Il fatidico momento del bacio: nell’incertezza meglio astenersi

 


Dall’ultimo libro del poeta-giornalista maranese Stefano Rinaldi, “Cura dell’Arte”

Ai miei tempi, nel momento clou di un corteggiamento, cercavi di comunicare, in mille modi, l’intenzione di baciare. Uno dei segnali sottili consisteva nel fissare, per un impercettibile lasso di tempo, le labbra della ragazza e, contemporaneamente, bisognava lanciare un complimento a effetto: tipo “mi sento bene solo quando sto con te o “sei la donna della mia vita”.

Sapevi, però, che avevi pochi istanti per non sciupare l’atmosfera che avevi faticosamente cercato di creare. C’era da interpretare velocemente, a istinto o a presunta esperienza, la diponibilità dell’amata. Finalmente ti avventuravi nel fatidico bacio appassionato.

Ma c’era sempre il rischio di aver saggiato male la lunghezza d’onda empatica.

La spiacevole conseguenza era che la ragazza reagisse male. Seguivano, inevitabilmente, momenti di forte imbarazzo. Alla fine, nella peggiore delle ipotesi, rimediavi il classico schiaffo. E ricominciavi daccapo il corteggiamento, cercando di capire in che cosa avevi sbagliato, per porvi rimedio o, pazientemente, aspettare momenti migliori, confidando nel proverbio della famosa goccia che scava sempre nella roccia.

Oggi è tutta un’altra storia.   

Il rischio per mancata accettazione del bacio non è più lo schiaffo, ma la messa all’indice da parte di femministe d’assalto o, addirittura, si prospetta la galera.

Se l’amata ti vuole male, ti denuncia per violenza. E sono guai seri.

Allora, come evitare le brutta esperienza dei kafkiani tribunali, con magistrati dalla discrezionalità di giudizio troppo ampia, a volte sorprendentemente imprevedibile? E con avvocati figure eccelse di complicatori?

Sarebbe consigliabile chiedere, in via preventiva, alla corteggiata, non una semplice dichiarazione di accettazione del bacio, ma espressamente un consenso messo per iscritto. Meglio ancora se la sottoscrizione fatta alla presenza di un notaio.

Solo allora, finalmente, si può tirare un respiro di sollievo e dare sfogo ai sentimenti, senza l’ansia del respingimento doloroso.

E poi dicono che siamo un popolo che fa pochi figli. Sicuramente per ragioni di ristrettezze economiche e di instabilità occupazionale. Ma c’è anche il sospetto che, in fondo, abbiamo poche possibilità di arrivare indenni all’accoppiamento.

Stefano Rinaldi

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