Lulù, una ragazza speciale

Affetta dalla sindrome di Rett, una malattia rara, Lulù nella sua sfortuna ha avuto la fortuna di avere accanto una mamma eccezionale che con amore, pazienza e tanto lavoro sta ottenendo risultati che alcuni anni fa erano inimmaginabili

Di Lulù (così la chiamano in famiglia) ce ne aveva parlato, circa tre anni fa, la buonanima di Cristofaro Agliata, all’epoca assessore ai Servizi sociali. Lui che era sempre disponibile a tendere una mano ai deboli e a chi soffre, da uomo di fede e di amore, ci aveva segnalato il caso di questa ragazza speciale, nostra concittadina. Il suo scopo, infatti, era quello di poter fare qualcosa per aiutare Lulù e la sua famiglia. Già perché questa ragazza è affetta dalla sindrome di Rett, una grave patologia neurologica (colpisce circa una persona su 10.000, prevalentemente di sesso femminile) che si manifesta durante il secondo anno di vita e comunque entro i primi quattro anni. Provoca gravi disabilità a molti livelli, rendendo chi ne è affetto dipendente dagli altri per tutta la vita.  Tra le possibili cause un’anomalia del gene MECP2, localizzato sul cromosoma X. Non esiste terapia risolutiva per questa malattia rara. Tuttavia il suo decorso può essere modificato da una varietà di terapie mirate a ritardare la progressione della disabilità motoria e a migliorare le capacità di comunicazione. Oggi Lulù ha 21 anni e di progressi, grazie a una famiglia straordinaria e a una mamma eccezionale, ne ha fatti tantissimi. Miglioramenti che si evincono dalla lettera che sua mamma scrisse alcuni anni fa su una rivista di settore, rivolgendosi ai genitori di bambini speciali.
                                         
                                              Lettera per i genitori di bambini speciali

“Se qualcuno cinque anni fa, mi avesse detto che un giorno Lulù avrebbe imparato a leggere e a scrivere, io non gli avrei creduto, ma avrei sbagliato. Lulù è affetta dalla sindrome di Rett nella forma classica. Non parla e non usa le mani, eppure ha imparato a leggere e, a modo suo, a scrivere.
E’ stato un percorso molto emozionante iniziato quando Lulù aveva quattro anni. In uno dei suoi primi ricoveri presso il reparto di neuropsichiatria infantile di Siena, la psicologa del reparto, dottoressa Alessandra Orsi, mi fece notare che Lulù posta di fronte a due immagini, era in grado di sceglierne una con lo sguardo. Dopo aver giocato con foto, simboli e tutto quello che mi veniva in mente, siccome Lulù rispondeva anche a domande complicate, mostrando una buona conoscenza del linguaggio, ho pensato di insegnarle le lettere dell’alfabeto. Non sapevo a cosa potesse servire, lo ritenevo però un buon esercizio per il suo cervello. In seguito le ho proposto le parole. Tutto era molto limitato, certo Lulù sceglieva le sillabe per comporre le parole, ma la scelta poteva avvenire solo fra due o tre alternative. Stimolata dalla sua insegnante di sostegno ho iniziato a pensare a un comunicatore per Lulù. Un giorno mi sono ricordata di un ausilio tecnico-informatico che mi aveva mostrato la dottoressa Orsi. Si trattava di un puntale per il corpo, che permetteva di usare il computer alle persone che non possono usare le mani. Ho applicato, quindi, un puntale a luce laser su una semplice fascia per capelli e l’ho posizionata in testa a Lulù. Lei ha capito subito che poteva usare quel puntino luminoso per scegliere e mostrare fra tante alternative. A volte è più facile ma altre volte ha molte difficoltà a dirigere con precisione la lucetta, spesso, quando le leggo i suoi libri segue la scrittura con il puntale e risponde indicandomi le domande relative alla lettura.
Il lavoro da fare è tanto, stiamo organizzando un quaderno con cartelle da aprire come fosse un computer e Lulù ogni tanto riesce a indicarmi con precisione i suoi bisogni.
Grazie al puntale anche a scuola i suoi compagni e le maestre, hanno appurato che legge bene, comprende e ricorda, inoltre svolge piccole operazioni matematiche. Io ho scoperto che conosce l’inglese, anche grazie ai dvd di Macic Inglish, conosce le caratteristiche di alcune forme geometriche e chi sa quante altre cosa ha imparato da sola, zitta, zitta, mentre sembra che sia in un altro mondo. Sicuramente vanno rispettati i suoi tempi, le sue, a volte, apparenti assenze, ma sono sicura che man mano che capirà che può ottenere quello che vuole sarà più motivata. Esercitandosi potrà migliorare, e oggi sono io la pazza che dice che Lulù fra dieci anni userà il computer, e voi liberi di non crederci.
L’esperienza con Lulù mi ha insegnato a non mettere limiti alla Provvidenza
Per questo voglio dire ai genitori di bambini speciali di non arrendersi mai, di prendere un aiuto concreto dalla scuola. La scuola non può essere un parcheggio e neanche un diversivo, ma come per tutti la scuola deve essere l’occasione per scoprire e migliorare le insospettate capacità che ognuno ha. Noi genitori dobbiamo pretendere che le insegnanti di sostegno abbiano la volontà, ma anche la preparazione e l’informazione sui risultati che si possono ottenere. Certo ci vuole pazienza e tanto lavoro ma ne vale davvero la pena perché è come andare verso l’infinito e oltre”.   
                                    
                                         In Italia ci sono due milioni di malati rari

Colpiscono meno di una persona ogni duemila, ecco perché si chiamano malattie rare. Probabilmente per questo motivo sono poco studiate e poco curate, anche se nel mondo, come scrive l’Espresso, riguardano, complessivamente 750milioni di malati (in Europa 30 milioni). Nonostante tutto persisterebbe il disinteresse dell’industria farmaceutica ed elaborare terapie appropriate? A ciò va aggiunto la difficoltà di trovare informazioni.
“Per questo – spiega, al giornalista de l’Espresso che l’ha intervistata, Renza Barbon, presidente di Uniamo-Fimr, la federazione che riunisce oltre cento associazioni di malattie rare – per noi unirci in associazioni è fondamentale. Serve per confrontarci con chi ha i nostri stessi problemi o per conoscere terapie e specialisti, ma soprattutto è utile per raggiungere una massa critica capace di fare pressione e collaborare con ricercatori, case farmaceutiche e istituzioni”.

Ma qualcosa sta cambiando anche sul fronte delle malattie rare. Benefici stanno arrivando dalla chirurgia che può intervenire su molte malformazioni, o da interventi come il trapianto del midollo. Anche le moderne terapie riabilitative hanno modificato la storia di molte persone con disabilità intellettiva e motoria. Oltre la ricerca, dunque, l’associazionismo rimane fondamentale soprattutto per far sì che vengano creati più Centri di eccellenza negli ospedali di varie Regioni, in modo da evitare gli ormai tristemente famosi viaggi della speranza.    

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