dei bisogni altrui le procurano.

Le donne sono state sempre giudicate e si sono sempre autogiudicate in base alla cura e alla premura per gli altri, esprimendo un’equivalenza tra bontà e sacrificio di sé. Questo pregiudizio della bontà femminile si ritrova negli stereotipi individuati da Broveman (1972) che rivela co­me le caratteristiche desiderabili nella donna: “tatto, gentilezza, facilità ad esprimere i sentimenti”, implicano l’esistenza di un altro, che in cambio di questa premura assicura alla donna quella protezione che lei desidera per appagare il suo “profondo bisogno di sicurezza”. Questo profondo bisogno di sicurezza si manifesta nel mantenimento dei rapporti e della connessione. Infatti come dice la Miller, “per molte donne, la minaccia di sciogliere un’affiliazione viene vissuta non semplicemente come la perdita di un rapporto, ma come qualcosa di molto simile alla perdita totale di sé”. Il percorso evolutivo femminile è stato minato dall’ equazione bontà e sacrificio di sé che ha intrappolato la donna in una contrapposizione tra egoismo (pensare a se stesse) e responsabilità (verso gli altri). Le donne, rispondendo soltanto ai bisogni altrui, non hanno assunto il controllo della loro vita, non hanno agito a partire dai propri bisogni perchè hanno ritenuto questo agire come egoistico e quindi come mo­ralmente pericoloso. Nora, la protagonista dell’opera di Ibsen “Casa di bambola”, moglie bambina che incarna 1’equivalenza bontà- autoabnegazione, quando la bontà rivolta al marito viene da questi respinta, si pone alla ricerca di risposte sull’identità e sulla moralità più consone alla prospettiva matura che ella ha finalmente assunto.

È proprio questo conflitto tra compassione e autonomia che la donna deve risolvere nel tentativo di riappropriarsi di se stessa. Quando la re­sponsabilità verso gli altri impedisce il riconoscimento di sé è una re­sponsabilità monca e limitata. Per sciogliere la tensione tra la respon­sabilità verso gli altri e lo sviluppo di sé è necessario una revisione del concetto di responsabilità e una nuova percezione dei legami interper­sonali. Solo attraverso questa revisione, che implica come presupposto la pari­tà tra sé e l’altro, che legittima come morale il prendersi cura di se stessi oltre che degli altri, le donne possono rivisitare la considerazione che esse hanno di se stesse e possono acquisire una maggiore consa­pevolezza della loro forza e delle loro esigenze. È così che la responsabilità diventa cura responsabile; l’ingiunzione a non fare del male agli altri ingloba l’ingiunzione a sviluppare e a ri­spettare se stesse; il rapporto, la relazione da vincolo di dipendenza diventa scenario di interdipendenza”.
La collocazione dell’uomo/maschio è vero che risente di una trasformazione epocale?
Nella società occidentale è possibile individuare nell’organizzazione sociale dei generi una distinzione tra la sfera privata (mondo domestico, relazioni private) e la sfera pubblica (mondo esterno e relazioni pubbliche). Alla donna è stato generalmente attribuito il dominio della prima sfera (quella privata) mentre all’uomo è stato riconosciuta la collocazione primaria nella sfera pubblica. Riflettendo con la Chodorow, culturalmente e politicamente la sfera pubblica domina quella privata; la sfera pubblica configura la cultura e la società che trascendono la natura e la biologia. Ne risulta una supremazia della sfera pubblica su quella privata: di conseguenza la società e la cultura si configurano come “maschili”.
Per Renata Gaddini la donna si è da sempre configurata, anche in senso psicologico, come un grembo accogliente, pronto a custodire l’uomo, guerriero bisognoso di ristoro che conduce la battaglia della vita. Per S. Gunzel la rinuncia al primario oggetto d’amore (la madre), porta, a livello di sviluppo psico-sessuale, la psiche maschile ad orientarsi verso la neutralità, l’impersonalità, l’astrattezza. Il maschio cerca una sua identità astratta nello sviluppo di sistemi religiosi e filosofici e nella scienza. Sul piano culturale e sociale si concretizza uno stereotipo sessuale (“costellazione di tratti psicologici generalmente attribuiti rispettivamente a uomini e donne” Williams et al.,) maschile che presenta quindi determinate caratteristiche quali l’indipendenza, la competizione, l’obiettività, la razionalità, l’autosufficienza, Rispetto a questi stereotipi sessuali e al loro “uso” nel campo sociale e culturale si è andata a sviluppare negli ultimi venticinque anni una riflessione “critica”, motivata dal timore degli effetti negativi che gli stereotipi sessuali possano perpetuare in una rigida divisione e rappresentazione dei ruoli sociali”.
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